Avverto in me quella strana, inafferrabile inquietudine che serpeggia per l'aria all'avvicinarsi di un temporale.
Quell'urgenza istintiva del cercare un riparo all'imminenza dei tuoni e delle saette. Un lungo pomeriggio d'estate questi ultimi due anni della mia vita, un pomeriggio immobile, di vita inavvertita e stanca.
Freddi venti del nord stanno rompendo questo equilibrio opprimente. Ho il cuore gonfio di timore, il peso di notti bianche sulle spalle, incubi di tristezza infinita. Mi sorprendo a fissare il vuoto davanti a me come tante donne in attesa del parto.
Soffro l'identica attesa della terra riarsa, indifesa, screpolata e sterile. Avverto il temporale che avanza e mi cresce la rabbia impotente di una nuova, possibile, amara delusione. Come quando il cielo si gonfia, gli alberi sembrano volersi sollevare al cielo sotto un vento teso e vibrante e solo poche gocce spremono grosse nuvole nere invece della dolcissima violenza di un prolungato acquazzone notturno.
Avrei voluto fermare il tempo nella dolce serenità degli anni passati, ma è miracolo impossibile, sottile tentazione demoniaca. La vita incalza: ogni stagione vuole i suoi frutti, oppure se li prende...
Capisco che oggi qualcosa deve accadere per me, qualcosa di nuovo, forse di inatteso. Il fatto che non riesco a precisare il volto di questa mia nuova identità, anche se mi rende scorbutico e ringhioso come forse mai, non mi dà il senso del vuoto, dello "sbaglio irreparabile", dell'imboccare una via senza uscita. D'altra parte so di prepararmi ad una lotta decisiva nella vita, non ad una qualsivoglia soluzione di problemi personali sia pure mascherata dalle più sofisticate motivazioni.
Ho però qualche carta in mano nel giocare il mio rischio. Innanzitutto cerco di accogliermi come sono volgendo in positivo tutta una situazione di emarginazione sofferta fino all'inverosimile nella Chiesa. Quell'angusto spazio di vita religiosa nel quale a poco a poco sono stato costretto a vivere perché la fede in me morisse e fosse costretta a conformarsi si è dilatato e dischiuso alla vita per accogliere in me ed insieme a tanti compagni di strada una comune speranza: poter ricominciare a sognare, a credere una "possibilità ideale", ad accogliere la vita e non a difendersene.
C'è in me quindi, rinnovato, il senso del tempo, delle cose da fare, della essenzialità dei rapporti, delle preparazioni da eseguire, della fatica di una riflessione e di una accoglienza continua. E certo tutto questo crea problemi allo spazio, al tempo, alla loro occupazione, ma ben vengano questi problemi, sono segni della vita.
E c'è anche un'idea che mi frulla in capo da tempo: il cercare e l'aiutare ad emergere tutta una strategia della «debolezza» di fronte ai poteri di questo mondo. Perché il malato è "debolezza" nelle mani di chi cura la sua malattia; il credente è "debolezza" in chi si prende cura della sua fede, i mo-vimenti di base sono "debolezza" in chi li voglia organizzare, il popolo è "debolezza" in chi ne riceve deleghe e poteri... questo nostro mondo in cui ci troviamo a vivere è "debolezza" per le diverse ideo-logie... Dio stesso è "debolezza" per me, per gli uomini, per il mondo.
Non resta quindi anche a me di essere "debolezza", per me stesso, per gli altri, per la vita e, solo per Lui con totale fiducia, per Dio.
Per ora non so dire di più di queste parole, So che di per sé non contano nulla, ma le ho semi-nate in un cuore assetato di vita. Non so quali semi feconderanno le prime piogge d'autunno, ma spero con tutte le forze che qualcosa nasca.
Non faccio tentativi, non affido tutto a progetti piccoli o grandi che siano ed alla loro realizzazione, ma credo in tutta libertà al farsi di una possibilità di vita autentica di ciascuno di noi e del nostro insieme. Non so quando e come queste parole diventeranno vita: il sole rovente mi abbaglia e mi sgomenta la vista. Soffro l'arsura dell'estate e attendo la pioggia.
don Luigi
in Lotta come Amore: LcA luglio 1976, Luglio 1976
Luigi Sonnenfeld
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