Dalla morte alla vita

Scrivo queste riflessioni anche per aiutarmi a raccogliere più in profondità che posso il senso della Pasqua nella mia vita, nel cammino d'ogni giorno, nella monotonia e povertà del lavoro operaio sulla strada, nelle case, fra gli uomini della terra intera. Non so se è cosi anche per gli altri, ma sento un estremo bisogno di «passare oltre» i limiti cosi chiusi e duri della realtà visibile, della storia amara degli scontri, delle lotte, dell'odio, della sopraffazione. Mi attira fortemente il sogno di una terra rinnovata, libera, resa spazio di comunione e di fraternità, campo da lavorare e seminare insieme perché nasca una primavera di vita, un pane già diviso prima di nascere e che quindi tanto più si desidera spartire quando arriva a maturazione. Un modo di vivere dove sia possibile riconoscerci, capirci, amarci e darci una mano ad andare avanti. La Pasqua mi trova sempre più assetato di liberazione da tutto ciò che è impaccio al cammino umano: desiderio soprattutto di poter offrire tutto della mia vita, della mia storia alla vita e alla storia di tutti. Come acqua che si riversa interamente nell'immensità del mare.
Mi sembra di comprendere più a fondo che la Resurrezione di Gesù raccoglie in sé tutta una promessa di possibilità nuove, straordinarie. impensabili senza questo fatto unico ed eccezionale. Credere a Lui come uomo veramente risorto, vincitore della morte nella sua carne che realmente ce lo rende fratello, "uno di noi", è come raccogliere un seme carico di vita e nasconderlo nella vastità del deserto dell'esistenza umana perché vi fiorisca la speranza l'amore la luce.
Devo confessare semplicemente che in tutti questi anni - e cominciano ad essere molti - di vita gettata assai allo sbaraglio e vissuta ai margini della legalità ecclesiastica - anche se a misure ristrettissime e chissà quanto ridicole - ciò che mi è rimasto chiaro e limpido senza ombra di incrinatura è questa totale e assoluta fiducia nella presenza misteriosa ma reale del Cristo Risorto. Sono infinitamente riconoscente alla Bontà del Padre Celeste del dono meraviglioso e straordinario di questa forte speranza cristiana, che non è facile sentimentalismo, superficiale entusiasmo o incosciente ingenuità la speranza radicata nella fede che Gesù di Nazareth, morto sulla collina di Gerusalemme e sepolto alla svelta sul calar della sera di quel lontanissimo venerdì in una tomba scavata nella roccia, è passato realmente dalla morte alla vita, ha rovesciato la pietra del suo sepolcro, ha vinto la grande battaglia per cui era venuto al mondo. E' cosa davvero grande ritrovarsi nell'anima questo dono di fede, questo dovere e potere annunciare che il "passaggio" dalla morte alla vita è possibile che è già iniziato nella storia. Gesù di Nazareth è il segno storico più compiuto di questa possibilità di questo cammino.
Per questo sento di poter accettare con sempre maggiore consapevolezza e decisione di sparire nella massa dell'umanità, di vivere un sacerdozio cristiano senza segni distintivi particolari, senza più riconoscimenti ufficiali e tanto meno privilegi. Capisco che bisogna entrare realmente in una condizione di vita che sia sempre più un «morire per gli altri», un perdere per ritrovare, un dare via tutto per tutto possedere. Dare la vita per quelli che sino in fondo, là dove è stato scritto che si compia il nostro viaggio. L'avventura cristiana letta e raccolta unicamente in Gesù porta inevitabilmente i segni dei chiodi, le tracce delle frustate, le ferite, le stanchezze, l'angoscia e la disperazione dell'abbandono di Dio. Acquista significato allora anche il mio «morire nella Chiesa» questo non essere considerato pii forse nemmeno utile per il regno di Dio da parte di chi nella Chiesa mi ha inviato un giorno sulla strada di Gesù con l'unico impegno di diventare suo discepolo, lievito nella pasta, sale e luce della vita. Si fa sempre più chiara l'assoluta necessità che ci sia qualcuno disposto a questa morte perché ne venga una resurrezione: una Chiesa nuova, diversa, libera da ogni potere e da ogni schiavitù, legata unicamente al suo Signore non potrà nascere senza questo scendere nel sepolcro, Questo diventare niente, come il corpo di Gesù spogliato di tutto tra i quattro chiodi della sua croce. La Chiesa nella sua lunga storia come realtà collettiva e organizzata ha avuto paura di questa morte e si è difesa con tutti i mezzi per non salire il suo calvario, diventando cosi troppo spesso pietra d'inciampo sulla via della Resurrezione. Proprio non volendo accettare di essere debole si è trovata alleata con i forti contro i deboli, con i ricchi contro i poveri, con i grandi del mondo contro gli umili della terra. con i sovrani, i re, i capi di stato, i governi e le autorità invece che con il popolo sfruttato ed oppresso. Dobbiamo riconoscere il nostro peccato storico, il nostro tradimento nell'ora della croce. Per questo Giuda è nostro fratello se vogliamo recuperare come Chiesa la possibilità di annunciare la gioia della Liberazione legata alla Pasqua di Gesù.
Il nostro tempo come tutti i tempi della storia è carico di questa richiesta per una scelta cristiana che sempre più si faccia estremista e radicale nei confronti della proposta evangelica, un abbandono fiducioso alla promessa di Dio che Gesù ci ha fatto conoscere. Sempre più è necessario il coraggio di entrare come il Signore nelle realtà di morte dell'umanità per poter risorgere tutti insieme nella pasqua che ogni vicenda porta in sé come seme indistruttibile. A noi è chiesto senza dubbio di essere questa Chiesa che sparisce e muore dentro la pasta umana perché ne nasca un pane nuovo fermentato nella giustizia e nella verità.


don Beppe


in Lotta come Amore: LcA aprile 1976, Aprile 1976

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