In tutti i nostri rapporti di conoscenza vi sono modi personali, strettamente legati a quell'insieme di valori che sono il noi stessi.
Come io guardo il cielo al mattino, quando si sveglia la luce all'orizzonte, o una stella nel cielo, la notte,l'altra sera in treno, venendo da Torino, attraverso il vetro del finestrino o un fiore, o un bucaneve qualsiasi, ma era il primo fiore di questa nuova primavera, qualche settimana fa, nel bosco della Trappa di Valserena, e cosi mille altre cose e forse tutte le cose, è senza dubbio il mio modo di guardare, è quindi diverso dal tuo, da quello di tutti, probabilmente.
Così e tanto più, perché i valori coinvolti sono infinitamente più profondi, è del conoscere Dio.
L'originalità del proprio guardare Dio e vederlo e ascoltarlo, è fondamentale per una chiarezza di conoscenza e per una autenticità di Amore.
E altrettanto importante è un'immediatezza di sguardo. Vedere il riflesso di lui, l'immagine, il segno della sua presenza, l'indicazione della sua grandezza, è un avviarsi alla conoscenza, come un essere richiamati a guardare più a fondo, sollecitati allo splendore dell'intuizione. Ma poi tutto è oltrepassato e quasi ogni cosa si annebbia e svanisce quando la percezione diventa diretta, immediata.
Allora il proprio io si dilata in una vastità d'incomprensione perché non c'è nulla da capire: è soltanto avvertimento di presenza, è percezione irrazionale per l'intervenire di un modo assolutamente diverso e nuovo, unicamente capace di «sentire» l'altro. E siccome si tratta di Dio, più che tutto, è percezione del non tempo, del non spazio, della non persona, volto o parola, ma semplicemente della presenza. Ma più che di una presenza definita o definibile, è impressione di totale verità di presenza, di vastità, di solitudine totale cioè di chi è l'unico, l'assolutamente tutto.
Può sembrare molto strano o anche letteralmente assurdo l'affermarlo, ma a me sembra di conoscere molto bene Dio. Sicuramente molto di più, incredibilmente di più, tant'è vero che non mi è nemmeno possibile il parallelo, di qualsiasi persona anche molto amata.
Perché di ogni cosa e di ogni persona, le apparenze concrete mi diventano impedimenti, creano barriere e limiti e oltrepassarli questi ostacoli è spesso impossibile, altro che in certi particolarissimi e rarissimi momenti e anche allora può essere sempre una forzatura soggettiva.
La creatura è impenetrabile. Non è cosi di Dio.
É il visibile un limite, non l'invisibile. É quello che si tocca con mano che crea e impone ostacolo. Non cosi l'inafferrabile.
L'invisibile e l'infinito è tutto aperto e immediatamente e totalmente percepibile, afferrabile e forse contenibile. Può essere tutto accolto dentro il grembo dell'intuizione, senza contenerlo o precisarlo, semplicemente vivendolo e, è chiaro, non in modo attivo, ma dolcemente passivo.
Evidentemente non si tratta di conoscenza intellettuale, teologica, libresca. E nemmeno meditativa, frutto di ascetismi ed elevazioni mistiche.
Forse basta semplicemente accettare, (è la parola giusta) che Dio esiste. E lasciarsi persuadere nel più profondo di noi stessi, cioè laddove si decide delle misure di spazio che intendiamo dare alla nostra esistenza, della concretezza del suo essere.
Perché tutto il modo di avvertire l'esistenza delle cose e il viverne l'esperienza, cambia totalmente, quando accettiamo nella realtà, la presenza di Dio. Questa, è chiaro, non può che essere totalizzante, non una componente, un qualcosa, una parte che sta insieme, aggregata, ma come avvolgente, come contenenza, come ragione di ogni cosa.
Mi è sempre avvenuto e non so bene per quale motivo, di avere avuto bisogno di Dio per capire cose e persone, la vita e tutto il suo mistero e tanto più per goderne la gioia, la bellezza, la poesia, l'Amore. Non è altrettanto vero il contrario: per conoscere Dio e godere il suo Amore ed esaltarmi del suo infinito e colmarmi della sua sovrabbondanza, e è difficile esprimere cos'altro ancora, non mi sono indispensabili le sue immagini di potenza, di bellezza, di bontà, non mi occorrono le sollecitazioni del visibile e tanto meno le risorse di cultura teologica e liturgica... Basta una semplice e facile liberazione dalla distrazione, cioè dall'assolutizzazione delle cose, dei problemi, dall'essere preso e oppresso fino alle misure dell'occupazione totale della mia interiorità. Come uscire dal buio e rientrare nella luce, svincolarsi dall'imprigionamento del particolare e respirare all'aperto del cielo azzurro dell'anima.
E immediatamente ecco la percezione di Dio, l'avvertimento della sua immensità, la comprensione della sua presenza dilatata e dolcemente dilatante. Perché s'impone in forza di se stessa e non per ragionamento e tanto meno per fatica di studio, questa presenza, che di per sé tende a manifestarsi come realtà assoluta, semplicemente tutto, esclusività perfetta .
Accogliendo con cuore umile e felicità esultante, nell'intimo del proprio essere, questa solitudine di Dio, fino alle misure perfette della sua unicità assoluta, avviene la profonda conoscenza di Dio, l'illuminarsi del suo Mistero, il manifestarsi, come semplice e diretta visione, del suo Essere.
Non è trascendenza e tanto meno un disincarnarsi. Un sognare a vuoto, un perdersi dietro illudenti sensazioni misticheggianti.
Mi è sempre successo e tanto più in questo tempo che sto attualmente vivendo, che questa conoscenza di Dio mi provochi e spesso con terribile spietatezza, ad un prendere coscienza della realtà, di tutta la realtà, comprendente l'apparenza e la sostanza delle cose, perché Dio è questa tremenda provocazione.
É presenza che coinvolge, questa presenza di Dio. E la sua solitudine semplicemente es-senzializza e potenzia il rapporto fino ad assolutizzarlo al di là di ogni possibile prudenza o paura, condizionamento o limitazione.
Il richiamo forte e tenace di Dio al suo essere l'unico, l'assoluto, per il suo popolo, era per impedire ogni evasione idolatrica, ogni distrazione dietro a motivazioni disorientanti, ogni e qualsiasi dispersione, in pura perdita, di forze individuali e di popolo.
Ascoltare la solitudine di Dio è la via facile e semplice della conoscenza di lui e è imparare come dev'essere l'abitare fra gli uomini.
don Sirio
in Lotta come Amore: LcA marzo 1977, Marzo 1977
Luigi Sonnenfeld
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