Che cosa fare?

Camminiamo di buon passo giù per la strada che scende da Marino passando per orti ben curati, la terra nera saziata da acque abbondanti.
La gioia di un cielo finalmente sereno ci aiuta a non crescere il peso delle difficoltà quotidiane. Il discorso si avvia oltre ogni possibile amarezza. E' vero che ci martella da troppo tempo questa domanda inquietante: che cosa dobbiamo fare? E' vero che questa domanda resta al di là dei tentativi compiuti per una risposta che non è mai stata esauriente. E' quindi una domanda tutt'altro che ingiustificata, ma preoccupa il fatto che essa si ripete ormai da troppo tempo quasi a ribadire una condizione di stallo. Non possiamo continuare a ripetere analisi ormai scontate dal momento che tutto quello che poteva costituire impedimento di qualsiasi genere sembra essere scomparso o quanto meno attenuato. Possiamo tranquillamente dire che tutto ciò che si poteva distruggere sembra distrutto, ma sul deserto non fiorisce novità di vita.
Al di là delle cose da fare preoccupa questa strana, avvilente sterilità.
Non è che sia venuta meno la speranza del cuore o la chiarezza interiore della fede. Ma è spesso valore talmente confinato nell'intimità della coscienza da risultare come energia del tutto personale.
Perché tanta difficoltà ad avviare un cammino in novità di vita che non sia ricerca intellettualizzata o semplice arroccamento su posizioni di difesa e di resistenza?
E' vero, difficoltà ne troviamo tantissime, ma è sufficiente questa amarissima frequente constatazione a spiegare l'incapacità di iniziativa?
Forse Dio, per misteriose sue ragioni vuole confondere la mente che lo cerca. Forse si sta ripetendo per noi l'esperienza della generazione del deserto destinata a vedere con i propri occhi la terra promessa. Possiamo però anche chiederci se dietro tutta una ricerca che non trova fecondità, vi sia in effetti un vuoto mascherato dall'elencazione dei problemi da affrontare. Può essere che ci ripetiamo spesso la domanda su che cosa fare perché abbiamo perso la lucida e chiara percezione dei motivi del nostro agire? Non può forse nascondersi in noi come una mentalità da vecchi combattenti ormai così identificati con lo scontro al punto da avere smarrito il coraggio di seminare per il domani e di sognare un mondo di pace?
E' dunque, e prima di tutto un problema di fede? Probabilmente si.
Problema di fede sofferto nella solitudine da chi difende la propria coscienza di credente dall'invadenza di questo nostro mondo, ugualmente faticato da chi proietta ogni energia nella lotta per l'uomo in questo nostro tempo.
Può darsi che non sia piena in noi la gioia per il limite preciso che ci attraversa ed è l'appartenenza a Gesù Cristo, la giustificazione della nostra esistenza che sta nel fare memoria del Nome del Padre. Perché non compete a noi fare miracoli di creatività o esibirci in tutta una serie di scelte sia pure scaturite dalle analisi più illuminate. Ciò che importa è decidere se veramente crediamo che essere cristiani è essenzialmente portare avanti le cose che interessano a Lui prima che disquisire sui modi, sulle forme e sulle esplicitazioni verbali. Dal momento che questa chiarezza si stabilisce acquistano importanza anche le nostre scelte, ma risultano altrettanto estranee da ogni contesto angosciante dal momento che la scelta fondamentale l'ha compiuta Lui e ce la propone in forma di croce piantata sul mondo. A noi il compito di esservi fedeli.
Credo che sia cosa estremamente importante questo aiutarci gli uni gli altri in un clima di reciproco rispetto, di accoglienza sincera, di desiderio di novità di vita. Ciò può avvenire rinnovando l'atto di fede fondamentale in Gesù Cristo perché in Lui è possibile incontrarsi senza che questo segni il possesso mio o tuo dal momento che noi siamo suoi. lo credo che un cristianesimo nuovo prenderà forza nella misura in cui questo discorso uscirà fuori dalle liturgie più o meno ufficiali, dalle espressioni di principio, dalle intenzionalità spirituali e diventerà sforzo quotidiano, conversione costante, desiderio sincero di servizio all'uomo. Quando cominceremo a raccontarci le difficoltà realmente incontrate volta volta, smettendo di razionalizzarle quasi a farcene scudo di buona ragione, allora credo che non ci chiederemo più che cosa dobbiamo fare perché già la strada si è aperta.


in Lotta come Amore: LcA giugno 1978, Giugno 1978

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