Incontro preti-operai

Portomarghera 3 giugno 1978
Appunti presi durante l'incontro sul tema «Ha senso pregare per chi vive la lotta di classe?»

SIRIO: Ho sentito, fin da 14 anni, un rapporto strettamente personale tra me e Dio, come realtà che entra nella vita e comincia a comandare. Ho dovuto fare i conti con questa presenza. A volte l'ho subita. Anche l'essere prete è stato deciso da tale presenza, contro la quale ho combattuto per 10 anni. Alla fine ho ceduto.
Posso dire che la mia vita sarebbe completamente diversa se non avessi incontrato Dio. La stessa liberazione nei confronti della Chiesa è avvenuta a seguito della presenza di Dio in me. Presenza creativa.
Tutto il problema della preghiera per me è cosa semplice: dialogo attraverso il quale le mie cose passano a Dio e da Dio in me. Un Dio come «realtà personale».
Vivo intensamente i problemi politici cercando di capire come Dio interviene. Oggi la mia preghiera è faticosa perché sento la pesantezza del momento difficile che stiamo attraversando. Sento la fede come criterio di giudizio per vedere più in profondità e in latitudine.
Non esiste nessuna altra forza che costringa come la realtà di Dio.
Mi sento a volte a disagio per non dare abbastanza tempo alla preghiera. La preghiera collettiva a volte è alienante (salmi, Bibbia, padri della Chiesa... ). Non cosi la preghiera personale con Dio, anche se non sempre chiara.
Credo che chi fermenta la situazione e poi la riordina è la presenza di Dio nella storia.
Fare lettura biblica attualizzata (per es. voterò SI ai referendum anche per motivi di fede).

ROBERTO: Dentro il partito vivo con persone (compagni) che conoscono l'uso costantiniano della fede e la Chiesa come assistenza.
Oggi la Chiesa, i frutti del cui agire sono ateistici, ha fatto tutto «opere di pietà, beneficienza...». Il povero per la Chiesa è semplicemente «ciò che la Chiesa fa per i poveri».
L'ateismo è attribuire a Dio degli spazi umani e a se stessi diritti divini. E' dimenticarsi che è Dio a salvare.
Le masse non pregano più perché la preghiera è uno spazio separato dalla vita Se lotti non preghi, se preghi non lotti. Se lavori non preghi. Dio è diventato prezioso e destinato solo ad alcuni privilegiati. E' a questo punto che la politica rischia di diventare un altro Dio.
Credo che la mia relazione con Dio non possa essere parallela al fare politica, ma intersecandosi con esso. .
Non prego quando le cose vanno male (no al Dio alienante per chi è sfruttato), ma non prego neppure perché Dio sia dei rivoluzionari.
Dio non è di nessuno: non giustifica nessuna scelta politica
Prego pochissimo con i salmi e con le Messe. Lotto contro i luoghi contemplativi (Spello, Bose... ) perché voglio essere serio nei confronti dei miei compagni di lavoro. Voglio una preghiera che sia possibile ai poveri. Dare a Dio una presenza assoluta che non ha niente a che vedere con Chiesa e sacramenti. Un Dio che relativizza tutto perché è più vicino al povero che ha soltanto la sua povertà.
Dio è presente nelle battaglie che faccio (al di là delle vittorie), come solo salvatore, con una presenza a me sconosciuta.
Prego molto anche durante il lavoro, ma in relazione alla presenza del Dio misterioso. Questo mi pennette di lottare perfino contro la Chiesa.

GASTONE: Pur nei casini di questi 10 anni siamo in grado di fare professione di fede, gra-zie a Dio e alla sua gratuità.
Sento la preghiera come momento di deserto. A volte non sono capace di pregare, eppure sento che Dio è vivo e mi chiama.
Quello che ha caratterizzato le nostre lotte, pur in mezzo alla poca chiarezza, è stato l'avanzamento di un certo progetto, che è progetto di Dio. Sento di lodare il Dio di questo progetto. Questa è Messa, eucarestia che esprime unità tra di noi.
La mia vita di fede scarna si rifà a Gesù che si ritirava in disparte per interrogare il Padre. L'incontro con Dio non è un parallelo, ma un incrocio con la vita.
Sento l'importanza della dimensione comunitaria anche se è dura (la vivo in particolare da 6 anni). Al di là delle esigenze personali lasciarsi interrogare dagli altri. Questo stravolge tutte le nostre sicurezze.

SERGIO: E' per me difficile di parlare di fede e di preghiera. Esse fanno parte della dimensione più indicibile della mia vita.
Come ho il diritto di vivere, cosi la mia preghiera ha il diritto di esistere sia nella società, sia nella Chiesa. Ho il diritto di essere accettato come prete operaio, come persona che lotta. E se questo diritto mi è negato dalla istituzione Chiesa, ho intenzione di conquistarmelo.
La preghiera mi aiuta a far sì che il mio lavoro, il mio attivismo non sia qualcosa di geloso (corporativismo). La preghiera mi apre orizzonti di internazionalismo. Di universalismo. Cristo, pur essendo un attivista, si ritira a pregare.
Mi pongo spesso anche il problema del diritto alla preghiera ufficiale della Chiesa (il culto, le varie espressioni liturgiche) perché, nonostante tutto, questa è la Chiesa di Cristo.

UMBERTO: Come parroco gestisco la preghiera ufficiale della Chiesa. Fin da giovane ho riservato del tempo per me e per la preghiera. Se questo mi manca sono morto, non riesco a restare in piedi. Prego di giorno togliendo tempo ad altre attività. Nel silenzio cerco di farmi interrogare dai fatti. Rischio che quel tempo diventi per me alienazione e non incontro con Dio. Bisogno del confronto con la vita della gente. Non essere travolti dagli avvenimenti, ma dominarli.
Dio ci domanda di diventare adulti riguardo alle sue cose. E' infantilismo chiedere a Dio ciò che dobbiamo fare noi. Oggi la storia ci domanda di fare dei passi. C'è il rischio di diventare adulti senza la fede.
A cosa serve la Messa, il catechismo, i sacramenti?
Anche la religione popolare forse deve diventare adulta. Dio vuol fare un suo popolo. Qual'è questo nuovo popolo?
Il problema della Chiesa.

GIANCARLO: Ho sempre avuto voglia di vivere, di lottare, di emergere, forse perché eravamo 12 fratelli. Uno stile di vita che mi ha portato anche a cercare una preghiera più legata al quotidiano.
Sono passato dalla preghiera ufficiale e canonica alla preghiera come fedeltà costante alla vita.
ANNAMARIA: Perché si parla solo tra preti della preghiera? Cosa vuoi dire per noi «persone normali» vivere la preghiera? Come fare perché la lotta e la contemplazione siano di tutti? Che spazio hanno i laici? Eppure anche noi abbiamo il diritto di pregare.

GIORGIO: Vivo una situazione confusa. Dall'origine contadina sono passato alla fabbrica. Prima mi era facile pregare (la campagna e la sua cultura erano la mia realtà naturale) oggi non riesco a pregare.
Come fare affinché la preghiera non sia staccata da ciò che vivo?

PIERO: Se la preghiera è ricerca dell'essenziale alla vita, entrare dentro le cose, è superato il problema della divisione tra vita e preghiera. La vita stessa si fa preghiera. Il volto nuovo della preghiera deve essere la ricerca dell'essenzialità.
Ho frequentato, e lo farò ancora, i luoghi privilegiati della preghiera (i vari Spello, Camaldoli... ) per esigenza di lettura della mia realtà personale.
Mi sforzo di leggere profondamente il quotidiano.
C'è oggi la ricerca del modo migliore per utilizzare il tempo libero. Per certi versi può trattarsi della ricerca dei valori più profondi (essere e non avere).
Preghiera come momento di sintesi di tutto ciò che è essenziale nel quotidiano, nel vissuto, nel politico (la classe operaia).
SIRIO: E' per me essenziale il rapporto con Dio. Sento l'esigenza pressante di concretizzare una vita di preghiera calata nella realtà del nostro tempo. Che questo sia un fatto di preti è già importante.
Ricordo benissimo l'editto con il quale il Card. Pizzardo cancellò l'esperienza dei preti operai francesi: «..è impossibile per un prete vivere la vita operaia perché perderebbe la fede...».
Lo Spirito di Dio continua ad essere libero e soffia dove vuole e porta avanti il suo regno. E' bello poter scoprire la presenza di Dio nella condizione operaia.
La nostra è fede nel Dio creatore del mondo. Dio è dentro la storia in un modo misterioso ma creativo. Presenza di amore.
Dalla storia di Abramo in poi: dialogo e patto di Dio con l'uomo. Gesù ne è l'indicazione più chiara: Dio interviene nella storia determinandola.
Sta al cristiano, è ruolo del prete precisare l'esserci dentro di Dio nella storia. Scoprire la presenza di Dio nelle persone, nei gruppi... Snebbiare tale presenza. .
Chi non cerca la presenza di Dio fa cadere il rapporto personale con lui. Servire la presenza di Dio negli altri (l'amore per i fratelli) anche sul piano pratico. E' difficile scoprire Dio (la fatica della fede) nei fatti che stanno succedendo oggi. La stessa Chiesa annebbia tale presenza e rende quindi più dura la fatica della scoperta.
Entrare dentro, lottare, coinvolgersi senza mezze misure, giocarci tutto: in questo consiste la fede. Creare le condizioni più autentiche di una realtà di preghiera, che è il rivivere e riassumere la ricerca di Dio presente nella storia, in un dialogo con lui. Chi prega riassume per tutti gli uomini questa ricerca. La preghiera personale non è pregare per se stessi. Cristo "gridava a Dio nella notte" (Marco). Chi si immerge nella lettura della realtà non vive l'alienazione.
L'azione è importante però certi coinvolgimenti sono legati alla preghiera. Si possono fare certe cose senza perdersi.
Scoprire momenti di silenzio. Non lasciarsi sopraffare dalle circostanze.

GIGI: La gente del popolo prega in modo semplice. A questo mondo manca la proposta della parola di Dio ed invece sovrabbonda la violenza della Chiesa (interessi, cultura. .. ). Farsi popolo forse vuol dire leggere meno ma capire di più come le persone semplici sanno pregare e incontrare Dio. Cercare i modi per far «parlare» questo stile di preghiera.

ILARIO: Se c'è divisione tra azione e contemplazione è necessario ritrovare l'unità.
Nel modo semplice de «Il pellegrino russo», nella vita di tutti i giorni, nell'essenzialità. Lettura biblica con altri come preghiera. Aiuto a vedere Dio che vive assieme all'uomo.
Personalmente sto facendo esperienza negativa della preghiera ufficiale della Chiesa.
La parrocchia e i suoi gestori, i suoi strumenti non sono più dei poveri. Cercare la contemplazione nella vita di tutti i giorni.

GIANNI: Devo dare un nome a Dio, affinché non resti da me troppo lontano. A 20 anni lo chiamavo AMORE. Oggi non riesco a trovargli un nome, a causa della formazione ricevuta in Seminario che mi ha costretto a cristallizzare concetti ed espressioni. Ma il popolo non cristallizza ed è più fedele. Vorrei essere un prete della gente ed essere capace di chiamare Dio con i nomi con cui la gente lo chiama.

UMBERTO: Riuscire a pregare è un dono di Dio. E' Dio che insegna a pregare. E' necessario per tutti fare un cammino personale perché Dio, che dà a ciascuno una particolare missione, insegna a pregare a ciascuno secondo la sua missione.
Mi dispiace allora se non sono capace di pregare come prete (con una particolare posizione sociale, ecclesiale, politica ed economica).
Farsi voce di chi non è capace di pregare. Aver il coraggio di sognare anche l'impossibile. Sta al prete il compito di scoprire l'immensità del progetto di Dio cui niente è impossibile. Fare il grido del popolo. Penso alla preghiera di chi non va in chiesa. La pietà popolare non deve diventare ateismo. Eppure un certo tipo di preghiera è fatto apposta per i poveri (Padre nostro). Non è vero che levando le formule la gente impari a pregare. Gradualmente Dio trascina la gente a diventare adulta, ma non spetta a me far percorrere tutto il cammino.



Gianni Manziega


in Lotta come Amore: LcA giugno 1978, Giugno 1978

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