Umanità di uomo

Frascati, maggio '78
Fratello carissimo,
come ti accennavo precedentemente, questo per me è un periodo di grazia e di riscoperta del «gratuito» che viene da Dio.
In questi mesi di solitudine «frascatana» sto riscoprendo nella sua complessità il dono del celibato per Cristo e per il Regno.
Come per la preghiera, anche per il celibato la scoperta è quotidiana, progressiva, come quando entri e cammini nel mare e l'acqua ti avvolge sempre più fino ad esserne totalmente «preda».
Parlare di celibato per il Regno e di dono gratuito di Dio significa altresì accettare nella sua crudezza "l'angoscia" profonda cui si va incontro e che giunge fino al tormento.
Infatti mentre nutro il profondo desiderio di vivere la mia dimensione di uomo «globalmente», mi accorgo di avere paura ad «accogliere» dentro di me la terribile lacerazione della carne quando deve convivere in una reale unità con lo spirito.
Capita allora di essere tentati a ignorare o peggio a mascherare la lacerazione profonda e costante, o ancora a trovare giustificazioni psicologiche e intellettuali per decidere con buona coscienza di essere solo o «uomo secondo la carne», oppure «uomo secondo lo spirito», eliminando così totalmente la propria umanità che richiede «accoglimento doloroso di entrambe le realtà».
Accettare fino in fondo la mia umanità di uomo che ama, che soffre, che ha bisogno di essere riamato, di uomo che ferisce e che è ferito, che ha donato tutto se stesso senza riserve non solo nel suo cuore e nel suo spirito ma anche nel suo corpo... è proprio allora che la contraddizione diventa dramma e produce l'angoscia, perché la carne urla e vuole il «possesso» dei beni della terra (e i possesso rende schiavi), e lo Spirito porta invece ad amare senza possesso, a donare senza calcolo, a lasciarsi spogliare di ogni cosa, a morire realmente giorno dopo giorno.
Accogliere questa contraddizione in me stesso, senza sublimazioni né attivismo alienante, mi sta portando lentamente su un cammino molto umile e nascosto, spesso incompreso anche dagli amici, perché fuori da ogni schema. C'è infatti il rischio ai esser visto come «mezzo» prete e «mezzo» uomo, perché la mentalità comune non accoglie l'uomo globale, ma vuole l'uomo solo secondo la carne e il prete come angelo solo secondo lo spirito.
Accettare pienamente la mia umanità vuoi dire amare senza riserva, accogliere il bisogno di essere amato, «senza possesso».
E' amare conoscere una donna nella sua realtà globale, accogliendone la complementarietà: è un dono gratuito di Dio che viene offerto nell'amica, nella sorella, ... ma è un dono che non «mi» appartiene.
Fratello carissimo, sono convinto che questo non è tutto, né riesce ad affrontare le molteplici implicazioni della scelta celibataria, quanto ti sto scrivendo ha soltanto ìl valore della mia esperienza (limitata e particolare) che diventa ogni giorno più parte della mia vita.
In questa accoglienza dell' «altra» la gioia e il dolore ti esplodono dentro, la gratitudine e il vuoto, il tutto e il niente, e ti consumano giorno dopo giorno.
Inizia così la lotta contro la volontà del possesso, lotta violenta che non si combatte una volta per tutte, ma ad ogni istante della vita; lotta che diventa violenza pura e che nei momenti più oscuri porta a desiderare la pace della morte come liberazione da una tensione così folle ma così inevitabile. Credo che proprio attraverso questa dolorosa liberazione dal possesso si può giungere a amare liberamente e totalmente, dando tutto se stessi e giungendo ad una sempre più «profonda comunione» con chi ti sta accanto: allora il mio dolore sarà quello degli altri, la mia solitudine sarà pienezza per gli altri, il mio amore sarà gioia per gli altri; gli altri saranno la mia vita, la mia gioia per gli altri; gli altri saranno la mia vita, la mia gioia, la mia realtà di uomo vero.
In questa scelta di vita so di non essere solo. Assieme a tanti altri «pazzi di amore» credo di essere alla scuola del Cristo crocifisso che ha provato fino in fondo l'angoscia della morte.
Ma so anche che Lui ha vinto la morte e ha dato a noi una vita "nuova", così che noi viviamo per lui.
Ancora oggi noi cristiani parliamo della croce con commozione, direi con poesia, come di qualcosa di «bello» e che ci riguarda solo metaforicamente. Al contrario, io credo che la croce sia stata orrenda e che abbia provocato sentimenti di ribellione e di disperazione...
Il cristiano non può sfuggire a questa croce: chi non prende ogni giorno la sua croce e non mi segue non può essere mio discepolo, dice il Signore; ci va incontro, invece, non cedendo alla tentazioni di facili compromessi che addormentano la coscienza, memore delle parole del Cristo: Non temete! Io ho vinto il mondo.


Baldassarre


in Lotta come Amore: LcA giugno 1978, Giugno 1978

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