Impegno di fedeltà

Ho scritto queste riflessioni alla vigilia del mio 13° anniversario di consacrazione sacerdotale: non per fare un bilancio del cammino percorso dal 29 Giugno '63, quanto per cercare di comprendere con più profondità possibile il senso del «sì» che ho detto allora con tutto il cuore allo Spirito di Dio perché prendesse interamente la mia vita. Questi anni sono stati un continuo tentativo di rispondere con fedeltà alla Presenza che è entrata misteriosamente da allora nella mia storia: pur avendo chiara coscienza della vigliaccheria e della poca generosità con cui tante volte ho risposto all'urgenza di Dio in me, debbo riconoscere che l'Amore di chi è venuto ad incontrarmi sulla mia strada è stato più forte di ogni altra cosa.
In questo momento sento soprattutto questa realtà di Presenza che Dio ha mantenuto nonostante tutto o attraverso tutto nel mio destino: oggi, come allora e molto di più, sento di potergli ridire il mio «sì» portando con me tutta una realtà umana che è quella con cui mi sono legato in questi anni e nella quale ho tentato - in modo molto povero, semplice ma totale - di vivere l'impegno sacerdotale, l'annuncio e la testimonianza del Regno di Dio.
Sacerdozio per me sento che significa sempre più questo essere vita e storia interamente data perché la Presenza del Padre si faccia evidenza nell'amore gratuito per tutte le creature. Specialmente là dove il peso e la solitudine della vita umana diventa deserto, dove tutto fa pensare all'assurdo, al nonsenso dell'esistenza; dove il dolore o il male scavano vuoti senza fondo, dove lo schiacciamento dell'uomo sull'altro uomo toglie ogni possibilità di scoprire il volto dell'Amore. Sacerdozio sento questo impegno, questa volontà ad essere realtà di speranza, di comunione, di coraggio, di fiducia, di luce accesa a vincere il buio.
In questa prospettiva ha senso per me oggi celebrare l'Eucarestia, dare il Battesimo, continuare i .gestì sacramentali: come segni dell'Amore di Dio Padre che Gesù ci ha comandato di testimoniare in essi perché Lui li garantisce e li rende veri con la sua storia, con la sua morte e resurrezione. Ma anche come segni vivi che nascono dal tentativo umile ma radicale di giocare la propria vita perché in se stessa, nel suo cercare, nel suo lottare, nel suo sperare e amare sia in qualche modo «sacramento» di salvezza, di liberazione, di amore per l'umanità lacerata dalla divisione e oppressa dal male.
Capisco in questo senso il mio essere - meglio, il mio voler essere - discepolo del Signore Gesù: è l'impegno di fedeltà più urgente e forte che avverto nella mia vita. Vorrei tanto capire i modi concreti perché questo amore per Lui, questa fiducia nella sua Presenza di Risorto nella storia umana si facesse sempre più trasparente, più limpida, più avvertibile da tutti. Vorrei essere interamente fedele a questo destino che ho sempre creduto legato al mio sacerdozio per offrire ai miei fratelli ciò che ritengo sia l'essenziale dell'essere Chiesa nel mondo: comunicare la certezza che l'esistenza umana è abitata da Dio, che questa Presenza ha una storia, una parola, una vita che si chiama Gesù Cristo. E che Lui è il motivo sovrabbondante di speranza, di coraggio a lottare, a vivere, a impe-gnarsi per rendere la terra un luogo di pace e di fraternità.
Per questo mentre rinnovo il mio «sì» al Signore Gesù, sento che in Lui sono ugualmente uniti a questo impegno di fedeltà che consacra la mia vita i poveri, gli oppressi, gli umiliati, gli zingari di tutte le situazioni umane. Quelli che vivono ai margini delle strade del mondo dei furbi, dei potenti, dei forti; quelli che non hanno voce nell'assemblea dei «grandi» e che portano il peso della storia. Vorrei essere sempre più sacerdote di questo popolo, parte viva di questa umanità dove la solitudine è pane quotidiano, dove il disprezzo è di casa, dove l'amicizia vera - quella di cui dice Gesù che è capace «di dare la vita per quelli che si ama» - è la grande sconosciuta. Da questa fedeltà sono sicuramente ancora tanto lontano; avverto che la misura è ancora troppo piccola, che il dono è troppo calcolato, che la strada da fare è molta e richiede abbandono totale a Colui che mi ha messo in cammino. Penso alla solitudine di tanta gente, a certe «periferie dell'anima» di cui a volte mi è capitato di venire a conoscenza; all'immensa solitudine degli uomini che si odiano, si sfruttano: solitudine spesso resa ancora più grande da tutta una storia di cristianità, di religione, di Chiesa che non ha fatto altro che spengere e soffocare il piccolo respiro che ancora teneva accesa la speranza.
Quando ho detto il mio «sì» l'ho detto in piena consapevolezza anche di questa storia triste di Chiesa che non posso assolutamente dimenticare perché essa non è ricordo di tempi lontani, di vicende di medioevo di momenti bui ormai seppelliti: sono brani di cronaca attuale, di incapacità a comprendere l'oggi, il cuore dell'uomo di oggi, l'agitarsi dei nostri tempi, il bisogno di radicalità evangelica di coraggio, di mescolarsi alle lotte dei poveri e dei senza potere. E' storia che continua di una, chiesa-ghetto, invece di una Chiesa-casa di tutti, pane, lievito, luce, sale, sorso d'acqua, fuoco e vento dello Spirito. Nel mio cammino sacerdotale c'è molto netto questo impegno a tentare di scrivere una pagina di storia religiosa che sia finalmente liberata da tutti i compromessi che in qualche modo possano impedire l'incontro col Dio vivente. Ci saranno i miei limiti personali, il velo della mia umanità, la debolezza del mio essere; ma nient'altro deve venire a nascondere la Presenza di Colui che sta alla radice della vita. Ho tanto voluto che in me, nella mia vita finisse tutta una storia di potere clericale, di privilegi strani, di «sacra autorità», di dominio sulle coscienze, di strumentalizzazione politica ed economica del Vangelo.
Per questo sono felice delle mie mani collose, di essere entrato a far parte della classe operaia, di conoscere la stanchezza profonda, il senso di repulsione per una giornata di lavoro, lo sfruttamento del padrone, le piccole lotte quotidiane per la «liberazione», il sogno nato su da tutta una fatica di un mondo diverso, più giusto, più uguale, più vero. Sono felice anche di avere scoperto di persona che l'esperienza della maggior parte della gente - appunto perché è esperienza di strutta-mento economico, culturale, religioso, politico -, non conduce alla scoperta di Dio. all'incontro col Padre, ma spesso al suo rifiuto. Dio è il grande assente da una storia dove i poveri e i piccoli, i pacifici e i mansueti, gli assetati di giustizia sono schiacciati e annientati. Anch'io vivo questa esperienza e condivido questa solitudine che penso sia la più tragica e la più pesante della condizione amana; ma in fondo a questa «assenza» ritrovo miracolosamente la assoluta gratuità della Fede in Gesù: del credere senza vedere, dello sperare al di là del'evidenza dei fatti che l'Amore tutto custodisce nel suo mistero, che la Resurrezione è l' energia che anima tutta la storia. Questa Fede nuda, povera, semplice, fatta di assoluta fiducia in Gesù di Nazareth, nell'accoglienza della sua vita, dei valori che Lui ha proposto, della parola liberatrice che ha annunziato, della comunione fraterna che ha prospettato come segno di Dio nell'esistenza umana è l'anima più profonda del mio cammino sacerdotale e cristiano. Spero di non tradire mai questo impegno di fedeltà ad una vita religiosa ri-schiata giorno per giorno nel vivere senza alcuna difesa la storia del mio tempo, ma soprattutto del popolo a cui sento di essere stato consacrato: il popolo fatto da coloro che non avendo niente, né oro, né potere, né cultura, né altri privilegi può scoprire in Gesù Cristo il suo vero maestro e liberatore.


don Beppe


in Lotta come Amore: LcA luglio 1976, Luglio 1976

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