Solitudine e fede

Carissimo fratello, sollecitato da alcune risposte alla mia ultima, nell'occasione della Pasqua, ti invio la presente per continuare il nostro dialogo «a distanza».
La grave situazione politica e sociale che si è venuta a creare in queste ultime settimane, ci impone una seria riflessione e ci chiede senza dubbio risposte e atteggiamenti di coerenza e come militanti nel movimento operaio e come credenti nel Signore Gesù.
Per questo penso che la riflessione che ho scritto in questa lettera possa servirei come terreno di maturazione e di lotta.
Prima però di entrare in questa riflessione specifica, intendo manifestarti con semplicità alcune considerazioni sulla «solitudine» che sto vivendo e a cui ho già accennato in una mia precedente lettera.
Deve essere chiaro che non intendo affatto tessere le «lodi» della solitudine. Ma la grazia che in essa mi è data quotidianamente è sempre maggiore, tanto da spingermi a pensare che tale condizione di vita «in qualche modo» debba essere di tutti i credenti.
Proprio in questi ultimi mesi ho potuto constatare come, immerso nei problemi del lavoro, quasi schiacciato dalla gravità della crisi e dell'attacco alla democrazia, nella solitudine e nel silenzio ho trovato il modo non solo di continuare a «stare dentro» a queste realtà dure e difficili, ma allo stesso tempo ad avere lo sguardo di chi a distanza ne valuta la portata e gli orientamenti e «si spinge oltre».
Nella solitudine e nel silenzio ho rivisto i progetti per gli uomini di oggi e li ho confrontati col progetto di salvezza dell'evangelo di Gesù. E tutto questo, credimi, è bello e ti dona gioia; scopri che è gratuito, e ti dona speranza.
La solitudine e il silenzio stanno diventando per me l'ambiente adatto (direi indispensabile) per incontrare il Signore, e allo stesso tempo per ritornare a inserirmi nella lotta, (che spesso non è esaltante, e di cui non scorgi immediate vittorie) il modo «gratuito» cosciente e personale, per trasformarla dall'interno anche con il mio apporto debole e particolare.
La solitudine e il silenzio mi stanno insegnando a «fare spazio» dentro di me all'ascolto di Dio, alla sua voce, addestrandomi allo stesso tempo «all'accoglienza del fratello» che mi chiede, oltre a risposte concrete e immediate, sopratutto di instaurare con lui una «comunione di vita».
Nella solitudine sto avvertendo sempre più forte l'esigenza della «povertà»:
- povertà come accettazione fino in fondo della mia reale debolezza nella quale Dio manifesta la sua forza di salvezza;
- povertà come non possesso di sicurezza, ma continua disponibilità alla Parola di Dio.
Tale povertà dell'esodo è richiesta veramente per una purificazione dell'atteggiamento profondo di fede; .
- povertà come partecipazione gratuita del dono ricevuto. Per questo sul posto di lavoro mi trovo oggi nell'atteggiamento di chi partecipa, «è presente» (come ultimo arrivato) a un lavoro grande e serio per la classe operaria e per gli «ultimi», e non penso affatto a etichettare come «ser-vizio» tale presenza, né come «testimonianza» il mio riferimento a Cristo nella condizione di lavoratore.
Carissimo fratello, nella delicata fase che stiamo attraversando, occorre certamente che ricerchiamo la «profezia» che ci interpella e alla quale dobbiamo prestare il nostro servizio.
Penso che questo sia un compito specificatamente nostro, di coloro cioè che sono «soli», nulla posseggono, sono liberi da schemi e poteri che spesso costringono, e restano in ascolto della Parola e del grido degli ultimi.
E' in questa luce che nella riflessione ho accostato la Passione del Cristo a quella del nostro popolo, e degli altri popoli che lottano per una liberazione totale.
Mai come quest'anno la celebrazione della Pasqua di Gesù è stato momento essenziale della professione di fede nella risurrezione, nella vittoria di Dio e dell'Uomo-Dio Cristo Gesù sul male, sulla morte, su tutto ciò che si oppone alla vita, a partire dall'accettazione della passione e dell'impatto con la tentazione.
Immersi come siamo (quasi sommersi) in una situazione di crisi, di disoccupazione, di disgregazione, di attacco alla convivenza civile e democratica, stiamo vivendo soprattutto a livello collettivo la nostra «passione».
Proprio in questa realtà così grave (di vita o di morte, di paura o di speranza, di sfiducia o di lotta) siamo chiamati dalla Parola rivelataci in Cristo a «vegliare e pregare per non cadere in tentazione». E tale atteggiamento non può nascere che da una profonda fede che «Dio è al nostro fianco» e che «non permetterà che il suo Santo veda la corruzione».
Per la tentazione ci si attrezza con la vigilanza e la preghiera.
La vigilanza porta a scorgere «i segni dei tempi», a vedere il disegno di salvezza nella nostra storia di oggi, a non lasciarsi andare alla sfiducia o alla stanchezza di una ricerca continua e quotidiana;
La vigilanza ci permette di scorgere la «presenza di Dio» sul nostro cammino (che può essere la croce) e a farci coinvolgere nelle scelte che da lui ci provengono.
La vigilanza oggi ci chiede di verificare lo spessore della nostra speranza e di affinare il nostro sguardo «oltre» l'immediato e il dato sociale dei fenomeni, per vedere la storia con lo sguardo dell'uomo di fede.
La vigilanza poi non va separata dalla preghiera, da quell'atteggiamento profondo per cui ponendoci di fronte a Dio ricerchiamo la sua volontà e con fiducia e gratitudine ci incamminiamo dietro la sua luce.
La preghiera che nella semplicità della sua espressione nasconde l'incontro tra Dio e il credente, incontro di comunità, di gioia, di speranza.
La preghiera che è «attesa vigilante e fiduciosa del Signore che viene», e che nella sua venuta realizza la salvezza piena e complessiva di chi «in lui si rifugia», del popolo che si è scelto come suo.
Vigilanza e preghiera per non cadere nella tentazione
Come Cristo che nel deserto, forte della Parola di Dio, supera le tentazioni del potere, delle ricchezze, della religione-magia per assoggettare e possedere la forza della, divinità. .
Come Cristo che nell'orto del Getsemani è disposto ad andare anche incontro alla morte per rimanere obbediente al Padre che lo chiama ad essere il suo servo, nella logica della croce (secondo la profezia del profeta Isaia).
Nella nostra tentazione odierna collettiva ci viene chiesto dalla Parola di Dio di «non abbandonare il campo», di non lasciarci prendere dalla sfiducia o da facili soluzioni individualistiche.
Nell'orto del Getsemani Cristo conclude la sua preghiera con una frase che non indica rassegnazione, ma accettazione piena e consapevole di compiere la volontà del Padre, dalla quale soltanto viene la salvezza: «sia fatta la tua volontà! ».
Non si tratta quindi di chiedere a Dio di toglierci dalla croce (scendi dalla croce e ti crederemo), ma di rimanere al nostro posto fino all'ultimo con la sicurezza che ci viene dalla fede: «se il chicco di frumento non muore non porta frutto».
Oggi chiaramente la nostra fede nella resurrezione non si può fermare a semplice affermazione, ma ci chiede un reale coinvolgimento per una partecipazione diretta alla morte del Cristo così da partecipare già da adesso alla sua resurrezione.
Carissimo fratello, mentre ti scrivo la presente (è il 18 marzo) è chiara in tutti noi la sensazione del momento politico di estrema gravità.
E altrettanto chiaro è in noi il presentimento che siamo all'inizio di un periodo delicato e difficile di cui non sappiamo prevedere la durata.
Quello che sappiamo è che occorre attrezzarsi per un nuovo «esodo», con la consapevolezza che in questo cammino dovremo man mano abbandonare gli idoli di questa società dei consumi e del profitto capitalistico, sostenuti giorno dopo giorno dal pane della Parola di Dio, sorretti dalla fede che il Signore ci conduce verso una liberazione «totale» e piena.
Questo esodo segna senz'altro un nuovo periodo, quasi una «nuova creazione»: perché dalla distruzione dei sistemi e dei poteri di oppressione nasca una «nuova società», un «nuovo popolo», un «uomo nuovo», così come è uscito dalle mani di Dio, così come abbiamo contemplato l'Uomo nuovo, Cristo Gesù: obbediente al Padre fino alla morte di croce, amico degli uomini fino a dare per essi la sua vita.
E' questo Cristo Gesù, rigettato dagli uomini, abbandonato dai suoi intimi, apparentemente abbandonato da Dio, che nella sua resurrezione è stato costituito «il Signore».
Carissimo fratello, con questa lettera ti giunga l'augurio di vivere la Pasqua del Signore nella sua interezza e profondità, a livello personale e a livello collettivo. Vivere la Pasqua ci chiede oggi vivere la nostra realtà di passione senza sconto alcuno, con la certezza che il Cristo Gesù per primo ha già vinto il male e la morte inaugurando i «tempi nuovi».
L'articolazione di questa passione va ricercata nella vita di lavoro, nella vita sociale ed ecclesiale: a noi è chiesto di «esserci» con lo sguardo rivolto al RISORTO.
Nella speranza di continuare il nostro dialogo, ti chiedo di ricordarti di me quando stai davanti al Signore.


Baldassarre


in Lotta come Amore: LcA aprile 1978, Aprile 1978

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