La teologia della povera gente

E' tanto, tempo che avevo voglia di parlare un po' di una realtà che fa parte della vita della gente semplice, umile, che non ha particolari importanze e che quindi non è presa in considerazione da nessuno ma che possiede nel profondo del proprio cuore una sapienza unica, direi a volte eccezionale dato i tempi che corrono a tutti i livelli. C'è una ricchezza davvero grande che ho scoperto da tanto nel vivere di quelli che non mi riesce chiamare se non col nome di "poveri", di "povera gente", di popolo semplice la cui vita è realtà di fatica, di sudore, di speranza tenace, di amore ai propri figli, alla terra, di attaccamento a tutto ciò che significa pace, bontà, amicizia schietta giustizia, fratellanza... E' quella che mi sembra giusto chiamare la "teologia della povera gente": essa è diventata sempre più patrimonio prezioso e sacro per me nel cammino di questi anni che assomiglia ad una continua discesa dall'alto del piedistallo fino a mescolare la propria storia con la storia di tutti, il proprio sforzo con lo sforzo di tutti, la ricerca, l'amore per la verità, la povertà con quella di tutti.
E a questa teologia fatta di poche cose - ma assolute ed essenziali come il pane, l'acqua, il vino, il sole, le montagne, una stella, un fiore - che mi ha fatto ricomprendere a nuovo la realtà del Vangelo, mi ha aiutato a capire il senso reale del messaggio di Gesù, della sua vita e della sua lotta, della sua morte e della sua resurrezione. Perché la teologia di Gesù, il suo parlare di Dio, del Padre, il suo annunciare il Regno che viene, il suo modo concreto di vivere il fatto religioso liberandolo da ogni legalismo esteriore, il suo denunciare l'oppressione della classe sacerdotale sulla vita del popolo, il rifiuto deciso di ogni compromesso col potere e la ricchezza, tutta questa teologia e per i poveri, gli umili, i senza-potere, i puri di cuore, gli affamati e assetati di giustizia, Gesù rivela al mondo intero che il volto di Dio, la sua presenza più chiara sulla terra è ogni creatura, anzi la più piccola, la più debole, la più scartata ed emarginata.
Egli insegna una teologia, una visione religiosa del mondo, della Vita, della storia che non corrisponde alla teologia ufficiale; quella degli scribi di Gerusalemme, dei farisei, dei rabbini "seduti ad insegnare sulla cattedra di Mosè". Il Dio di cui parla e nel nome del quale gioca interamente il suo destino preferisce la strada deserta e pericolosa che va da Gerusalemme a Gerico piuttosto che il Tempio profumato d'incenso e pieno di canti e di suoni. Ed è lì che il samaritano lo incontra lo riconosce mentre il sacerdote ed il levita perdono l'appuntamento. La teologia di questo «miscredente» non ha titoli né lauree, è fatta solo di olio, vino, un cavallo, un posto in albergo, due denari versati subito e il resto al ritorno: ma è teologia che libera e salva l'uomo rapinato e lasciato mezzo morto al margine della strada.
Dopo aver studiato la teologia sui banchi del seminario, istruito da mediocri ed anche da ottimi "rabbini", mi sono ritrovato a percorrere una strada non esattamente tracciata sulle carte di navigazione della vocazione sacerdotale, ma che mi appare sempre più come, strada molto impegnativa e seria, che affonda e penetra ne1 mistero stesso della vita, della realtà umana, dell'esistenza universale.
La scienza imparata sui libri e nelle discussioni sapienti .non mi sembra più così importante; anzi spesso si rivela un inciampo, un carico inutile, vuoto. Una sapienza secondo gli uomini, ma non secondo Dio. Un ragionare secondo la carne e non secondo lo spirito. Una teologia da ricchi, da furbi, da potenti a dominatori della gente: sento di essere stato ammesso a partecipare ad un altra scuola, molto più autentica e vera, più essenziale e senza inganni. Ritrovo così il sapore del messaggio evangelico nel vivere di tanta gente che non ha mai letto "un libro di chiesa", neppure il Vangelo perché non ne ha avuto la possibilità materiale, ma che il Vangelo se lo porta scritto nella carne e nel sangue, nel profondo del cuore e dell'anima, là dove Dio abita e trova il suo vero spazio di presenza e d'amore.
E' a questa teologia fatta di enormi sofferenze, di speranze senza fine, di bisogno immenso d'amore, di rispetto e di accoglienza, di lotta seria per un mondo diverso, di dono di sé nel silenzio quotidiano, che bisognerebbe dare la nostra piena attenzione. Una teologia che non ha università per essere insegnata, ma si trova mescolata come lievito di vita nelle lotte dei poveri, dei disprezzati, degli umiliati di oggi e di sempre, che nasce nei campi, nelle officine, nei manicomi, nei ghetti di ogni nazione, nelle lacrime e nel sangue degli oppressi: è a questa teologia che credo di dover dare precedenza assoluta.
Questo non vuol dire affatto - e l'accusa è facile e sbrigativa - trasformare il problema religioso in problema politico, passare tranquillamente dall'impegno evangelico all'impegno sociale: significa compiere un atto di verità, riconoscendo la strada dove Dio cammina.
Sarebbe cosa estremamente importante se come Chiesa avessimo la capacità ed il coraggio di metterci in ascolto di questa voce che viene su dal profondo della vita della povera gente: da qui potrebbe nascere una "pastorale" che non ha bisogno di testi aggiornati, di catechismi rinnovati, di liturgie ripulite e rilucidate. Siamo sempre nel "tempio" (a Gerusalemme o in Samaria è lo stesso) fuori della strada dove Dio è in attesa di essere riconosciuto e amato. Basterebbe il testo della lettera di Giacomo che si leggeva nelle domeniche di Settembre così drammaticamente attuale e chiaro, comprensibile a tutti, tagliente e senza parole inutili. Un parlare non certo raffinato, un linguaggio come quello che ho sentito tante volte sulla bocca di molti compagni operai. Una teologia da povera gente, ma capace di liberarci e di rnantenerci sulla strada giusta. Certamente una teologia molto scomoda e inquietante per le nostre orecchie di benpensanti della domenica ben difesi e corazzati contro ogni possibilità di provocazione: ma che là dove essa è annunciata e testimoniata {come dai vescovi dell'Ecuador) subito suscita lo scontro, fa correre la polizia, fa scattare il meccanismo della difesa delle tenebre. E' la teologia del "Signore Gesù" che essendo il primo si fece ultimo essendo ricco si fece povero, le cui parole furono di scandalo, suscitarono l'opposizione dei potenti, misero in agitazione coloro che di Dio se n'erano fatti un'arma per sfruttare il popolo. E' la teologia della croce, l'unica però capace di portare alla resurrezione. Credo sempre più fermamente che il nostro impegno cristiano si giochi su questa disponibilità ad essere "teologi" di questa teologia, religiosi di questa visione della fede, pronti ad accogliere la luce che apre il suo cammino nella nostra notte. Perché lo scandalo è sempre lo stesso: la luce è venuta nel mondo ma le tenebre non l'hanno voluta ricevere.


don Beppe


in Lotta come Amore: LcA ottobre 1976, Ottobre 1976

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