E' un pensiero che mi accompagna da molto tempo e diventa convinzione sempre più precisa e sicura: al fondo di tutto il problema del Cristianesimo gioca certamente un ruolo decisivo la paura di Gesù Cristo. Paura di Lui, delle sue scelte così nette e assolute, della sua chiarezza di rapporto con Dio Padre e con gli uomini riconosciuti come fratelli e amati fino a misure estreme di comunione e dono di sé. Paura del suo essere uomo così completo, senza compromessi - né col potere, né con la carne o il sangue, né con le tradizioni umane - e quindi profondamente partecipe dell'esistenza con preferenze "di parte" che lo hanno portato a finire sul patibolo della croce.
Proprio la sua croce rimane il segno speciale di questa "paura di Gesù"che molto probabilmente è la spiegazione profonda di tutta una storia di Chiesa così lontana dalla verità del suo Maestro, dalla sua lotta per il regno di Dio nel cuore e nella storia dell'uomo. .
Anche se non abbiamo il coraggio e la sincerità di confessare di avere paura di Lui, di non poterlo accogliere nella nostra vita come realmente Lui è e risulta dai Vangeli: tanto è vero che per voler ammettere a tutti i costi di essere cristiani ci siamo fatti, più o meno tutti, un Gesù Cristo a nostra immagine e somiglianza, a misura dei nostri pensieri e dei nostri amori sempre tristemente incompleti e lontani da ciò che ci sarebbe richiesto dal Gesù "vero", da Gesù di Nazareth così come risulta dalla limpidità della sua storia, dal fuoco bruciante della sua parola, dall'impegno senza riserve per la liberazione dell'uomo da ogni idolo e catena.
Come è stato :possibile, altrimenti, che una Chiesa che si è sempre dichiarata corpo di Cristo e popolo di Dio abbia distorto e tradito a volte in modi impressionanti la parola e la vita del suo Signore? Abbiamo "svuotato la croce di Cristo" in innumerevoli occasioni e vi abbiamo appeso a più riprese coloro che secondo l'opportunità del momento abbiamo pensato bene di dichiarare nemici di Dio, della Verità, della Legge.
Tutto questo è stato possibile perché la paura di Cristo si è impadronita del nostro cuore e abbiamo compreso che la fedeltà a Lui avrebbe comportato di salire noi su quella croce alla quale invece abbiamo preferito inchiodare (o lasciare inchiodare) gli altri.
Riconoscere questa dolorosa realtà storica non significa affatto spingerci alla disperazione o voler gettare fango sulla faccia di nostra madre-Chiesa: e necessario però portare con chiarezza la responsabilità di tutte le incapacità che come credenti abbiamo nei confronti del Cristo Gesù.
E' di questi giorni (e c'è una significativa risposta su «Famiglia cristiana» del 19 ottobre) la polemica per l'intervento di una scrittrice "laica" e non credente sull'interessamento di papa Paolo VI per i condannati a morte in Spagna dal regime guidato dal cattolicissimo Francisco Franco: vi ho ritrovata chiarissima questa paura di Gesù nel rispondere ad una donna che ha scritto che il papa anziché telefonare al generalissimo avrebbe dovuto prendere il primo aereo per Madrid e andare là a chiedere la grazia. Naturalmente non per inginocchiarsi davanti ad un potere «cattolico», ma per scoprire finalmente con la sua presenza fisica tutto l'imbroglio che continua da quaranta anni: quello cioè di un uomo che si è sempre proclamato cristiano, difensore della fede e che ha massacrato, oppresso, emarginato gli uomini migliori del suo popolo e che quasi. sicuramente ha perso l'ultima occasione per uscire dalla storia con un gesto di ravvedimento, di conversione, di penitenza per la tragedia che ha rovesciare sulla sua terra. Forse l'ultima occasione per presentarsi al giudizio di Dio con le mani meno sporche di sangue.
Non so perché la Ginzburg abbia scritto di questo doveroso viaggio del papa: se è stato lo spirito di polemica, di maldicenza politica a guidare la sua penna, oppure un sincero (magari rabbioso) amore per quegli uomini stroncati dalle mitraglie in nome di una giustizia da assassini.
Comunque sia, la sua rimane ugualmente una domanda che merita una risposta ben diversa da quella che ho letto anche sul cattolico "Avvenire".
Non è una dichiarazione stupida né tanto meno diffamatoria: è un problema che dovrebbe inquietarci tutti perché il fatto che il papa andasse di persona a Madrid non è uno scherzo. «Ipocriti, se una pecora cade nel fosso in giorno di sabato forse che non vi precipitate a tirarla fuori? E allora per un uomo non è lecito fare altrettanto? »: cinque vite valevano indubbiamente qualunque tentativo.
Il dramma e la tragedia consiste invece nell'impossibilità che un simile avvenimento si realizzasse nell'attuale situazione della Chiesa. Alla Ginzburg vorrei rispondere dicendo che la Chiesa, il popolo cristiano nel suo insieme ha espresso il meglio di se stesso nell'accorato appello di Paolo VI: ma la misura della Chiesa - in questo momento - finisce lì. Il papa non poteva andare a Madrid: perché la Chiesa storica che siamo noi tutti non ha fatto le scelte radicali, le rotture indispensabili, la rinuncia autentica al potere temporale per cui diventa possibile agire e vivere in piena libertà e lottare quindi con amore per la causa dell'uomo oppresso e schiacciato dai potenti della terra. Se Paolo VI avesse avuto la luce necessaria a compiere un gesto del genere è evidente che una "breccia" molto più significativa di quella di Porta Pia si sarebbe aperta nelle vecchie mura della Chiesa e un po' d'Anno Santo sarebbe penetrato dentro i bastioni di un mondo religioso che si dimostra tenacemente impenetrabile dal soffio rinnovatore dello Spirito di Gesù che pure urge violentemente alle sue porte.
Così si è visto il nunzio apostolico vaticano ritornare velocemente a Madrid per essere presente ai festeggiamenti del 39° anniversario del governo di Franco. Un metodo davvero vecchio di separare diplomaticamente i drammi enormi di un popolo oppresso per 39 anni da un regime fascista e le esigenze evangeliche di gridare dai tetti la verità delle cose a difesa dell'uomo. Perché il Vaticano non ha rotto le relazioni diplomatiche col regime spagnolo? Non è una domanda da scartare. Con la scusa che essa è troppo «politica»; anche se è chiaro che tipo di risposta potrebbe venire dagli ambienti ecclesiastici ufficiali.
Bisogna andare molto al di là delle nostre abituali e comode giustificazioni per scoprire le vere radici di questo nostro comportamento non-cristiano: scopriremmo allora che alla base della nostra infedeltà al mistero dell'incarnazione del Figlio di Dio nella pasta dell'esistenza forse c'è proprio quella "paura di Gesù" di cui dicevo all'inizio. Perché in realtà Gesù di Nazareth è una figura inquietante: Egli disturba i nostri sonni tranquilli, mette in crisi le nostre sicurezze di gente perbene, il suo coraggio, la sua tenace obbedienza alla sola volontà del Padre possono davvero sgomentarci: non si può dire a Gesù che sta un personaggio accomodante.
Fa veramente paura la sua povertà così schietta. il suo camminare in libertà da tutto a da tutti e al tempo stesso così disponibile, così attento, così ricco di amore vero, pieno e reale per le creature stanche e percosse dalla vita; il suo parlare senza peli sulla lingua in faccia agli sfruttatori del nome di Dio preso come scusa per rendere schiavi gli uomini di precetti e di leggi. Nella sua esistenza c'è realmente qualcosa di impressionante, qualcosa che può allontanare da Lui invece di avvicinarlo alla nostra strada: questa radicalità del suo vivere senza squilibri in pienezza di fedeltà a Dio e agli uomini. A tutti gli uomini: ai ricchi, ai malvagi, agli ipocriti, ai violenti usando la frusta di un amore che non si spiega, non si mette d'accordo, non cerca mezze misure o false misericordie; e ai poveri, agli abbandonati, alle donne perdute, ai disprezzati, ai sofferenti incontrandoli con un'amicizia, un'accoglienza, una fraternità piena. Uno di loro, sulla stessa strada ad indicare senza incertezze dove camminare per restare fedeli al regno di Dio.
Ed è soprattutto la logica di questo regno che Gesù annuncia ed inizia che sgomenta e allontana da Lui, facendolo sentire estraneo, diverso, come se parlasse una lingua sconosciuta: l'amore ai nemici, la tunica data a chi ti vuoi prendere il mantello, il perdonare sempre, la fame e la sete di una giustizia più grande di quella dei "giusti", il perdere la vita per poterla possedere, la rinuncia volontaria e costruttiva ad ogni potere sugli altri, ad ogni autorità come dominio, il cuore puro, la mitezza, il costruire la pace in un mondo di divisione e di violenza, la gioia dell'essere perseguitati a causa del suo Nome, la scelta assoluta di vincere il male col bene, il buio con la luce, l'odio con l'amore...
Questo Gesù, finito sulla croce per la sua incrollabile fedeltà a questa logica veramente sconcertante, ha sempre fatto paura al popolo cristiano, alla sua Chiesa: ne furono sgomentati quasi tutti gli amici più prossimi, i parenti, i discepoli, gli apostoli che lo lasciarono morire solo sull'alto della sua croce (pochissime donne, Giovanni) e soltanto con la resurrezione ritrovarono la forza e la gioia di credere al suo sogno di vita nuova. Così lungo tutta la storia della cristianità solamente coloro che si sono liberati dalla paura di Lui e si sono lasciati andare perdutamente alle sue richieste hanno realizzato il disegno di Dio nella vita. Hanno aperto una strada alla speranza, hanno mante-nuto acceso il fuoco della fiducia in un vivere più fraterno, nuovo, liberato dall'ingiustizia e dall'angoscia. Liberatisi dalla paura del Cristo e del suo messaggio, sono diventati uomini e donne capaci di liberare gli uomini loro fratelli dalle catene della schiavitù.
Penso che non ci sia altra via per essere pienamente uomini - e perciò veramente figli dell'uomo e figli di Dio, come Gesù - se non quella di accogliere senza riserve la misura della sua umanità, seguendolo con tutte le forze e con tutto il cuore sulla strada che Lui ha percorso senza mai voltarsi indietro. Perché verissima è la sua parola, che chi si volta indietro dopo aver messo mano all'aratro non è adatto per il regno di Dio: e probabilmente neppure per quello dell'uomo.
in Lotta come Amore: LcA ottobre-novembre 1975, Ottobre 1975
Luigi Sonnenfeld
e-mail
tel: 058446455