Speranza nella solitudine

Nei primi giorni di Gennaio il mare a Viareggio si è preso due vite. Padre e figlio di 14 anni, due pescatori caduti in acqua per un colpo di mare, forse l'uno per soccorrere l'altro. La barca era stata acquistata una quindicina di giorni prima dal padre deciso a riprendere la vita sul mare dopo una lunga parentesi a terra nel commercio del pesce.
E' stato un pomeriggio amarissimo, di sfiducia e di stanchezza infinita nella attesa risultata vana che l'elicottero riuscisse ad individuare anche il corpo del ragazzo. I pescatori inchiodati a piccoli gruppi sulla banchina di fronte alla Capitaneria di Porto, straniti dallo spietato richiamo alla dura realtà di un lavoro che tanto poco concede alla vita.
Intorno a loro i commenti della gente, dei passanti incuriositi e contenti, al tempo stesso, di non far parte di quel mondo, ma di vivere al sicuro, con le proprie prudenze, le saggezze di chi non rischia mai, di chi ha trovato un lavoro dove non ci piove, dallo stipendio assicurato dalla fatica degli altri.
E' cresciuta allora la voce di chi non vuol essere coinvolto, di chi ha fatto della vita un bozzolo ben protetto a difesa di un'esistenza da larva. E avevano tutti ragione a denunciare la condizioni di lavoro ben oltre il limite della sicurezza, le attrezzature inesistenti, la voglia di strafare, l'ignoranza dei propri limiti. Tutte cose terribilmente vere a giudicare in un modo inequivocabile il comportamento di quel padre incosciente che per una cala in più e una cambiale in meno ha rovinato e sfasciato una famiglia.
Sentivo che tutte queste considerazioni erano lucidamente vere, ma non le potevo più ascoltare. Mi pareva proprio che dietro questa facciata di rispettabilissima prudenza e di giudiziosa responsabilità, si nascondesse la gioia feroce di chi ha la riprova delle proprie scelte. Non c'era rispetto, né pietà , non c'era davvero amore. C'era solo il giudizio che allontana ed inchioda il peccato sull'esistenza di alcuni perché altri possano avvolgersi nei gelidi paludamenti della giustizia.
Questa umanità non vuole più soffrire per delle speranze, per delle attese. Forse troppa è stata la delusione per non rifugiarsi nella garanzia, nella sicurezza, nella vita protetta e liberata da ogni responsabilità. Tornare indietro non è più consentito se non a prezzo di una dolorosa esperienza di solitudine e del rischio di morte. Un sistema economico e politico ha risucchiato gente dalle campagne per sbatterla nei ghetti delle periferie a servire la fabbrica, poi ha pescato a man bassa nel mondo operaio per imborghesirlo nei servizi. Chi tenta di camminare contro corrente deve farlo sapendo di rischiare tutto senza contare su alcuna solidarietà.
Credo che ogni speranza oggi si debba giuocare nella solitudine di una coscienza che non si rifiuta al dialogo, che cerca il rapporto e la comunione, ma senza farne il presupposto per ogni ricerca. Non dobbiamo avere paura di vivere con sincerità un'esistenza che non raccoglie adesioni; la nostra paura deve essere tutta rivolta verso il pericolo di vivere un'esistenza che non aderisce alla realtà profonda di questa nostra storia, di questa umanità. La solitudine non è rifiuto d'amore, non è tirare i remi in barca, non è fuga in un mondo tutto privato. Almeno non mi sembra di viverla nel lavoro, nei miei impegni, come una dimensione lacerante. La sento invece come volto autentico e sincero dell'amore, del mio amore oggi, in questo tempo.
Forse reagisco al giudizio dei più su quel terribile incidente in mare perché anch'io mi sento coinvolto nel giudizio di pressappochismo, di ingenuità e di estrema fragilità di tutto quello che sto facendo. Ma ci sono strade, e possono essere appena dei viottoli, che uno sente di dover battere, anche se accanto svetta un'autostrada. Forse per ostinazione o per senso di contraddizione, ma anche credo con innocente fiducia che un senso ci sia e che quindi vi sia anche un po' di amore.


Luigi


in Lotta come Amore: LcA gennaio 1978, Gennaio 1978

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