C'era un 'anfora antica. La cosa risale a tantissimi anni fa, anzi si tratta senza dubbio di secoli e forse di secoli di secoli.
Anzi quanto più il tempo è remoto, meglio è: il significato del racconto acquista un valore che stupisce ancora di più.
Perché questa storia si racconta per suscitare fiducia nell'animo di chi è in pena perché non vede venire a frutto le sue imprese, non soltanto, ma pensa perfino che passata una primavera e tanto più se sono tante primavere non avendo visto spuntare niente, tutto ormai sia morto, non ci sia più speranza. E che sia vana quindi l'attesa.
É molto sbagliato pensare così. Perché ecco intanto cosa può succedere nel mondo. C'era dunque un'anfora. Era stata seppellita nella tomba del re. Ammettiamo pure che si tratti di un faraone dell'Egitto.
Nell'anfora avevano messo del grano. Il re poteva averne bisogno o per farne una focaccia e mangiarsela a merenda, un pomeriggio, se gli fosse venuta fame oppure se si fosse trovato in buone terre, poteva anche farlo seminare quel grano: gli avrebbe reso sicuramente dei buoni raccolti.
Sta il fatto però che, chissà per quale ragione, il re non apri mai l'anfora nascosta, accanto a lui, nella sua tomba. E il grano rimase li, chiuso ermeticamente nell'anfora. Intorno al tappo avevano colato della cera e quindi nemmeno l'aria sapeva che dentro l'anfora si nascondeva del buon grano.
Passarono gli anni, i secoli, e forse i millenni, tanto non ha importanza il tempo più o meno lungo che sia.
Un giorno dei ladri si azzardarono a turbare gli antichi sonni del re. Si trattava di ladri moderni, di quelli che sanno bene che le cose antiche sono preziosissime per via degli scienziati che ci studiano, dei ricchi che se ne fanno un vanto. Sta il fatto che i ladri misero a soqquadro quella tomba di re e rubarono tutto compresa la mummia reale.
Anche l'anfora col suo segreto sigillato, fu portata via. Un pezzo qui, un pezzo là, tutto fu venduto di soppiatto, perché si sa eran cose rubate e per di più antiche.
L 'anfora pare che di mano in mano andò a finire sul tavolo di uno studioso di archeologia, cioè uno che guarda soltanto voltato all'indietro. Fu sistemata in bella mostra insieme ad altri pezzi. E lì fu dimenticata.
Un giorno però, quando si dice il caso, la donna di servizio spolvera lo studio dello studioso dell'antico. E non si sa bene come è andata, ma l'anfora, come se avesse uno spiritello in pancia, cade di sul mobile sul pavimento e nonostante il tappeto e il grido soffocato della povera donna - e non sapeva che era causa fortunata di un miracolo quella sua sbadataggine - va in mille pezzi.
E sul tappeto persiano si spande a ventaglio una spipporata di grano, grano autentico mietuto - quante migliaia di anni fa? - sulle pianure d'Egitto fertilizzate dall'alluvione del Nilo.
Il grano fu raccolto con amorosa cura. Fu trovato un contadino, un buon pezzo di terra. E fu seminato, al tepore d'ottobre, nel seno caldo dei solchi.
E i solchi si rivestirono di verde e crebbero gli steli di grano e poi la spiga e a giugno era frumento dorato di sole.
in Lotta come Amore: LcA marzo 1977, Marzo 1977
Luigi Sonnenfeld
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