Se una parola noi possiamo dire è una parola di Fede.
Non è molto facile in questi nostri tempi nei quali sacerdozio e profezia sono piuttosto rari che quasi si ha l'impressione di sparizione, precisare cosa significhi fede e tanto più cosa comporti come progettualità, cioè scelte concrete e comportamenti coerenti, il rapporto di Fede con l'esistenza, con la realtà storica.
Eppure è vero che la Fede è ancora e forse di più assai che nei tempi passati, categoria mentale, criterio d'intelligenza, potenza d'intuizione e progetto pratico, programmazione esistenziale, rapporto storico, piattaforma di umanità, tracciato sul quale può camminare e realizzarsi l'incontro, la comunione e cioè umanità nuova.
Bisognerebbe purificare l'idea di Fede e realizzarne il concetto limpido e chiaro, perché l'equivoco qui è complesso e inestricabile, lungo e aggrovigliato quanto la storia religiosa (e anche non religiosa) dell'umanità.
Impressiona sempre e quasi sgomenta tutte le volte che Gesù nell'imminenza di operare il miracolo, chiede di avere Fede. Cosa chiedeva chiedendo la Fede?
E cosa vuol dire quella spietata provocazione: se aveste Fede quanto un granello di senape potreste dire a quella montagna: levati di lì e gettati nel mare e la montagna obbedirebbe?
E' chiaro che non si tratta di un consenso d'intelletto e nemmeno di un'adesione di volontà. Non può essere semplicemente un fatto di rapporto passivo come un'accoglienza, un'accettazione di una onnipotenza nella propria impotenza, di un tutto nella propria nullità. Questa Fede potrebbe anche essere un rapporto di utilizzazione e di strumentalizzazione interessata. E' bello e dolcissimo che la creatura si rimetta totalmente alla volontà del Creatore, il figlio all'infinita bontà del Padre, ma forse la Fede richiede e pretende e quindi significa molto di più.
E' molto difficile precisare, anche perché si tratta di cogliere un valore che appare nei rapporti umani appena accennato, come intravisto, intuito ma assai raramente vissuto. Rimane vivo e desideratissimo nelle profondità di un sognare un progetto di intesa, di comunione, di Amore... ma poi svanisce e si dilegua al contatto della realtà: perché vivere è quasi sempre lo spengersi, il dissolversi del sognare. La vita è spesso come la sveglia che suona al mattino e richiama e getta nella cruda, aspra, impietosa realtà del quotidiano.
Ma raccogliendo queste «misteriosità» sommerse nel più profondo dell'intimo nostro, è forse possibile tentare di intravedere cosa possa significare Fede.
Bisogna fare un piccolo gioco interiore come quando si alza il binocolo da una valle, su, su, fino a inquadrare la cima della montagna. Uscire dalla valle, è vero, non è molto facile e innamorarsi della cima della montagna è rischio e fatica. Ma è di lassù che la visuale è a giro di orizzonte e è possibile cogliere la totalità.
E' indispensabile (ma è anche bellissimo) risalire alla cima della montagna che è Dio e guardare il mondo, l'esistenza e noi, dal suo essere l'Altissimo.
Perché Fede forse vuol dire scelta di visuale, criterio di rapporto, realtà di comunione, rifacendosi totalmente a Dio, cercando e trovando in Lui il principio e il fine e la realtà di cammino storico fra il principio e il fine.
Questo uscire da se stessi e da tutto quello che il se stesso significa e comporta, e risolversi e risolvere tutto (compreso il cadere di un capello e di un passero dal tetto) in Dio, può darsi che sia Fede.
E cioè, per essere esatti, l'inizio della Fede: il seminare il piccolo seme che porta in se la promessa dell'albero, il porre fondamento sulla roccia per la costruzione della casa.
Fede non è credere in Dio e accettarlo nella vita e nella storia. Può essere già molto ma certamente non è tutto, anzi tutt'altro. Non può determinare una passività, significare sottomissione, accettazione supina, rassegnata. La Fede in Dio che ridimensiona e riduce la misura incalcolabile di dignità dell'essere amano, non è Fede e nemmeno religione, certamente non è Cristianesimo.
Perché Fede è credere che Dio è in me e io sono in Lui. E se è vero che questa unità ottenuta non è per parità di valori nella realtà naturale, perché Dio è Dio e io sono non più dell'ombra che la luce proietta, è vero (se ho il coraggio e la voglia di felicità di crederlo) che l'Amore di Dio ha fatto (e è quello che l'Amore compie ogni volta che è vero Amore) che io sia accettato, accolto nel suo essere Dio. E non è, anche questa, accoglienza passiva, inerte, soltanto onorificata, ma attiva, producente e cioè, dato che si tratta di Dio, creativa.
Dunque Fede è credere a quest'unità fra Dio e me, il mio io e Dio: e quest'Unità è creazione nuova e quindi nuovo Amore, cioè Amore non prima esistente.
Un'immagine creata della Trinità increata. Una Trinità che cammina, vive, lotta, è felicità, soffre, muore e è resurrezione incessante.
Il mondo, l'universo era stato creato per ospitare quest'esistenza, immagine e somiglianza di Dio. Cioè per dare spazio a Dio, oltre al suo infinito, per vivere come una nuova dimensione, quella ottenuta dall'unità risultante dell'incontro di Dio e dell'uomo.
Fede cristiana vuol dire che ciò che nella storia non si è compiuto, in Gesù si è perfettamente e storicamente compiuto.
E questa compiutezza (questa totalità di pienezza e cioè la Verità) ottenuta in Gesù Cristo, è garanzia di un verificarsi, di un concretizzarsi, in ogni essere umano e nell'umanità tutta.
La storia è un velo (anche se spesso è coltre imbrattata di ogni orrore) che copre questa Verità che non cessa di palpitare misteriosamente una realtà di vita risultante da quest'unità fra Dio e uomo, Dio e umanità. Un velo che è come sindone con impressa la crocifissione incessante della storia, ma che è la stessa crocifissione di Cristo.
Fede cristiana è credere la realtà dell'unità di Cristo e dell'umanità: perché Lui è segno di ogni essere umano e dell'intera Umanità.
Un piccolo passo avanti: non sto scrivendo riflessioni teologiche in questa mattinata di settembre e il cielo è grigio e mi arriva fin qui sul mio tavolo il rumore dei cantieri navali e del porto e il brusio indistinto, confuso, di voci, di motori, di martelli e lo sciacquio del canale. Scrivo quello che mi viene su dall'anima e non faccio brutta copia e nemmeno cancellature, esattamente come quando scrivo lettere: non è mai uno studio e tanto meno tentativo di esposizione culturale, ma soltanto respiro di anima, l'aprirsi alla vastità, l'abbraccio universale...
Un piccolo passo avanti. La Fede è chiaro non è né può essere soltanto strumento di conoscenza per introdurci nello spazio del sapere di Dio e del suo Mistero. E' al di là dell'intelligenza, oltre, ma è anche tutt'altra cosa.
Tutto quello che riguarda e interessa Dio non può che essere secondo Dio: risente logicamente e porta in se, qualcosa (quanto?) di Dio.
Fede è rapporto fra Dio e Uomo, è comunione del divino e dell'umano. Di nuovo, Gesù Cristo, di questo Mistero (non ho affatto paura usare questa parola che non vuol significare buio, ma adorabile luce) è indicazione perfetta e realtà compiuta.
Tutto l'uomo è in Dio, tutto Dio è nell'uomo. Quindi Fede è credere che potenza, onnipotenza di Dio è in me, in te, in ogni essere umano (e in tutta l'esistenza) a compiere la creazione, a creare il compimento. Perché Dio ciò che inizia infallibilmente compie.
Fede è credere a questa Presenza creatrice nella propria vita e nella storia, è averne esperienza, seguirla nell'adorazione, offrirsi a gran cuore e coraggiosamente coinvolgersi nel suo Mistero di concretizzazione, cioè (Fede cristiana) Dio che si fa carne e abita in noi. Il regno di Dio è dentro di voi, diceva Gesù.
Fede allora non è idea, sentimento, religiosità, opera buona ecc. è il voler essere, con scelta cosciente e responsabile più che sia possibile, investiti e travolti dalla potenza creatrice di Dio, è la coscienza di giocare il se stesso e il proprio rapporto con la vita, con tutta la realtà del mondo, è il perdersi nel Mistero di Dio, fino al punto che la risultanza, la logica conseguenza, la semplice e adorabile fruttificazione, è la nuova creatura, questo Figlio di Dio, nato dall'intimità unificante dell'Amore di Dio e di me.
Fede cristiana è credere che ogni cristiano (colui che per il battesimo porta in se stesso, come suo unico destino, il Mistero di Cristo) ogni cristiano è Maria, la carne e il sangue che per la potenza di Dio ha generato «la nuova creatura» il compimento della creazione, Gesù Cristo.
Un altro piccolo passo avanti: vivere è camminare e così è della Fede, questo svolgersi a poco a poco, questo snodarsi di misterioso intreccio di Dio e di uomo per manifestare il meraviglioso disegno, questo andare avanti incessante fino al «tutto compiuto».
E il piccolo passo della Fede è la necessità inevitabile di compromettersi nel progetto di vita e nella sua realizzazione secondo la logica di questa Fede.
E questo compromettersi vuol dire che dominante e determinante nella vita è Dio.
Fede vuol dire fidarsi di Dio e consegnarsi a Lui nella sicurezza di costruzione di se stessi e di ogni rapporto, in pienezza, nella compiutezza più assoluta.
Perché Fede non è obbedienza alla legge di Dio, non è nemmeno fare la sua volontà, è voler essere creati, costruiti da Lui, è vivere la vita «scelta» da Dio e diventata per libera e responsabile accoglienza, la vita «scelta» da noi. Non la mia, ma la tua volontà sia fatta, diceva Gesù e erano parole che sudavano sangue e nel frattempo costruivano la sua gloria, cioè il compimento della sua Verità.
Tradurre questi accenni non direi nemmeno di riflessione, ma forse soltanto come fossero battiti dal cuore, tradurre queste visioni di Fede (visioni che chi vuole può considerarle sogni e null'altro) nello sbriciolarsi del quotidiano del proprio vivere, può comportare realmente riflessioni molto azzardate e anche strane.
Queste, per esempio.
La vita di un credente, di chi vuol essere realizzato dalla Fede, non può essere «normale» cioè secondo la semplice (o complessa!) logica umana. Il buon senso comune nella Fede è vera e propria incompatibilità.
La Fede è razionalità secondo la logica di Dio, i cui pensieri non sono i nostri pensieri.
Una scelta di Fede non può essere giudicata che una pazzia, una scelta rinunciataria alla dignità, alla libertà dell'uomo, un'alienazione, come si dice, forse anche una vigliaccheria o perfino una scelta di comodo, per via di quelle «consolazioni» che può offrire.
Una vita di Fede è non avere vissuto. E poi è separazione, irresponsabilità, camminare sulle nuvole, non compromettersi e non pagare di persona, come tentativo di sciogliersi dal rannodo soffocante della vita, della storia, più o meno un'evasione.
E molte altre cose ancora, evidentemente, in negativo, può significare una vita di Fede. D'accordo. Ma se tutto questo rammemora la Fede, è chiaro che non si tratta della Fede nata da Dio come luce e calore dal sole, non è chiaramente la Fede del Vangelo e quella alla quale provoca Gesù Cristo, ma è la Fede sciacquata dalla parola di uomini tanto più insipida e inquinata dall'alchimia dei loro interessi, ridotta e distorta dalla loro traduzione in racconto storico.
Perché nella percezione chiara e limpida della Fede, influisce come ostacolo quasi insuperabile, anche la paura.
Perché tutti più o meno, cominciando dalla Chiesa fino a ciascuno di noi, nonostante gli innumerevoli «Padre nostro», tutti manteniamo nell'angolo più segreto di noi stessi, la paura di Dio, un misterioso senso di sgomento, esattamente quello iniziatosi con Adamo quando si nascondeva fra gli alberi e i cespugli, agli occhi di Dio che lo cercava, perché era nudo. Nudi davanti a Dio, spogliati di ogni copertura e difesa, assolutamente abbiamo paura a trovarcisi.
Fede vuol dire «esporsi» a Dio, sapendo che è in questo perderci in Lui, la nostra salvezza. Fede è credere che Dio è l'unico. E' credere che Dio è Uno.
Unicamente, assolutamente Uno e che al di fuori non c'è altro. E che io, tu, ogni essere umano; è nascere da Dio e non da volontà di uomo e di carne. E che quindi vivere è unità di Dio e di Uomo perché vivere vuol dire essere Amore. Perché Fede risolve il suo Mistero nella realtà, concretezza, nell'essere carne e sangue, tempo e eternità, dell' Amore. Cioè di Dio, finalmente Dio, tutto per tutti.
Lo so bene che è balbettare come di fanciullo e sono sessant'anni ormai.
E ancora non ho la Parola e tanto meno la Parola che si è fatta carne.
Ma non ha importanza il non sapere parlare e tanto meno scrivere: a volte forse possono rimediare i gesti, quelli più semplici, come il guardare lontanissimo ad occhi chiusi, lo stare seduto come chi è nell'eternità, l'aspettare interiore nella pace inalterabile, soffrire dolcemente l'angoscia dell'impossibilità, della nullità, il tormento universale della storia e nel cuore e nell'anima è il mondo intero e la terribile e sconcertante marea eppure è fiume che scorre fra le sponde, della storia dell'umanità. E poi l'ascoltare il silenzio del Mistero e ascoltare l'assordante baraonda del nostro tempo, nel silenzio di quello spazio dove tutto si perde perché l'immensità tutto accoglie, giudica e ciò che non ha senso svanisce.
Perché Fede è vivere che di più non può essere dato e Fede è morire perché la Vita sia e sia in sovrabbondanza.
in Lotta come Amore: LcA ottobre 1979, Ottobre 1979
Luigi Sonnenfeld
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