Carissimi amici, vi scrivo alcune righe perché sono stato stimolato da alcune questioni che voi trattate sull'ultimo numero di «Lotta come Amore». Premetto che si tratta soprattutto dell'argomento politico da voi affrontato; non perché voglia escludere quello religioso (o meglio di fede) ma perché, per prima cosa, mi è stato più «provocante» e perché poi, secondo me, le due questioni, politica e fede, sono strettamente legate e connesse tra loro (non condivido a questo proposito la divisione schematica fatta dall' amico Giannozzo nella sua lettera) per cui una fede che lotta non può «non vedere» che la realtà storica italiana e internazionale è conflittualità di classe a qualsiasi livello: politico, sociale, economico, culturale etc. Questo significa che il terreno della lotta, anche "lotta come Amore", deve investire tutti i livelli, pena un inutile e isolato tentativo demoralizzante e frustrante, sia a livello personale e di gruppo.
Vorrei partire dall' articolo di Sirio. Premetto che l'ho trovato alquanto difficile e non mi è stato facile comprenderlo a fondo. Tuttavia, sperando di non sbagliare, ti voglio dire, caro Sirio, che non condivido alcune tue affermazioni.
Il tuo discorso mi è sembrato incentrato in gran parte sulla questione del potere ed è su questa che la tua posizione mi sembra subalterna; non si tratta, per me, di dire che «la libertà è condizione fondamentale per una possibilità di sincerità cristiana, la libertà, non la "libertas" e cioè la disponibilità totale e pronta a iniziare e portare avanti qualsiasi lotta. E il potere è negazione di questa libertà». Indubbiamente abbiamo in Italia un cattivo esempio di potere che è quello democristiano, strutturato in parassitismi, clientelismi, scandali, omicidi (vedi «legge Reale»), connivenze con gli ambienti neofascisti e golpisti ma da questo non si può concludere che ogni potere è tutto questo o negazione di libertà. Penso che la questione del potere dobbiamo porcela continuamente ma per affermare e realizzare giorno dopo giorno quello che è il potere dei lavoratori, delle masse popolari democratiche, della classe operata, potere fondato sulla democrazia diretta, gli organiseni di base (consigli di fabbrica, di zona, di quartiere, degli studenti, il movimento dei soldati e delle donne) che attuano la gestione della propria vita (diritto al lavoro, alla salute, alla casa, allo studio).
Non ho la ricetta particolare per tutto questo, ma sul come realizzare e poi conservare questo potere reale, sul come risolvere le molte contraddizioni che si apriranno, deve cominciare o continuare il confronto tra tutte le persone, i gruppi, le forze politiche che lottano per questo «rivoluzionamento di situazioni politiche giudicate da rovesciarsi assolutamente» (come tu dici nell'articolo). Che dire allora dei partiti e in particolare di quelli del rinnovamento, della democrazia e cioè quelli di sinistra? Un discorso di impegno sociale sia "ateo" che di fede non può non confrontarsi con loro, affinché siano effettivi strumenti per realizzare il potere di cui parlavo sopra e per favorire il sorgere di organismi non solo della partecipazione ma del «poder popular» (come dicono i compagni e gli amici cileni).
A questo proposito bisogna sgombrare il campo dall' equivoco sulla «libertà».
La. libertà che ci ha dato la D.C. (ma forse è meglio dire che il popolo italiano ha conquistato e la D.C. ha delimitato) è libertà di desiderare, di volere, non libertà di fare, di soddisfare i nostri bisogni (pensa alle carceri e ai manicomi!) ed è questa libertà che è, come tu dici giustamente, anche libertà di disobbedire e ribellarsi.
Che significato dare dunque alla candidatura di cattolici nelle liste del PCI? Non penso che si tratti di strumentalizzare gli altri cattolici, bensì di contribuire alle riflessioni che oggi maturano nel mondo cattolico, che non lo fanno più riconoscere politicamente e "partiticamente" nella DC e che non lo fanno pensare ad un nuovo partito cattolico magari una DC rinnovata, o «di sinistra», come afferma l'amico Giannozzo.
Se dubbi ci possono essere è sul loro carattere di intellettuali forse distaccati dalle autentiche (come credo io!) realtà di base dei cattolici, ad es. comunità di base o gruppi parrocchiali. Penso cioè che un don Isidoro Rosolen, candidato nelle liste di Democrazia Proletaria, operaio-prete (come preferisce farsi chiamare) legato ad ambienti di fabbrica, e di comunità di base riesca meglio ad aprire contraddizioni e a far maturare scelte veramente rivoluzionarie all'interno del mondo cattolico. Comunque qualsiasi iniziativa di cattolici in questo senso mi sembra positiva perché si tratta di coinvolgere masse popolari sempre più ampie nel rinnovamento che si sta attuando nel nostro paese dal '68 e che ha visto e vede protagonisti uomini, donne e giovani.
Carissimi, vi ringrazio del giornale che continuate a mandarmi e che è un proseguimento del nostro dialogo già altre volte realizzato di persona (da don Domenico, da don Mario, nello jutificio Montedison occupato, a Viareggio).
Tanti cari abbracci a tutti voi.
Francesco
in Lotta come Amore: LcA ottobre 1976, Ottobre 1976
Luigi Sonnenfeld
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