Vorrei tanto riuscire ad esprimere con chiarezza e semplicità quello che scorre nel profondo del cuore e dell'anima, alla radice stessa della propria vita. Una realtà di fede e di amore, una speranza ancora non vinta e non fiaccata dalla fatica quotidiana, dalla scoperta della nudità e povertà dell'esistenza umana, dalla solitudine e dal dolore. Esperienza semplice ma vera di un cammino che si compie dietro una chiamata ad uscire dalla terra dei propri idoli per seguire il Dio vivo, il Dio che libera e salva attraverso il deserto, la perdita di ogni potere di dominio sugli altri, la scoperta pagata di persona che solo il dono di sé ha senso e che la vita di ogni creatura appartiene in modo assoluto al suo Creatore.
Questo cammino che io riconosco come un «esodo» personale che ha attraversato la mia vita e mi ha costretto a mettermi in viaggio senza bastone né bisaccia né denaro nella borsa, né sandali di ricambio, sento che tuttora mi incalza come un destino a cui è impossibile sfuggire. C'è qualcosa che preme e costringe a riprendere la strada quando tutto sembrerebbe pronto per una lunga sosta; bisogna disfare le tende, riprendere i pochi bagagli - ma, soprattutto - riaccendere il fuoco della fede e della speranza, la fame e la sete di nuovi orizzonti, la passione ardente per il regno di Dio e continuare la marcia.
É come un essere strappati di continuo dalle proprie radici, messi sottosopra come le zolle dal vomere dell'aratro ad ogni nuova semina, potati e sfrondati di ciò che non serve a far frutto come il contadino prima di ogni primavera fa con la vite. Esperienza semplice ma vera di una Presenza che non è dimostrabile con le nostre misure ed i nostri modi di ragionare, ma che si fa sentire più viva e palpitante del proprio sangue, perché è più forte della voglia stessa di vivere, più incalzante del tempo che passa, più decisiva di ogni altra ragione personale. Diventa l'unico motivo per cui si procede, la bussola della rotta da seguire, il traguardo della corsa, il principio e la fine, il senso di tutta la ricerca individuale e collettiva.
Rileggendo gli anni trascorsi sulla pista segnata da questa mano misteriosa mi rendo conto sempre più che l'esperienza più completa che forse ho fatto è proprio quella che nella storia della Salvezza è rimasta come il cardine della fede di tutto un popolo: esperienza di un Dio che ti viene a cercare, ti mette in marcia, ti segue giorno dopo giorno, ti ama e ti perseguita, ti accarezza e ti frusta purché sia possibile arrivare là dove è scritto che si arrivi, là dove la pista cominciata ha il suo vero termine. Ti rende libero perché tu possa essere motivo e speranza di liberazione per tutti, ti rende buono perché tu costruisca la bontà con gli altri, spezza i tuoi idoli, i tuoi falsi ideali, le tue bugiarde verità perché sia possibile riconoscere l'Unico Signore della vita, la Verità che può colmare ogni ricerca, la Ragione di tutta la vicenda umana.
Questa esperienza di essere stati presi e portati via perché Qualcuno ha incrociato la tua strada, come i discepoli sulla spiaggia sassosa del lago di Genezareth, resta senza dubbio nella mia vita di oggi la realtà più significativa ed anche più chiara: è come il filo conduttore di una storia semplice ed insieme misteriosa che si perde sempre più nel fiume del vivere umano.
Spero tanto che tutto questo continuo ed incessante esodo sia anche un entrare sempre più nella pasta, uno scendere al fondo dell'esistenza per essere granello di sale, fiammella di luce, pugno di lievito. Una realtà, quindi, di incarnazione. Mi sembra cosi di poter continuare la marcia nella ricerca seria di vivere «dentro» la storia del mio tempo, del mio popolo, della gente con cui divido il pane, la speranza, la solitudine e la gioia. Con la certezza pagata giorno per giorno che l'acqua viva che dà senso e valore alla vita non può venire dalle nostre cisterne d'acqua stagnante, ma dall'unica sorgente che disseta e toglie veramente ogni arsura.
Dio mi si è fatto più vicino, più compagno di viaggio, pane nella bisaccia, fiaccola nella notte, fuoco nelle fredde serate invernali e brezza leggera nel calore dell'estate: un compagno che sempre più si fa silenzioso, quasi si nasconda e si veli come Gesù con i due discepoli di Emmaus. Ma il cuore, pur stanco e abbattuto dalla cattiveria e dal dolore, ne avverte la presenza, il calore, la forza vitale.
Dio si è fatto carne e ha messo la sua casa fra noi: questo è l'annuncio di salvezza della fede cristiana. É nella nostra carne che soffre, che cerca, che lotta e spesso muore sotto il peso dell'ingiustizia, dell'egoismo, dell'incapacità a vedere e a fare la verità, a vivere unicamente d'amore, che Dio non si stanca di nascondere il seme della vita, la potenza della resurrezione. Gesù è tutto questo: vorrei tanto rimanere fedele alla sua strada, esserne indicazione semplice e chiara, coraggiosa e tenace. Vivere questo sacerdozio senza insegne né titoli né gradi; poter essere riconosciuto unicamente dal grande segno cristiano che Gesù ha indicato come l'unico valido e decisivo: «Da questo vi riconosceranno come miei discepoli, se vi amerete gli uni agli altri». Una fede, una speran-za, un sogno mantenuto vivo nel cuore che il regno di Dio viene continuamente e si fa con la pasta della storia umana.
Essere disponibile e pronto nel medesimo tempo all'esodo e all'incarnazione, a lasciar tutto per seguire il sentiero che viene tracciato all'improvviso davanti e a mettere radici profonde e solide nel groviglio della vita. Essere fedele a Dio e all'uomo; più a Dio che all'uomo, quando ciò sia necessario. Ma anche all'uomo, agli uomini miei fratelli, in forza proprio di quell'unica fedeltà alla volontà del Padre che è la sola che io senta come determinante e decisiva nella mia vita.
Oggi, più di ieri, non ho niente: direi che sono a mani vuote, con l'unica ricchezza che viene dalla fede nel Cristo vivente. Forse comincio ad essere cristiano e appena appena intravedo cosa significhi vivere di fede. Ma questo pane che ritrovo sulla mia tavola lo voglio dividere con chiunque avverta la mia stessa fame e senta di dover seguire la stessa pista nel deserto.
don Beppe
in Lotta come Amore: LcA marzo 1977, Marzo 1977
Luigi Sonnenfeld
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