Quale riconciliazione?

Il pellegrinaggio militare internazionale per l' Anno Santo, preannunciato già da tempo, dovrebbe aver luogo a Roma domenica 23 novembre. Questo pellegrinaggio è stato preceduto da analoghe iniziative delle diverse regioni militari italiane.
Già da tempo, uno degli impegni che ci siamo assunti è quello di lottare contro l'istituto cappellani militari, la collusione che ne risulta tra Chiesa ed esercito, potere ecclesiastico e potere militare, ecc.
Tutto questo perché giudichiamo l'esercito e tutto l'apparato militare come un centro di potere, come un'organizzazione di forza e di mezzi ordinata alla guerra e quindi una realtà di fatto assolutamente inconciliabile con il Cristianesimo.
Non riusciamo, quindi, né a capire, né ad accettare questo «pellegrinaggio», questa «riconciliazione».
L'obiezione consueta dirà che anche i soldati sono l'organizzazione dell'esercito e della Chiesa presente ed inquadrata nell'esercito.
Non sappiamo ciò che dalla finestra si dirà ai militari raccolti in Piazza San Pietro, ma anche se ovviamente si parlerà di pace, sarà pace conquistabile e difendibile principalmente, se non esclusivamente, con la guerra dal momento che la si affida - la pace - ad un esercito.
Non sarà quindi possibile una riconciliazione con i popoli schiavi di dittature militari. Non sarà possibile una riconciliazione con gli obiettori di coscienza di tutti i paesi. Questi grossi nodi per la coscienza cristiana rimarranno insoluti o meglio saranno ulteriormente complicati dalla presenza degli eserciti in Piazza San Pietro.
Del resto quanto questi problemi siano (o debbono essere come prezzo pagato dai cappellani per le loro stellette) dimenticati, lo si può facilmente dedurre dal contenuto di una dichiarazione del vescovo castrense italiano alla radio vaticana: «Riconciliazione può significare negli ambienti militari per chi deve comandare, resistenza ad ogni tentazione di abusare del potere e intelligente esercizio cristiano dell'autorità come autentico servizio alla crescita umana e spirituale delle singole persone e dell'intera comunità. Per chi è sottoposto alla disciplina militare la «riconciliazione» significa valorizzare l'impegno a superare il proprio egoismo, in una gioiosa riscoperta dell'amicizia, in una felice constatazione che l'obbedienza può diventare virtù liberatrice. se fatta in donazione, pazienza e fedeltà a tutti».
Questa dichiarazione, già commentata su questi fogli, dà per scontata la struttura dell'esercito. Propone una figura di ufficiale devoto alle istituzioni democratiche ed un allegro insieme di buoni ragazzi uniti da sano cameratismo. In verità un'immagine un po' sbiadita di un esercito di cavalieri in difesa della tranquillità dei cittadini.
Forse i cappellani militari non sanno per esempio che l'Italia è al quinto posto dei paesi che commerciano armi e che tale traffico (soprattutto per i paesi sottosviluppati) passa anche attraverso i canali dell'esercito? O forse non si rendono conto di cosa significhi questo fatto per una spirale di violenza e di repressione?
Quale riconciliazione viene proposta per questi fatti?
Il 23 novembre cerchiamo di essere a Roma per una ricerca di chiarezza evangelica su questi grossi problemi, anche se sarà come gridare nel deserto di una umanità e di una situazione storica sempre più rivolta a cercare soluzioni nella violenza e nella morte. Sempre che ne troviamo il coraggio ed i modi .


La Redazione


in Lotta come Amore: LcA ottobre-novembre 1975, Ottobre 1975

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