A quel piccolo ormeggio che è la mia botteguccia sull'angolo del piazzale tra la darsena Toscana e la darsena Italia, attraccano personaggi dal passato misterioso che evocano vagabondaggi per i cinque continenti, avventure le più straordinarie, condizioni di vita e rapporti oltre ogni stupefacente fantasia. E sono ondate che si frangono con supremo disprezzo sugli scogli assetati ed ormai immobili dei pensionati che durante il giorno mi fanno corona.
Io continuo il lavoro, ma seguo questo magico rito che suscita fantasmi. della navigazione a vela, dell'inferno delle macchine a carbone, di porti esotici e di avventure, di lavori improvvisati con quell'enorme risorsa ingegneristica che è l'arrangiarsi comunque e dovunque.
E' un ricordare che mi rende triste e mi appassisce di dentro perché è come se esalasse un acre profumo di solitudine. Quanta solitudine. Le vite umane sono come barchette sballottate dal vento e confuse nel mare dai bagliori del sole che tramonta.
Eppure quanta solitudine non dovrebbe esserci nemica, ma sorella in questo nostro vivere. Perché affrontare con coraggio e con scelta del rischio la vita, è affrontare la solitudine. Non quella amara che è frutto di isolamento, di rapporti troncati e vizzi senza speranza di gemme primaverili, ma quella dolce e serena che è la prima condizione dell'amore perché sa di non pretendere nulla dall'altro che non sia una compagnia (di pochi passi o di una vita, non importa) sulla strada che si apre dinanzi.
Solitudine non come isolamento e sconfitta, ma come frutto della povertà poiché comporta strade diverse dall'attività di potere, dalla voglia incessante di trovare gratificazioni nelle cose e nelle persone, per il riscontro di incidenze e risultati. .
Ne viene - sempre più me ne rendo conto - un'accoglienza della solitudine non come un dramma, ma come condizione di lotta per una fedeltà più chiara all'Assoluto e l'abbattimento degli idoli. Una condizione forse approssimabile a quella di un moderno monachesimo, di gente cioè per niente estraniata dalla storia, ma con un preciso senso di custodia e di amore verso ideali anche utopici, ma verificati quotidianamente nella lotta contro il mondo degli idoli che stravolge il volto dell'uomo.
La solitudine può essere come un bulbo di tulipano all'apparenza guasto e inaridito che attende solo di essere accolto nel caldo seno della terra per trionfare di vita e di colore. A chi è dato di farsene carico (e non importa se in cima ad una montagna o nel cuore di una comunità) apparirà stupefacente la possibilità di costruzione di rapporti innumerevoli e diversi non alimentati da inquietudini di ritorni o interessi di qualsiasi tipo. Ci si sente più uomini in mezzo agli altri uomini accogliendo, con simpatia, chiunque cammina sulla stessa strada (sia religioso o ateo questo non ha importanza) perché è bello ricondurre questa esperienza a quella degli uomini antichi fino a Gesù Cristo per i quali non esiste il credente e il non credente, ma colui che crede nell'Unico Assoluto e colui che è idolatra. Chi, nonostante gli inciampi e le cadute, rifiuta di costruirsi idoli e accetta di percorrere l'avventura umana senza esigere che altri gli siano stampella è profondamente fratello dell'uomo, di ogni uomo.
La solitudine vista con la lente della demitizzazione non appare più vuota, ma capace di contenere grande libertà poiché vivere rapporti con gli altri non è chiudere gli anelli di una catena, ma comunicare un sogno, non è evadere verso un mondo costruito a misura, ma assumere il peso della ricerca quotidiana.
II deluso, la persona schifata da questa umanità non può capire e tantomeno accettare. Allora Dio non può essere un comodo rifugio per la propria solitudine e c'è bisogno quindi di sentirlo e di renderlo presente con dei sogni. Chi accetta di giocare il proprio destino in questa umanità non può essere spaventato dalla solitudine e dal silenzio perché sa che il Signore è nel cuore dell'uomo che «ama il prossimo suo come se stesso».
Luigi
in Lotta come Amore: LcA febbraio 1979, Febbraio 1979
Luigi Sonnenfeld
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