Il quotidiano e la Fede

Si tratta di riflessioni personali e quindi vanno tenute di conto in misura molto relativa. Sono provocate da una costatazione: la fatica della Fede si aggrava e si fa sempre più pesante, quasi ad ogni giorno che passa. I motivi che determinano - e hanno tutti il segno dell'inevitabilità, sembra cioè che siano irrimediabili - questa svalutazione della Fede fino al convincimento della sua inutilità, sono ovviamente innumerevoli e non è qui il caso di farne un'analisi.
Ne raccolgo uno di questi motivi, anche perché lo riscontro nella mia fatica di Fede. ma poi mi succede spessissimo di costatarlo, quando c'incontriamo fra amici e parliamo di problemi di Fede, di ricerca di Dio, di preghiera. Succedono un po' a tutti momenti di crisi di difficoltà quando ci capitano situazioni pesanti, vicende dolorose, incomprensioni, colpi duri, nello svolgersi della vicenda della nostra vita.
Ma difficoltà alla Fede spesso non è tanto l'eccezionale, il momento d'emergenza, quanto l'aria che respiriamo, il tran-tran di tutti i giorni, il grigiore per non dire lo squallore delle ventiquattr'ore... il problema cioè del quotidiano. E ormai questa è parola estremamente significativa in questi nostri tempi. Sempre più l'impegno del quotidiano che va vissuto inevitabilmente (il vivere di ogni giorno é spesso una spietata prigione, dove si può avere anche l'impressione di soffocare, ma dalla quale è impossibile liberarci) diventa fatica, come portare pesi insopportabili, come respirare dove non c'è aria respirabile.
L'oppressione del giorno per giorno ci allontana da Dio. Rende Dio lontano, un'altra cosa, troppo diversa dalla realtà che tocchiamo con mano, dura, aspra, terribilmente concreta. E soffocante.
Non ci soccorre e ci consola il pensiero che stiamo facendo la volontà di Dio: perché questa sbriciolatura di se stessi, questo sbocconcellamento del nostro vivere, appare senza significato possibile. Al massimo riusciamo a sopportare, ci riduciamo alla passività, alla rassegnazione: di più é proprio impossibile, ci sembra.
E' pauroso che questa gran parte della nostra vita sia vissuta in un vuoto di Dio: una realtà nella quale Dio non conta niente, fino al punto che quasi nemmeno ci aspettiamo o pretendiamo che Lui possa contare qualcosa.
L'infinito cosa può significare per un granello di sabbia? E separiamo la nostra vita pratica, quella d'ogni giorno, riempita e spesso sopraffatta da mille cose e da innumerevoli pensieri, sensazioni, problemi, dalla presenza di Dio, da una realtà di rapporto con Lui.
La Fede non è luce in una stanza, nella strada, in una fabbrica, in un campo... nel quotidiano della vita. Dio non é Amore fra me e te, con le persone di casa, con la gente con cui parlo e tratto i problemi di ogni giorno.
Quindi Dio non esiste sempre, certamente non esiste tutti i giorni, qualsiasi cosa possa succedere, ma anche se non succede niente perché le cose sono sempre le stesse, ogni giorno sempre quelle.
E impressionante quanto la monotonia quindi la noia e quindi l'asfissia dell'anima, sia malattia di questo nostro tempo.
E è malessere che provoca una strana rabbia, un risentimento misterioso, un nervosismo nascosto, maligno sempre sul punto di esplodere.
Cioè una scontentezza irrimediabile, fino all'intristimento. Fino alla non più volontà di vivere.
Dio ci deve guardare con profonda, infinita pena.
Come una sorgente d'acqua che va a perdersi in un deserto dove si muore di sete.
Come luce di sole, ma le imposte della casa si ostinano a rimanere chiuse.
La materialità del quotidiano con l'oppressione del suo grigiore, del suo non senso, della sua inevitabilità, è un terribile ostacolo alla Fede e un progressivo annebbiarsi dell'idea di Dio.
Come tutto anche la Fede ha bisogno dell'eccezionalità, lo straordinario la provoca e l'accende, i grossi contrasti l'animano e la sostengono.
Mentre rimane esposta al logoramento quando il silenzio l'avvolge perché la solitudine la svanisce e i tempi lunghi la stancano.
Nella monotonia, nel grigiore di ogni giorno, nel tritume della banalità quotidiana, è possibile ritrovare un respiro di valori essenziali, spaziosità interiori dilatate all'infinito, apertura per rapporti profondi e presenze seriamente, concretamente creatrici? E possibile dare significato al niente, rendere abitata la solitudine, ricchezza sovrabbondante la povertà e potenza di vita dove sembra che tutto sia ormai morte?
Penso che spesso il nostro senso di vuoto dipenda da una nostra non conoscenza di Dio.
Non sappiamo chi è Dio e quindi non avvertiamo la sua presenza. Cioè che noi siamo immersi in Lui e quindi colmati. In fondo é vero che la nostra vita non è il nostro vivere ma è il suo vivere: è Lui che vive la nostra vita non siamo noi e tanto meno gli altri e le realtà e i valori che ci circondano e le vicende che avvengono ad essere la nostra vita.
Allora chiaramente tutto è diverso e niente è inutile, a vuoto, senza senso, scolorito, assurdo.
E poi è giusto anche riprendere la considerazione di quello che siamo. Chiunque siamo, ciascuno di noi è un essere umano.
E il nostro corpo è un'infinita preziosità, per se stesso, indipendentemente dalla considerazione di chiunque e dalla svalutazione di attività insignificanti.
E il nostro spirito è vastità di valori: portiamo misteriose possibilità di gioia nel profondo dell'anima, se appena permettiamo che possono liberarsi, sorgenti inesauribili di ideali se consentiamo loro di sprigionarsi, lasciandoci andare con piena e serena fiducia, ad un sognare a cuo-re aperto.
Perché spesso non abbiamo coscienza della nostra dignità e quindi delle nostre capacità a realizzare ciò che di buono e di valido e di estremamente importante è in ciascuno di noi.
Chissà perché così tanto spesso diventiamo prigione del noi stessi migliore, cioè del nostro vero noi stessi e di questa prigione ne siamo i carcerieri spietati e assurdi.
E poi è semplicemente onesto e giusto dare, cioè riconoscere, a questa sbriciolatura del quotidiano i suoi precisi valori.
Non esiste niente che sia niente. Ciò che è dell'uomo ha sempre valore infinito: riassume il mistero dell'universo e ne diventa il segno.
Una stretta di mano vale più dell'accordo che regna fra le galassie. Un sorriso o una lacrima sono più assai del sole al mattino o della cascata di un torrente.
E' perdita irrimediabile lasciar cadere la poesia nascosta nelle cose, la radiosità del sentimento che può illuminare anche l'inutile, il saper dare importanza anche a un filo d'erba.
La banalità non é misurabile dal vuoto di cose importanti, ma dal vuoto di valori dello spirito umano.
Tutto é adorabile, diceva una vecchia frase che mi é sempre rimasta a memoria.
Perché ciò che è dell'uomo è anche di Dio.
Allora anche il quotidiano, qualsiasi quotidiano, è adorabile.
E' assurdo che abbia a slavare e a spengere la Fede ma anzi la deve coraggiosamente impegnare fino alle misure dell'adorazione.
E comunicare al personale di chiunque valori di universalità.
Perché ciò che viene sussurrato all'orecchio nel segreto della propria interiorità viene sicuramente gridato sui tetti, si dilata cioè nello spazio di Dio.
Sarà sempre vero che «chi lotta e soffre su una zolla di terra, lotta e soffre su tutta la terra».


Sirio


in Lotta come Amore: LcA ottobre 1978, Ottobre 1978

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