E' molto tempo, lungo di anni, che non affrontiamo su queste pagine il problema del rapporto uomo-donna. Eppure questo è stato uno dei primi segni di ricerca della nostra esperienza comunitaria non determinata da una realtà di coppia né da una separazione del ramo maschile da quello femminile. Ma forse la «novità» dell'esperienza già anteriore al '68 ha finito quasi per bloccare una continuità di riflessione e di ricerca come se un traguardo fosse stato raggiunto e non occorresse più la fatica dell'aratura per preparare nuovi raccolti. La storia di questi ultimi quindici anni ci ha raggiunti e travolti in questa marea di difficoltà e di problemi, di rapporti in conflitto quasi insanabile, di esistenze divise e frantumate.
Non posso richiamarmi ad un'ideale continuità senza avvertire lo sconfinamento nel campo di una fantasia fine a se stessa, irreale e sterile. Ma non mi sento neppure onesto pretendendo di calpestare, in nome di nuovi miti, un'esperienza contraddittoria, ma sofferta nel corpo e nell'animo. Non sto quindi qui a raccontare una storia personale né di comunità. Ho inteso ritrovare questo vecchio problema alla conclusione di una serie di brevi articoletti scritti durante questo anno. Dalla riflessione sulla solitudine, alla serena coscienza del valore dell'amicizia, dalle difficoltà dell'esperienza comunitaria al nodo dell'incontro uomodonna.
Mi sembra che si stia aprendo un tempo nuovo che supera la contraddizione pubblico-privato che rappresentava fin ora uno dei problemi emergenti. Non che sul piano del pubblico-privato si sia risolto qualcosa di valido. ma questa ricerca, già regredita per il rapido consumarsi dello spazio politico, è oscurata dalle nubi che la storia e la cronaca internazionale solleva all'orizzonte. Un tempo in cui si riparla di guerra. un tempo in cui la violenza sembra riproporre il suo volto storico. Tutte le altre forme di violenza (e tra queste la violenza che si è raccolta nel rapporto uomo-donna) sembrano di nuovo scatenarsi come espressione del potere che vuole schiacciare per regnare. uccidere per vivere. opprimere per fare della propria libertà una legge.
Quando è in gioco la sopravvivenza, tutto il resto sembra perdere contorni definiti. Quando i problemi allargano e dilatano le loro dimensioni, con progressioni pazzesche, tolgono il respiro al quotidiano, al personale...
D'altra parte quando gli eventi accelerano vorticosamente l'evoluzione della storia, le prospettive non possono che risultare compresse e deformate. Occorre mantenere la calma e non farsi trascinare via dal provvisorio, o almeno resistergli.
Perché se lo specifico di ogni problema appare svilito dall'emergere di situazioni che sembrano assorbire il tutto, è altrettanto vero che ogni nodo della realtà umana può diventare il punto di partenza di una resistenza, di una lotta per la ricerca di una nuova esistenza e di nuovi rapporti.
E questo vale anche per il rapporto uomo-donna. Non vi può essere ricerca e novità in questo rapporto che non sia al tempo stesso ricerca e novità in tutto l'arco della vita. E non vi può essere vera ed autentica ricerca e novità di vita che non rinnovi e vivifichi al tempo stesso il rapporto uomo-donna.
Occorre trovare la chiave di atteggiamenti profondi che aprano strade di autentica liberazione.
Questo il problema di sempre, dei momenti importanti. decisivi. Questa la fatica da cui non può esimersi chiunque ama la vita e la propria umanità.
Credo che uno di questi atteggiamenti fondamentali sia la povertà. Se n'è parlato molto di povertà al punto da dare l'impressione di tirar fuori qualcosa di consunto ed esaurito. Ma al di là delle strumentalizzazioni che gravano su questa parola. vi sono pochi valori che, come la povertà, attingono alla radice dell'umanità.
Povertà, non miseria, non il boccone strappato di mano, non gli abissi della disumanità, non l'oppressione dell'ingiustizia e della violenza per avvelenare il mondo di desideri di potere e di ricchezza. Povertà e cioè la consapevolezza di una assenza e il senso di una attesa. Un desiderio che non divora, ma cresce il rispetto e la capacità di accoglienza. Perché nella povertà il soffrire non è assurdo né insopportabile, ma è come il risvolto dell'amore che non si acquieta, non si distrae, ma coltiva il suo sogno al di là di ogni difficoltà.
Nel rapporto uomo-donna la povertà è elemento indispensabile ed esprime uno stile inconfondibile. Le difficoltà di questo rapporto emergono oggi a tutti i livelli della sfera affettiva, sessuale, ideologica, economica. Occorre essere poveri di spirito per tentare di ricomporre le tensioni con la violenza del ricatto affettivo o di quello ideologico disegnando di nuovo ruoli ben definiti. Occorre d'altra parte una grande povertà interiore per resistere alla violenza e camminare in ricerca senza farsi avvelenare l'animo della rivalsa. E appare opportuna anche una autentica povertà di vita per non correre il rischio di trovare facili compensazioni.
Ma oltre il risvolto ascetico, la povertà entra nel cuore del rapporto uomo-donna e suggerisce oggi il senso dell'assenza dell'uomo alla donna e della donna all'uomo. Assenza che non vuol dire necessariamente rinuncia, separazione, ma certamente lo spazio per una attesa nei confronti di un rapporto nuovo da costruire in modo autentico, desiderato nei tempi lunghi di un'accoglienza dolce e paziente. Ci vuole molta fiducia: non è più il tempo in cui basta che uno dei due rinunci perché il rapporto uomo-donna ritrovi il suo equilibrio. E' una ferita da non cicatrizzare ad ogni costo, ma da tenere aperta perché possa rinnovare i tessuti dell'incontro.
Ciò a cui bisogna rinunciare sono i fantasmi delle convenzioni, le maschere di inutili sofferenze, le comode gerarchie, gli spazi di reciproco potere.
Perché un rapporto nuovo coinvolga tutta la realtà della vita che deve cambiare e questo sforzo di rivoluzione profonda non può essere portato avanti impostandosi in sottili giuochi psicologici. E' certo motivo di riflessione e di esperienza nuova l'andare a lavorare fuori casa o al contrario prendere il cencio in mano o cucire un bottone. Ma questo non può rappresentare né un traguardo, né tantomeno una ricattatoria affermazione di disponibilità. E' un possibile punto di partenza, o come tale va ritenuto, ma è anche ormai una sorta di lungo guinzaglio che anche il costume sociale ormai ha fatto suo. Guai però andare più oltre: la crescita delle strutture sociali offre queste possibilità nello spazio del «tempo libero»: è un «gioco», non di più. Eppure è necessario proseguire oltre, rompere tutta una serie di difese, acquisire il diritto ad una piena umanità, ad una vita vera non canalizzata e oppressa in un ruolo che ci deforma in maschera. Quello che è da «uomo» e quello che è da «donna» perché l'uno possa servire l'altro e la gerarchia continui a servire chi sta al vertice della piramide.
E' lotta che vuole uno stile inconfondibilmente povero, segnato dalla assenza più che da comode e acquietanti presenze.
Il povero tiene la porta aperta perché non ha niente da difendere: è la vita che trova spazio ed entra a colmare l'attesa, a rendere presente l'assente perché il pane sia spezzato a sostenere il cammino verso una nuova realtà dove non c'è più chi porta il grano e chi lo cuoce, chi apparecchia e chi è servito, chi genera i figli e chi ne porta il peso, chi possiede una moglie e chi si costruisce un marito. Non c'è più né «uomo», né «donna».
Luigi
in Lotta come Amore: LcA gennaio 1980, Gennaio 1980
Luigi Sonnenfeld
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