La ragione di vivere

La vita di lavoro nella condizione operaia - con le sue esigenze precise, il suo ritmo uguale, la sua povertà - mi costringe ogni giorno ad approfondire il valore di questo nostro vivere, di questo camminare senza soste che è la vita di tutti specialmente quella della povera gente, mangiata da sem-pre dalle preoccupazioni più immediate e pressanti dell'esistenza umana: l'affitto di casa i figli le malattie, la fatica del lavoro, il bilancio da far quadrare ad ogni costo.
In mezzo a tutte queste cose che in fondo sono «la vita» per la maggioranza della classe operaia ci sono le preoccupazioni più ideali di tutti quelli che avvertono l'importanza dell'impegno politico, sindacale, della lotta per un mondo più giusto di uomini uguali fra loro, senza sfruttatori, senza padroni. Queste preoccupazioni sono motivo di forza, di coraggio, di pienezza di partecipazione alla storia umana non come oggetti da usare, come «cose» che servono per un po' e poi si buttano via, ma come persone consapevoli della propria dignità e del proprio valore.
Poi c'è l'amore per la donna vista come qualcosa di estremamente importante come una terra di sogno, di riposo, come una fonte di felicità direi proprio come «il paradiso» vero di cui ciascuno ha esperienza diretta e vi crede per quello che ha potuto vedere e toccare. E anche se l'amore è qual-cosa di essenzialmente fisico, esso rappresenta per la maggior parte dei miei compagni operai il mas-simo dell'esperienza umana, la gioia più grande che sia possibile raggiungere sulla terra.
Qui il cerchio si chiude: con amarezza e rassegnazione, con rabbia e ribellione, quasi come triste conclusione di tutta un'esperienza che niente sembra incrinare nella sua logica precisa. L'ultimo punto di questo cerchio che è la vita - cammino, destino, viaggio carico di mistero, di interrogativi, di ricerca senza fine rimane inesorabilmente la morte, l'essere portati via dall'ultimo terribile padrone contro il quale non si può scendere in sciopero, organizzarsi sindacalmente, fare un'occupazione né tanto meno una rivoluzione. Ci si ribella di dentro, la si respinge 'lontano, ma si sa bene che nessuno ci può far nulla.
Mi trovo a vivere la fede in Dio-Padre di tutti gli uomini, in Gesù Cristo Liberatore e Salvatore da tutte le paure e le schiavitù dall'interno di questa situazione umana che raccolgo con grandissimo amore perché la considero la terra dove il mio Dio mi ha portato, dove da diversi anni vivo il mio cammino umano, di cristiano e di prete: sento benissimo di. camminare in un deserto, molto più che se fossi fra le dune di sabbie infuocate o fra aride pietraie, perché è un deserto fatto di uomini che nella quasi totalità non hanno un'esperienza personale di fede, ma vivono e tirano avanti la vita nella sua povertà, soprattutto direi nella sua solitudine. In molti c'è qualcosa che assomiglia al ricordo di tempi passati, di un Gesù che nasceva nel. presepio di quando si era bambini della messa di Natale, della confessione e comunione a Pasqua, di un Paradiso (e di un Inferno) di cui hanno sempre parlato i preti ma del quale si sa e nel quale non è sicuro che anche loro proprio credano.
Poi c'è l'esperienza della Chiesa così come storicamente, visibilmente l'hanno conosciuta: ed è deserto ancora più grande perché quasi tutte ne sono rimasti delusi, amareggiati e allontanati da una mentalità ecclesiastica assurda, staccata dalla vita, mescolata alla politica di parte, ai quattrini, agli interessi di chi conta e sta sulle spalle della povera gente. Da questa esperienza di Chiesa non nasce nessun motivo di .gioia, di fiducia, di speranza di cercare fra le pieghe della vita la Presenza di Dio-Amore, del Dio che Gesù ha indicato con tanta passione come il Padre che raccoglie tutto, che è vicino ai suoi figli, che non abbandona nessuno nella fossa della morte ma richiama dalla vita, salva dalla disperazione, dà coraggio ed è la ragione vera di questo drammatico viaggio dell'esistenza umana. Questo Dio che ama i poveri, i perseguitati, gli oppressi, gli affamati di giustizia e di pace, è il grande assente nell'esperienza del vivere quotidiano, un Dio muto, che non si vede, non parla, non si fa presenza sperimentabile. E la Chiesa - troppo spesso - nella sua realtà concreta anziché manifestarlo questo Dio-Padre dei poveri e degli umiliati, lo nasconde, ne complica terribilmente i connotati fino a traviare il suo vero volto.
Eppure io so per la luce della fede che continua a bruciare nel profondo dell'anima che questo Dio è il midollo stesso della storia, il sangue, il respiro, il pane, il cuore di quest'immenso corpo dell'umanità intera. Il Dio di Gesù Cristo è veramente il fiume profondo che scorre nelle vene più segrete della vita; anzi - come dice il Vangelo - è la Vita stessa. Tutto questo lo so nella fede, ed è per questo che trovo ogni giorno il coraggio di affrontare il deserto in cui anch'io come tutti mi trovo immerso senza nulla vedere. Non ho niente di miracoloso da offrire: ma totale è la speranza che il mondo non è posto sotto il segno dell'abbandono e dell'angoscia, della solitudine e dell'assurdo, ma custodito nell'Amore. Non siamo un immenso popolo di orfani, ma famiglia e popolo di Dio in cammino verso la piena Libertà: è in Gesù Cristo, nella sua storia e nella sua parola che trovo con estrema chiarezza questa Presenza misteriosa che non abbandona il Figlio (e siamo tutti) alla sconfitta della croce e della morte (ed è la vita di tutti) ma lo richiama alla vita spezzando la pietra della sua tomba (ed è vittoria di tutti).
So bene di non avere altro senso, altri motivi, altra ragione di vivere: mi è rimasta chiara la consapevolezza di 'questo destino da cui sono stato segnato e che non mi da pace. Dentro la carovana che ogni giorno procede sotto il sole cocente del deserto so di dover portare con estrema umiltà la mia borraccia d'acqua per la sete dei compagni in marcia sulla stessa pista. Anch'io sento la stessa arsura e mi vince l'incertezza e la difficoltà del cammino.
Ci sono ventate piene di sabbia, stanchezze senza fine, voglia di abbandonare tutto e scegliersi una delle tante oasi, una palma dove riposare. Mi stanca enormemente la mia Chiesa così sorda e dura a raccogliere la voce che grida del deserto, voce di un'umanità schiacciata, sopraffatta, oppressa che come Giovanni Battista chiede di preparare la strade al Signore che viene.
Mi stanca il silenzio di Dio, il suo tacere così incomprensibile dentro i drammi, le lotte, le ingiustizie, le vittorie dei potenti sui poveri; il suo silenzio inquietante dentro la sofferenza, la ma-lattia, la debolezza e il patire dell'umanità.
Mi stanca tanto anche la mia pigrizia, la mia poca fede, il poco prezzo pagato per questo im-menso progetto di speranza, per quest'annuncio di salvezza, di gioia per tutto il popolo.
Ma il miracolo continua: c'è una misteriosa sorgente che non smette di portare acqua al mio cammino e che non è per la mia sete ma per quella di tutti. E so che devo essere disposto - nella povertà della mia vita - a dare tutto perché lungo la pista non manchi il bicchiere d'acqua che mi è stato affidato.


don Beppe


in Lotta come Amore: LcA dicembre 1975, Dicembre 1975

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