Succede ogni tanto, in qualche particolare circostanza, che la sofferenza arrivi a punte estreme d'angoscia da aver l'impressione che sia impossibile una misura maggiore. Era ciò che mi capitava venerdì sera 21 novembre in piazza S. Pietro durante la cosiddetta «Veglia della Fede» delle forze armate. Qualcosa che somigliava ad un profondo smarrimento, un'assoluta incapacità a poter capire come era possibile, l'evidenza di un'assurdità che aveva letteralmente dell'allucinazione, una realtà che si svolgeva davanti agli occhi e percuoteva spietatamente gli orecchi: e mi veniva da immaginare stranamente che non fosse vero, che era un sogno, un bruttissimo sogno.
Una folla sterminata di militari, di soldati. Di tutte le armi e di non so quanti eserciti. Intruppati, a ranghi serrati, dentro le staccionate. Divise e berretti di ogni genere. Tutti i gradi evidenti e ben lucidati. E cappellani innumerevoli con basco stemmato e sottana con le stellette al collo e sulle spalle. Zelanti e ferventi come non mai perché questo pellegrinaggio delle forze armate per l'Anno Santo risultasse la dimostrazìone più convincente di tutta la pastorale castrense.
La diocesi militare italiana le cui parrocchie sono caserme, i cui parroci sono preti con le stellette, ufficiali, capitani, maggiori, il cui vescovo è generale di corpo d'armata e il cui popolo di fedeli è fatto di giovani forzatamente portati via dal loro lavoro, scuola, famiglia, strappati alla loro libertà, per essere irreggimentati a imparare la guerra maneggiando moschetti, cannoni, carri armati, caccia bombardieri e cacciatorpediniere: tutta ferraglia destinata, come dicono, a difendere i sacri confini della patria. E' questa la diocesi particolarmente impegnata in una mobìlitazione generale di tutte le forze disponibili per realizzare il buon esito delle sacre grandi manovre culminanti in questi quattro giorni di Anno Santo per i militari italiani e delle forze armate del mondo occidentale.
Perché questo Anno Santo, fra le tante cose, si è trovato ad essere anche militarizzato. E piazza S. Pietro è stata trasformata in un immenso campo militare.
Una serata fredda, senza luna e senza stelle, soffiata di vento gelido. Il giro maestoso del colonnato, le statue dei santi di pietra illuminate. Luce diffusa sulla facciata di S. Pietro e più intensa sulla cupola, contro il buio del cielo. Due riflettori militari giravano i loro occhi accecanti sul colonnato, sui santi, sulla facciata, sulla cupola, sui palazzi apostolici: due enormi fasci di luce come a cercare qualcosa che pareva non riuscisse a trovare.
Evidentemente vi era un grosso tentativo di spettacolo, la ricerca di una grandiosità suggestiva e realmente tutto aveva dell'irreale, un'immensa vastità scenica, come per una eccezionale ripresa cinematografica.
Hanno cominciato suggerendo il segno della croce e invocando il nome del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo. Gli spettatori si sono resi un po' più attenti: le forze armate iniziavano la veglia della fede.
Una voce (così sgraziata quella voce microfonica) ha annunciato: «Il Vangelo dice: quando due o tre si trovano uniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro. Con Cristo presente in mezzo a noi viviamo questo momento di fede e di fraternità.
Il vento diaccio mi stava gelando, ma era anche l'anima mi si rabbrividiva nel più profondo di me. Ho cominciato ad avvertire l'orrore del sacrilegio, della profanazione Mi stava succedendo l'acutizzarsì di quella terribile angoscia perché avvertivo l'equivoco, la distorsione, il piegare il mio Dio ad un'alleanza assurda, un appropriarsi di Gesù Cristo per tentare di costringerlo ad essere presente fra gli eserciti, dentro quella folla agguerrita da una continua e serrata educazione bellicista, armata fino ai denti, perché le armi non c'erano in piazza S. Pietro, ma le avevano a casa loro, nelle caserme, nei depositi militari. ben oliate, lucide e pronte all'uso, appena scattasse un ordine.
E procedeva ormai d'accordo con Gesù Cristo, quella veglia di preghiera e di fede. Dai potenti altoparlanti si diffondeva gelido come il freddo della notte il ritornello: «Dov'è carità e amore qui c'è Dio. Ci ha riuniti tutti insieme Cristo amore, rallegriamoci esultanti nel Signore... ». E mi angosciava quell'insistere non nell'invocare ma nel dichiarare con piena sicurezza che Dio era li, come un generalissimo in capo fra le sue truppe. E mi veniva alla memoria, dolorosamente, che era nella domenica di Cristo Re la celebrazione dell'Anno Santo delle forze armate e non riuscivo a non pensare che tutto non poteva non essere intenzionalizzato dalla zelante programmazione della pastorale castrense.
A questo punto bisognava proprio implorare dall'onnipotenza misericordiosa di Dio un po' di Fede e la voce ecclesiastica a stellette dell'altoparlante precisava invocazioni devozionali e il coro ammaestrato intorno al microfono, ripeteva con enfasi: O Signore aumenta la nostra fede. "Amatevi gli uni gli altri, come io ho amato voi». Gesù Cristo ha dato l'esempio. Avremo fede nella misura in cui sapremo amare...
Ci voleva realmente una gran fede, annullare cioè qualsiasi ombra di ragionamento, per credere che nell'esercito possa entrare e dominare quest'unica legge, quella dell'Amore. L'Amore là dove legge unica, suprema è la forza. La forza dell'assolutismo, dell'autorità, della gerarchia, dell'imposizione, della sopraffazione, perché è la forza bruta delle armi. L'Amore dove tutto è violenza.
Continuava, approfondendosi sempre di più, l'equivoco quello di parlare e di cantare a dei singoli cristiani dimenticando volutamente che quei poveri cristiani erano intruppati in un esercito, realtà assolutamente impossibile ad essere cristianizzata.
Alleluia alleluia, alleluia...
"Se uno mi ama, osserva la mia parola", dice il Signore «e il Padre mio lo amerà e verremo a lui».
Va bene, d'accordo, ormai tutto può essere detto e proclamato in questo pietismo assurdo, dove anche la Parola diventa parole scolorite, sbiadite da una evangelizzazione pastorale ad uso e consumo ben congegnato.
E la lettura del Vangelo erano le parole di Gesù ai discepoli prima della sua passione e morte per mano dell'esercito romano, soldati e ufficiali a fare il loro mestiere... e certo sgomentava sentir rivolgere a dei soldati l'esortazione adorabile di Gesù all'Amore supremo: ...«nessuno ha maggiore Amore di questo: che dia la vita per i suoi amici»...
Presa alla lettera poteva essere una liturgia di contestazione terribile di ogni e qualsiasi militarismo. Se i soldati avessero attentamente ascoltato e accolto in un cuore sinceramente e profondamente cristiano, ne sarebbe venuto fuori un chiarimento folgorante fino a non poter non su-scitare profonde intensità di obiezione di coscienza. Una conversione improvvisa, una riconciliazione irresistibile, un Anno Santo meraviglioso: i cappellani militari e il loro vescovo sbalorditi davanti all'incredibile spettacolo di soldati, di ufficiali, di generali, ascoltate le loro parole evangelicamente ardenti e convincenti, strapparsi le stellette, de porle ai piedi di S. Pietro, abbracciarsi correndo a cercare un treno per ritornarsene a casa, felici e contenti di non essere più servi ma amici, di non avere più padroni ma soltanto un Padre, di non credere più a quello che insegnano i generali, ma a quello che dice S. Paolo: "Uno solo è il Signore, una sola la fede, uno solo il battesimo". Gesù Cristo è centro di unità. La fede in lui supera ogni divisione (e ogni reggimento) e rende i credenti un solo popolo (quindi senza confini da difendere) che opera nel suo nome (e non in quello del ministro della difesa) e con la sua forza (evidentemente molto diversa da quella dei carri armati e delle bombe atomiche).
La mattina dopo si sarebbe letto sui giornali la straordinaria notizia: i cappellani militari e il loro vescovo sono stati arrestati e deferiti a un tribunale militare perché a seguito di una liturgia celebrata in piazza S. Pietro, i militari presenti, in massa, hanno disertato, per obiezione di coscienza cristiana, e sono tornati alle loro case, convertiti e riconciliati.
Quei potenti coni di luce mi hanno richiamato alla realtà delle cose: in ogni modo anche la speranza fatta di sogni può accendere qualcosa nell'anima e anche fisicamente mi riusciva di più sopportare il gran freddo di vento gelato e di veglia morta dì fede.
E anche la marea degli spettatori militari e consorti e parenti si andava rianimando. Lo spettacolo usciva da una staticità piuttosto deprimente e cominciava a muoversi. Dagli altoparlanti calavano invocazioni alla croce in tutte le lingue. I due potentissimi fari si sono centrati al di là dell'obelisco, dove si andavano accendendo grosse fiaccole a fiamma mossa dal vento. Si muoveva qualcosa ordinandosi .in un corteo procedente a passo lento, cadenzato, solenne.
Alzandomi sulle punte dei piedi ho visto una grande, immensa croce distesa e sotto, le spalle di soldati e ufficiali assortiti di tra le diverse armi rappresentanze straniere.
Lentamente, con solennità marziale, quella croce ha salito il suo calvario: davanti alla cappella papale, sull'alto della piazza di contro alla facciata della basilica di S. Pietro, i due coni di luce potente centravano Ia scena, a poco a poco la grande croce si è levata. Non so perché, ma mi sembrava il rito spietato, freddo, lontano di una esecuzione.
Quando è stata rizzata lassù e l'esercito è scattato sull'attenti, una specie di applauso a battimani ha tentato di levarsi. Mi stava singhiozzando un immenso, lanciante orrore nell'anima. Quello che stavo vedendo era veramente un po' troppo.
Là su quella croce senza crocifisso, innalzata da militari, inalberata dall'esercito, dagli eserciti rappresentanti di gran parte del mondo, così schiacciato ed oppresso da innumerevoli dittature militari: là su quella croce vi vedevo pendere inchiodata la libertà, la giustizia, la fraternità, Non segno di Amore, ma strumentalizzazione di potenza. Non il segno del Crocifisso, ma il segno dei crocifissori.
Non mi sono levato il berretto quando cardinali e vescovi riuniti sotto quella croce hanno impartito la loro benedizione, né mi sono fatto il segno della croce.
Me ne seno andato a vedere cosa era successo di una povera donna e di tre giovani, portati via nell'ufficio del commissariato al di là del colonnato, da dei carabinieri perché sorpresi a distribuire ciclostilati che invitavano i militari a pregare insieme a dei non violenti per costruire la pare, meditare sulla guerra, la violenza, la tortura, la sopraffazione nel mondo.
Intanto, e la notte era ancora più buia e fredda, dagli altoparlanti esultava per la splendida riuscita della serata, per la fede esplosa dai petti militari, il fervente zelo dell'ordinariato militare e del suo clero sicuramente orgoglioso del fervore delle proprie parrocchie: e il coro, mentre i militari si avviavano verso le caserme o forse verso una libera uscìta-prernìo alle 11 di notte, questo cosiddetto INNO ALLA GIOIA:
1- Intonate, o fratelli alla gioia il canto - Dio vi solleva dalle tenebre ai cieli - Senza lui non c'è rimedio per corpo ed anima - la sorgente della vita a no la salvezza da.
2 - Su fratelli accorrete senza differenza di paese, razza, rango, Dio non vi bada - Abbattete ogni muro nessuno sta sopra voi - grande solo uno nostro Dio nei cieli sta.
3- Con la forza del Signore custodiamo la pace - Quale spirito la manda chi l'acquista noterà - noi così vedremo di nuovo ciò che ci minaccerà - e saremo ancor frate1li ritrovando l'unìtà.
N.B.
Data la lunghezza di questo servizio per la veglia della fede di venerdì 21 novembre, risparmiamo ai nostri amici l'altro servizio, sempre dalla piazza S. Pietro, per la Messa del Papa per i militari, celebrata domenica 23 alle ore l0. Anche perché raccontare troppo di cose penose, affliggenti e deprimenti può essere veramente approfittare eccessivamente della bontà dei nostri amici. E poi anche perché tutto è facilmente immaginabile e se poi qualcuno ha letto «Avvenire» (questo cattolico quotidiano) da disgustosità non ha bisogno di essere accentuata.
don Sirio
in Lotta come Amore: LcA dicembre 1975, Dicembre 1975
Luigi Sonnenfeld
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