E' tema per grosse e senza dubbio angosciose riflessioni. Ne possono e anzi è giusto che ne vengano, profonde amarezze, ma ormai l'amaro è inevitabile che sia bevuto fino all'ultima goccia come quelle medicine amarissime che vanno scolate fino in fondo: perché, forse è soltanto lì, in fondo, che sta la salute.
Da queste storie di preti, quelle di sempre (e non mi riferisco alle storie di preti santi, ma unicamente di preti e basta, preti-clero, compresa ovviamente tutta la gerarchia) ma specialmente da quelle dei nostri tempi, assai diverse e senza dubbio più accese di quelle dei tempi passati, devono assolutamente emergere urgenze di cambiamenti, di mutazioni, meglio sarebbe dire, di conversioni e cioè realtà di penitenza vera e propria (giudizio sul passato e novità per il futuro).
Se questa penitenza cioè rovesciamento di mentalità e di realtà di rapporti con la storia del nostro tempo, non avviene e si va avanti imperterriti con il solo incedere processionale, trionfalistico, inalberando croci o bandiere che siano, ma sempre ricercando furore di popolo, per scontri e vittorie di clero contro clero, la sorte è decisamente segnata per la storia dei preti: non occorre essere profeti, affogheremo tutti nel ridicolo, nel pietoso e peggio ancora nel sacrilego e nell'assurdo storico. Cioè a livelli tali di banalizzazione anche di valori umani fino al punto da diventare motivazione irrimediabile (a parte l'onnipotenza di Dio) di svalutazione del religioso e tanto più del cristianesimo.
Allora succederà che il clero (tutto l'apparato ecclesiastico) non soltanto si ritroverà senza una precisa giustificazione, senza una chiara ragion d'essere, ma diventerà ostacolo e impedimento da far giudicare provvidenziale, opera dello Spirito Santo, il suo scomparire, come una qualsiasi istituzione storica che ha fatto il suo tempo e si estingue senza rimpianti da parte di nessuno.
Come vecchio prete (sono quasi 34 anni di sacerdozio) mi è stato dato di vivere e assai intensamente, un arco di storia di clero (e non solo di quello, ma questa del clero in prima persona e nella carne e nell'anima) lunga di secoli. Perché come prete sono nato dal Concilio di Trento. E la corsa verso il Vaticano secondo è stata appassionata e affannatissima di lotte e di speranze. Ma anche questa, come tante altre nella storia umana e quindi anche in quella religiosa, è stata rivoluzione che ha provvidenzialmente scosso e agitato il mondo ecclesiastico, col risultato però, in definitiva, di risvegliare ritorni di potere da una parte, diaspora d'individualismi dall'altra. Ne è venuta fuori (e potrà anche essere un risultato, anche se a me non sembra) una crescita paurosa di conflittualità fra il clero del potere e il clero in lotta di liberazione.
Niente che sorprenda e tanto meno che scandalizzi, se questa conflittualità di clero avvenisse fra preti e preti (intendendo «preti» anche i vescovi, le curie ecc.). Vi sono realtà di rapporti che aspettano e si aggravano da secoli e sono esplose tutte insieme in questi nostri pochi anni e ne sta tremando ovviamente tutta la Chiesa ecclesiastica.
Ciò che invece lascia sgomenti, profondamente addolorati, come sempre nelle guerre dei re di una volta, delle ragioni economiche dei nostri tempi, delle guerre di religione di tutti i tempi, è che sia sempre il popolo ad essere coinvolto e a pagare prezzi terribili di servitù e spesso di disperazione e di sangue. E anche in questa conflittualità di clero, dei nostri tempi, è sempre il solito clero dell'una o dell'altra parte a tentare di coinvolgere e di trascinare questo povero popolo cristiano nei propri problemi ecclesiastici.
Disgraziatamente il clero, chissà perché, non può che essere clero: quello di destra e non sorprende, quello di sinistra e stupisce assai perché la sua novità dovrebbe essere e specialmente, quella di non essere il solito clero.
Vecchio prete che nella sua lunga storia di scelte nuove e di lotte aspre e dure, ha sempre rifiutato di ricorrere alla folla per cercarvi aiuto e appoggio ai propri scontri con il clero (e sarebbe stato estremamente facile forse anche strategicamente utile, se non altro entusiasmante) preferendo sempre di affrontare e sostenere da solo amarezze e angosce spesso terribili e quindi anche sconfitte o estenuanti attese, non mi è possibile non provare dolorosa perplessità davanti alle tante storie di preti che dilagano sui giornali, in un clima ormai di bonaria sopportazione della gente che guarda allo spettacolo fra il commiserevole e il nauseato. Perché ormai e meno male, le storie dei preti non interessano più nessuno, altro che marginalmente. A meno che non si tratti dei soliti fanatismi di sagrestia che si coagulano intorno al loro prete o al loro vescovo, raccogliendone i problemi personali fino a farne problemi di Fede. Oppure non si tratti di gruppi cristiani politicizzati bisognosi di avere la benedizione del prete e la consacrazione di liturgie; dove il prete diventa il segno di una rottura e la riprova di novità o più spesso qualcosa non molto di più di una semplice strumentalizzazione.
E' una vecchia storia, come si vede, antica come la storia delle religioni, che continua anche in questi nostri tempi, nei quali, nonostante la grossa crisi religiosa, i preti, il clero, continuano disinvoltamente a giocare la Fede, confondendola coi loro interessi e a strumentalizzare il popolo, strappandoselo gli uni gli altri a colpi di documenti, di liturgie, d'integrismi, di ribellioni per coinvolgerlo, questo povero popolo cristiano, a difesa o alla conquista di posizioni clericali.
Bisognerebbe che noi preti, ma forse è proprio impossibile perché il privato non esiste più in questi nostri tempi beatificati dalla pubblicità, bisognerebbe che cominciassimo a lavare i nostri panni sporchi, in casa nostra, chiuse accuratamente porte e finestre.
E non per timore di chissà che cosa e tanto meno per nascondere le nostre vergogne, ma unicamente per affrontarci fra noi, direttamente, faccia a faccia; senza coperture di pastorali, senza ricorrere a liturgie, lasciando stare Gesù Cristo e rispettando questo povero popolo cristiano eternamente e spietatamente coinvolto e travolto nelle maledettissime storie di preti. Nei loro problemi personali (questa impressionante incapacità di affrontare e decidere di se stessi da soli, senza coinvolgere persone, comunità, popolo cristiano, teologie, liturgie, cristi e madonne...) a difesa dei loro privilegi, ad affermazione del loro prestigio, a soluzione dei loro problemi economici, politici, di potere ecc. o anche semplicemente personali. E' ovvia assurdità ma è elementare constatazione storica: il popolo cristiano è terra di scontro fra preti, è campo di battaglia, gente chiamata alle armi, a schierarsi sotto vessilli in marcia. Questo eterno clima di crociata sollecitato da preti, o con dei preti a motivazione e a giustificazione, per la liberazione di terre sante che vanno dall'occupare (o liberare) una canonica o una chiesa, l'affermare, il diritto di avere un parroco (o di mettercene un altro), fino all'affermazione di progressismi lungo la scia dei quali trascinare il popolo cristiano o regressismi sui quali bloccare il camminare della storia e della liberazione della Fede.
Ma in testa ai drappelli, sempre dei preti. E a contrasto logicamente sempre dei preti. E motivo e qui sta il terribile, lo spaventoso, motivo dell'impossibilità della pace, della comprensione, dell'abbraccio fraterno, sono sempre preti. Sono i preti l'ostinazione della lotta che si spenge soltanto nello svanirsi del tempo e nello smarrirsi nel ridicolo per il sopravvenire di serietà di problemi portati avanti dalla storia. Vi sono retaggi quasi connaturati in noi preti, passati nel costitutivo della nostra Fede e quindi nel sangue e nell'anima nostra di guerre sante, di eroismi antichi, di santità transumanate, di comunioni coll'assoluto a seguito dei quali restare immobili è fedeltà, vedere il nemico dovunque è prudenza, non accettare il dialogo è sicurezza di verità, schiacciare gli avversari è Amore, vincere è Regno di Dio e così via.
Alla base di tutto questo problema di chiusura del clero, minuto o all'ingrosso, sbriciolato nelle parrocchie o inquadrato nelle curie, del clero basso e di quello alto, c'è la convinzione ma è più che una convinzione personale o d'istituzione, c'è una precisa concezione culturale e di Fede, d'identificazione dei valori assoluti, delle verità eterne, delle uniche possibilità di salvezza, con se stessi: individui, istituzione, gerarchia. L'essere il sacerdozio mediazione ha comportato lo scambio dell'importanza primaria, fondamentale, dai mediati (Dio e l'umanità) sui mediatori (i preti, il clero), ottenendo una assolutizzazione di valore e inevitabilmente, come succede sempre fra gli umani, un decadere di un rapporto di servizio realizzabile a norma di Vangelo e secondo le indicazioni inequivocabili della Croce e un crescere di risucchio in se stessi (preti e clero) di tutto il problema religioso, accentuando sempre di più responsabilità e quindi autorità, ministero e quindi privilegio, schemi fissi di salvezza e quindi centralità ed esclusivismo di potere.
Fra il dare un bicchier d'acqua a chi ha sete e considerarsi sorgente c'è una notevole differenza. Nessuno è un padreterno e anche il «dolce Cristo in terra» con tutto il rispetto di S. Caterina da Siena la cui locuzione può suonare bene soltanto sulle sue labbra e «il sacerdote è un altro Cristo», sa di tutto sbagliato, teologicamente e tanto più pastoralmente, quasi fino al sacrilegio. Perché in quanto preti forse non si è molto di più, se vogliamo giudicarci nei nostri valori positivi, e quindi anche come servizio di mediazione ministeriale, dei grani di una corona per aiutare alla recita del Rosario. O gradini di una scala dove chi vuole salire verso Dio può poggiare i piedi.
Per noi preti è tempo, se vogliamo salvarci anche come chiarezza d'identità e giustificazione a stare a questo mondo, di uscire dalla scena della storia come protagonisti, con dei ruoli di dirigenza, di preminenza, di potere. Anche il tempo del predicatore è passato, del trascinatore di folle, dell'organizzatore d'imprese religiose. Come pure è finito il tempo del depositario della verità, del dispensatore della salvezza, del garante della Fede, del custode fedele della morale, della legge...
E' difficile ormai, per non dire impossibile, immaginare e tanto meno inventare ruoli che possono comportare emergenze particolari, impegni concretamente significativi, presenze capaci di valore storico anche religiosamente.
Se il prete si vuole salvare, cioè se vuole mantenere una sua giustificazione, una sua ragion d'essere in questo nostro tempo e sempre più in quello futuro, e ritrovare quindi un motivo di vita per se stesso e nei confronti della storia, deve semplicemente cercare di essere popolo. Sparire dentro il povero popolo vivendone tutta la condizione d'insignificanza, di sfruttamento, di moltitudine senza nome e senza volto. Perché immerso nel mondo per la sua misteriosa scelta di Dio e per il suo destino di continuità del sacerdozio di Gesù Cristo, la sua salvezza è tutta n una condizione di solitudine, in un perdersi nel cuore del popolo, in un destino di crocifissione.
II prete è l'uomo per il quale proporzionalmente il suo vivere, la sua ragion d'essere, è legata al suo morire. Cioè al suo essere sotto i piedi di tutti. Nemmeno un'ombra di privilegio e di considerazione. Nessun prestigio culturale. Nessunissima rilevanza politica o significazione sociale. Screditato presso tutti e tutto. Povero di qualsiasi significato. Con la tremenda fatica perfino della speranza. Inutile e a vuoto, da dover farsi perdonare perfino d'esistere. Seriamente e concretamente l'ultimo.
E tutto perché unicamente uomo di Dio, un chiamato da Gesù Cristo.
don Sirio
in Lotta come Amore: LcA ottobre 1976, Ottobre 1976
Luigi Sonnenfeld
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