C.A.V. Centro Artigianato Viareggio

Nel mese di maggio è nata una nuova «ditta» nel porto di Viareggio: la nostra.
Non è quindi un semplice dato statistico, ma un avvenimento che comunichiamo volentieri ai nostri amici perché possano parteciparlo. Dopo oltre dieci anni di vita l'officina di ferro battuto di Sirio e Rolando al Bicchio chiuderà i battenti. Un arco di tempo forse non lunghissimo, ma certo enormemente dilatato dall'intensità della vita trascorsa in quel vecchio fienile diviso in due: l'officina e sopra la cappella. Una tempesta di ricordi, gioie e dolori avvampati al fuoco della forgia e plasmati in forme così tanto diverse sull'incudine dal tempo che passa.
Ma non è una morte; vorrebbe essere - lo speriamo - una risurrezione. Anch'io abbandono la mia piccola baracchetta non certo ricca di memorie come l'officina di Bicchio e neppure all'altezza del lavoro in ferro battuto, ma aperta alle rattoppature per le barche da pesca e alla piccola carpenteria.
Ritorniamo a lavorare insieme: e questo dovrebbe essere un primo motivo di gioia anche per i nostri amici. Il progetto l'avevamo in mente da tempo; ma non è stato facile concretizzarlo. Cercavamo, infatti, un luogo abbastanza ampio in Darsena. Abbastanza ampio in quanto partivamo dall'idea di allargare progressivamente il settore del nostro lavoro realizzando una «comunità» di piccole imprese artigiane (per es. legno, ceramica, cuoio, ecc.) sotto un unico tetto. In Darsena, poi, in quanto volevamo che questa attività artigianale vivesse il respiro serio del lavoro, le tensioni del mondo operaio, la ricchezza di una realtà ambientale così caratteristica come quella del porto in cui siamo presenti da oltre vent'anni.
Abbiamo trovato un capannone di circa 500 mq. e dopo varie avventure nel mondo della burocrazia l'abbiamo acquistato. Non certo con i nostri risparmi che la massimo potevano servire a comprare il cancello d'ingresso. Ci affidavamo ad un mutuo artigianale consistente e a basso interesse, ma non ci è stato concesso, abbiamo avuto la fortuna di amici che ci hanno dato fiducia con prestiti piuttosto forti. Ora sta a noi rimboccarci le maniche e lavorare per rispondere seriamente a questa fiducia.
Cosa intendiamo fare in questo capannone? Innanzitutto trasferire le nostre due officine con tutto il carico di lavoro che speriamo non ci abbandonerà. Il lavoro che facciamo è garanzia per la sopravvivenza dell'iniziativa. Poi? Poi, si vedrà: è proprio il caso di dirlo. Non abbiamo fretta; non vogliamo soprattutto sballare. La prima cosa che ci interessa, è sviluppare il lavoro artigianale in senso stretto, cioè un lavoro manuale, creativo, responsabilizzato a tutti i livelli, dal reperimento della materia prima alla sua collocazione sul mercato a prodotto finito, rispettoso dei valori d'uso e comunque non facilmente preda del consumismo.
Per questo il primo sforzo che faremo all'esterno sarà di offrire a persone che già possiedono un mestiere, la possibilità di venire a lavorare con noi nel capannone iniziando nuove attività.
Inoltre ci interessa di lavorare inseriti nell'ambiente degli artigiani e degli operai del porto, partecipando i problemi, le lotte della classe operaia concretamente presente a Viareggio, e naturalmente la vita. Per questo il nostro lavoro avrà caratteristiche più impegnative che nel passato per tutto quello che riguarda gli aspetti politici e sociali della realtà locale.
Ci proponiamo quindi di realizzare un ambiente aperto all'interesse dei giovani, mettendo a disposizione il nostro lavoro per quanti ritengono utile imparare il mestiere. Non cerchiamo quindi dei «dipendenti», ma degli «apprendisti» capaci poi di realizzare il loro lavoro con piena e totale responsabilità dove vorranno. Non abbiamo - mi sembra chiaro - l'intenzione di offrire «posti di lavoro», ma di dare una mano a quanti ritengono utile qualificare le proprie mani e affrontare il problema del lavoro con uno spirito di «indipendenza» e di fantasia.
Questi - ancora abbozzati evidentemente - i nostri obiettivi. Ci rendiamo conto delle mille difficoltà che questo nostro progetto comporta. Abbiamo sperimentato difficoltà di rapporto con le strutture pubbliche spesso più desiderose di etichettare le iniziative di base che non di favorirle per un autentica crescita. Sentiamo tutta la pressione sociale che vorrebbe fare di questa nostra iniziativa un fatto assistenziale nel campo dell'handicap e della droga. Sappiamo che noi stessi abbiamo ancora tanto bisogno di chiarirci le idee.
Comunque il treno è ormai partito e, mentre ora sono iniziati i primi lavori di assestamento del capannone, io, Sirio e Rolando ci siamo saltati sopra forse, ancora una volta, più con il cuore che con la ragione.
A questo nostro vecchio peccato sappiamo ormai che i nostri amici sono abituati.


Luigi


in Lotta come Amore: LcA luglio 1979, Luglio 1979

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