Carissimo fratello,
ti scrivo dalla mia cameretta di Frascati dove mi trovo dal 1 settembre «appartato» ma non «solo», avvolto dalla presenza di Dio, in ricerca della sua azione di salvezza per gli uomini di oggi, con una grande ansia di comunione con gli altri uomini e con le creature, ansia che sale di giorno in giorno e si trasforma in lotta, partecipazione, eucarestia.
Mai prima di adesso ho sperimentato da una parte la mia piccolezza e povertà, e allo stesso tempo la profondità dei vari momenti della mia vita di operaio e di prete. Credo di potermi raffigurare in questo periodo ad un bracciante agricolo dei nostri paesi del Sud che aspetta sulla piazza chi lo chiama a lavorare nella sua vigna; che non ha un suo campo, né un lavoro stabile e continuato, così che è costretto a continuare il lavoro iniziato da altri, o a iniziarne uno che forse non porterà a completamento; (anche nel vangelo c'e una parabola di Gesù ambientata in tale contesto). Così sto studiando la bibbia con un gruppo di adulti, la domenica celebro l'eucarestia e faccio la predicazione in una parrocchia della periferia romana, qualche volta mi intrattengo con dei compagni di lavoro a parlare della nostra fede in Gesù... al di là di questi momenti che alcuni chiamano "pastorali" c'è il grosso della mia vita: la fabbrica e la solitudine. Sono questi due momenti che ali-mentano la mia vita: l'uno richiama l'altro, l'uno è monco senza l'altro. Mi viene in mente quella pagina di Bonhoeffer che dice: "Il nostro essere cristiani si riduce oggi a due cose: pregare e operare tra gli uomini secondo giustizia".
Oggi voglio vivere fino in fondo la mia dimensione di operaio e di uomo di fede perché la liturgia che compio quotidianamente è una liturgia "laica", vissuta con e per il popolo, dalla quale traspare come in filigrana attraverso la fede il disegno storico di liberazione per gli uomini chiamati a una salvezza sempre più piena e profonda della quale Cristo ci ha fatto dono. Nel vangelo leggiamo che Cristo, è stato crocifisso fuori della città, fuori dal Tempio; e sappiamo che la sua morte è il momento culminante della sua liturgia, e non quello dell'insegnamento o dei miracoli: è l'uomo che vive in pienezza la sua vita che rende lode a Dio.
Il lavoro in galvanica, a contatto con acidi e cianuri, esige periodi di ossigenazione nei boschi e nelle pinete, porta a conoscere e a gustare la pace e la profondità della natura e a ricercarne l'intimo rapporto con la vita mia e degli altri uomini. Allo stesso modo mi immergo nella mia solitudine al termine del lavoro di fabbrica e dei momenti "pastorali", e giorno dopo giorno mi sento sempre più a mio agio in questo isolamento, che è pieno di Dio e degli altri. Nella solitudine sto scoprendo la dimensione biblica del «deserto», luogo dove l'uomo riscopre la radice del suo essere, il suo posto nella storia, e la presenza paterna di Dio che gli diventa familiare (come narra la Genesi dei progenitori). Nel deserto Mosè incontra Dio che lo invia a liberare il popolo schiavo degli Egiziani; nel deserto Cristo affronta le tentazioni del potere, delle ricchezze, del prestigio e inizia la sua missione quale "servo di Javéh".
Le problematiche esistenziali vissute durante il giorno le porto in me e le medito assieme ai testi biblici con i quali sto entrando in dimestichezza, Ciò che mi anima oggi in tutto ciò è la costatazione di un atteggiamento di vita che vado assumendo verso Dio e verso gli altri, e ancora una grande pace e serenità.
Quando 6 anni fa ho iniziato il lavoro operario sono entrato in crisi: mi sono accorto di non sapere pregare, e che ciò che chiamavo preghiera non aveva un valido rapporto con la mia vita. Nel frattempo mi ero immerso (letteralmente) nella lotta sindacale e ne scoprivo la portata sociale e umana al punto da crederla l'unica cosa valida per me, mentre constatavo che non esauriva affatto quella sete profonda di comunione e di giustizia, quella sete di Dio che mi bruciava dentro. La crisi di preghiera era l'aspetto più forte della crisi di fede: aveva un senso credere e lottare insieme? Dopo molti mesi ripresi a costruire momenti di preghiera, anche se un po' staccati dalla mia vita di operaio. Fu allora che mi accorsi che mi mancava l'atteggiamento profondo della preghiera: stare davanti a Dio, mettere al centro della propria vita il suo disegno di salvezza.
Adesso più che dire che cosa è la preghiera, cerco di pregare, e se possibile a lungo, e sto scoprendo nuove dimensioni interiori che non mi staccano affatto dalle lotte di fabbrica e dall'impegno quotidiano, anzi li trascendono di molto e mi immettono nel piano della costruzione dell'uomo «nuovo» proteso verso la costruzione di «cieli nuovi e terre nuove».
Baldassarre
in Lotta come Amore: LcA gennaio 1978, Gennaio 1978
Luigi Sonnenfeld
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