Queste riflessioni nemmeno per ombra vorrebbero essere di sapore polemico e non nascondono assolutamente risentimenti e in fondo nemmeno disappunti. Mi sto abituando sempre di più ad accettare le cose come sono e anche con particolare rispetto.
Che poi mi rimangono totalmente, al di fuori, esterne, questo è vero: non mi suscitano cioè particolari interessamenti.
E' chiaro però che non rimango indifferente, anzi tutt'altro. Non ha importanza se poi, come normalmente avviene, questa partecipazione, questo vivere «l'esterno», comporta tanta sofferenza. Quell'angoscia interiore cioè di dover assistere e di dover quindi subire esattamente il contrario di quello che nel profondo di se stesso viene avvertito e creduto appassionatamente come ciò che è giusto e vero e importante e forse addirittura decisivo. Può consolare anche se non molto, il sapere che quella sofferenza di delusione e di sgomento, è Amore e in fondo, a ben pensarci, non può che essere motivata che da una cocciutaggine di Fede.
Brevissima premessa per giustificare queste mie riflessioni sul viaggio del papa in Messico e anche per introdurle,
Non intendo assolutamente entrare nel merito del giusto o meno di quel viaggio, il papa deve fare liberamente quello che vuole o crede che sia secondo la sua missione. Nemmeno vorrei tentare analisi di comportamento e meno ancora nei confronti dei suoi discorsi, anche perché, pur tirando su tutto il rispetto possibile, forse non sarebbe sufficiente ad ottenere accoglienza e consenso pieno e totale.
Perché volere o no il papa è il segno più visibile e più vistoso della Chiesa e il suo agire e il suo parlare segnano il punto esatto, focale, nel quale la Chiesa, quella gerarchica, si trova e danno anche l'immagine di tutta quella Chiesa che è la cristianità.
E quindi tutti noi ne rimaniamo coinvolti, anche se possiamo non esserne proprio entusiasti, né rimaniamo significati anche se c'interessano assai di più altri segni. In ogni modo quello di cui vorrei discorrere è tutto un altro problema che investe riflessioni universalizzate nella storia dell'umanità ma che in questi giorni del viaggio del papa mi si è fatto vivissimo e dolorosissimo.
E' il problema di un uomo e di folle sterminate. Dire che ne ho sofferto tantissimo e di sofferenza profonda fino alle misure della pietà, è dire poco, al vedere moltitudini senza fine accalcate fino all'inverosimile per vedere un uomo, gridare un evviva ad un uomo, alzare le braccia, sventolare qualcosa per fare festa intorno ad un uomo... Per una Fede, certamente, ma impressiona la Fede in un uomo, per una Sapienza, una sapienza che non può non sgomentare e sconcertare, perché cosa può essere, cosa può fare un uomo?
Può agitare le braccia per rispondere al saluto osannante, può parlare ma sono parole, le parole di un uomo. E cosa sono le parole di un uomo?
Se c'è spettacolo che indichi la povertà umana, è quando l'umanità si raduna a folla, a moltitudine anonima, ad un mare di teste e di braccia, di corpi e di anime e di fronte, sovrastante, di contro, vi è un uomo, punto di convergenza, confluenza totale, abbandono assoluto e quindi attesa, dipendenza, speranza ma più ancora certezza.
Questo trasferirsi, riversarsi, consegnarsi di umanità ad una persona, ad un individuo.
E' il momento di un superamento di se individuale, di un'alienazione del se stesso, di un consegnarsi irresponsabile e diventare parte di un tutto, un passivizzarsi nella collettività, un perdersi nella folla, un essere assolutamente più niente per una sostituzione da parte della moltitudine. Milioni e milioni di persone, due in questa occasione, cinque in un altra, dieci, venti milioni, ma gli uomini, le persone umane quando sono considerate milioni non sono più persone umane, sono un mare, una pianura, un livellamento, un terribile, spaventoso anonimato che non ha più valore di umanità ma di formicaio, di branco sterminato di foche, sciami, agglomerati d'insetti. Uno sventolio di fazzoletti e di bandierine, un agitarsi di braccia, un gridare poche e sempre le stesse esclamazioni.
Povertà di gente che ha camminato e camminato, dormito all'addiaccio, aspettato ore e ore per perdersi in una realtà senza nome e senza volto all'infuori di un volto d'infinita miseria e di un nome che è marea di gente.
E perché?
Mi sembra che la risposta sia una sola, anche se ve ne possono essere tantissime, da quella di voler manifestare la propria Fede (!?) la riconoscenza per la visita del papa (!!) curiosità, di fascino dello spettacolo ecc. Ma la risposta per me è una sola e è questa. Quella gente a milioni e milioni si è accalcata intorno al papa perché è popolo. E il popolo da millenni è educato, spinto, costretto, affascinato, non può fare altro, non gli è chiesto altro, non gli è concesso altro, che di accalcarsi intorno ad un uomo, di fare folla, moltitudine sterminata e quanto più è a milioni tanto più è popolo e povero popolo.
Gente che vive di poco per non dire di niente, che dipende nel sopravvivere, che è dominata anche nel respirare, senza terra e senza casa, nell'insicurezza quotidiana, che sa che è inevitabile credere a qualcosa e affidarsi a qualcuno, che la speranza non va mai perduta, che ci sarà pur qualcuno che prenderà le difese, che affermerà i diritti, che s'impegnerà per la giustizia, qualcuno che sia diverso ci deve pur essere e se anche le speranze passate sono spaventose, pure qualcuno dovrà pur venire che non sia il solito inganno e entra in gioco la fiducia e insieme la speranza, questa inesauribile speranza dei deboli, dei poveri, di chi non è nulla. Capita l'occasione buona e si riversa la fiumana di popolo e affluisce a milioni acclama, si entusiasma, va in delirio. Ma perché?
Il popolo è forse la realtà d'illusione più impressionante perché forse è fatto d'illusione, vive di null'altro. Anche perché assolutamente il popolo non ha significato e non è un valore. Il popolo che si raduna e si affolla per ascoltare e plaudire, far festa intorno ad uomo, non è popolo. Ascolta le parole, agita le braccia, grida evviva, sorride felice perché ha visto il personaggio e questo è tutto e se ne ritorna a casa esattamente come ne è uscito all'infuori di una crescita d'entusiasmo e lascia le cose esattamente come le ha trovate, come sono da sempre, col solo risultato di aver rafforzato, con la sua partecipazione, il solito sistema, dimostrandosi popolo entusiasta intorno ad un uomo e assolutamente nient'altro, non è popolo di cui sia giusto trovar motivo di consolazione e di ralle-gramento, anche se è popolo di milioni e milioni di persone. Anzi la tristezza è nell'enormità della folla e nelle misure esaltate d'entusiasmo osannate.
Viene da pensare che la cristianità non dovrebbe mai essere popolo anonimo, folla plaudente, esplosione d'entusiasmo.
Quando è la Fede che raduna e fa comunità è per la preghiera, per dare lode a Dio e prendere coscienza e coinvolgersi nei problemi della vita. Queste sono programmazioni d'incontri di folle sterminate da guardare come guarda il personaggio e a cui parlare come parla la personalità eccezionale, richiamano alla memoria l'eterno sistema di sfruttamento del sentimento popolare, della strumentalizzazione, da parte del potere, della fragilità delle masse umane, dell'autoinfluenzamento collettivo, della spietata violenza che è la propaganda, l'oppressione del martellamento psicologico, il convogliamento obbligato ad incanalare la fiumana popolare dentro i solchi internazionalmente prestabiliti.
Uno dei modi più raffinati per togliere la libertà è l'incontro fra il personaggio e la folla, per ridurre alla dipendenza il popolo e spengere la coscienza individuale e collettiva, sostituendovi il progetto furbescamente programmato.
Cosi avvengono le cose nel mondo della storia umana o meglio ancora della disumanità. Non altrettanto, nemmeno come fattore esterno, sia pure anche ammettendo la non intenzionalità propria del mondo, dovrebbe avvenire nel popolo di Dio, nel popolo della Fede, nella cristianità, nella Chiesa e quindi da parte degli uomini di Chiesa.
«Fra voi non sia cosi» racconta con visibile angoscia Gesù ai discepoli, l'ultima sera del suo essere con loro.
So bene che a questo punto e sono povere riflessioni, come dicevo, più sofferenza che ragionamenti, mi si dice: ma quell'uomo che si è incontrato con le folle a milioni del Messico, è il Papa, il Vicario di Cristo, il Maestro della Fede, il Sommo Pontefice, il Santo Padre, il successore di Pietro ecc. (e chi li conosce tutti gli appellativi con cui viene chiamato il papa?)..
D'accordo che si tratta del papa. Ma è forse mancargli di rispetto sentirlo e considerarlo e vederlo «uomo», povero, piccolo uomo, certamente abitato eccezionalmente dallo Spirito Santo, ma non fino al punto di non essere più uomo come tutti gli altri uomini, corpo e anima, cultura (senza dubbio straordinaria) sensibilità, debolezza, fragilità, in condizione di tentazione, capace di vedere e di non vedere, di pensare in un modo piuttosto che in un altro, di subire certe impressioni e di non avvertirne altre ecc. ecc.?
Certo tipo di esaltazione e anche di venerazione, oltre ad essere un'assurdità, è vera e propria inconsistenza di Fede, cioè un modo molto umano di costruire il personaggio per potergli dare più fiducia, bisogna farne un mito, un'eccezionalità, un miracolo vivente, un'ammirazione sconfinata, assoluta... per credervi di più, perché sia possibile maggior Fede.
Ma la Fede si regge e si fonda sugli argomenti di Dio non su quelli degli uomini. E ha per motivazione e per oggetto Dio e tutto il Mistero di Dio. Ridurre la Fede alla dimensione di Fede in un uomo, è molto diminuirla e è pericoloso inquinamento.
Vedere un uomo sia pure papa oggetto di delirio popolare, mi impressiona profondamente. Forse perché questo delirio non lo sento Fede. Forse e è questo il motivo che più avverto, perché un uomo anche se è papa è pur sempre un uomo e la folla è fatta di uomini: penso che il rapporto fra uomini non può e non deve creare diversità d'importanza, di valore, di destino. L'uguaglianza è realtà e valore fondamentale nell'esistenza umana. Ammettere differenze sia pure per motivi di Fede, è giustificare tutte le innumerevoli differenze e sono tutte disumanità, dalla differenza uomo donna fino a quella delle razze umane.
La Chiesa e la cristianità nel mondo, è tenuta ad essere altra cosa e cosi tanto che l'unica differenza possibile e raccomandata vivamente, è che il primo sia come l'ultimo, e chi è servito come colui che serve.
Lo so bene che vivere la propria missione è servizio. Ma è logica ecclesiastica capace di giustificare preferenze, eccezionalità, privilegi ecc. il servizio cristiano non è possibile renderlo secondo i sistemi propri del mondo, pena un inquinarlo fino all'impossibilità di riconoscervi valori di Fede e di Amore.
Ma concludiamo qui anche se il discorso ovviamente potrebbe essere molto approfondito. E' certo che il Pontificato è ancora assai segnato da un uomo papa e folle sempre più sterminate e deliranti di uomini e donne: popolo chiamato, provocato, organizzato per l'entusiasmo, la grande festa, lo storico sacro incontro.
Qualcosa sicuramente di grandioso, di oceanico, immensità sconfinante di gente, entusiasmi ardenti, acclamazioni osannanti ecc.
Speriamo che tutto sia regno di Dio. In questo caso l'infastidimento potrebbe essere sopportato volentieri...
don Sirio
in Lotta come Amore: LcA febbraio 1979, Febbraio 1979
Luigi Sonnenfeld
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