Dice un vecchio proverbio che la storia è maestra di vita: come dire che l'esperienza accumulata nel passato recente e lontano dovrebbe significare per tutti noi un bagaglio prezioso d'insegnamenti e di valori. L'esperienza soprattutto dovrebbe renderci capaci di non ricadere in quei tragici errori che nel passato hanno voluto dire dolori, lotte senza fine, drammi terribili, storie di sangue, distruzione e morte. Errori che hanno fatto della nostra terra un campo di battaglia e di scontro, una veste continuamente lacerata: e questa veste era la vita dei popoli, la carne e il sangue di milioni di creature. Abbiamo vissuto l'esperienza assurda del fascismo e del nazismo: abbiamo contato i morti sui campi di battaglia, nelle città sventrate dalle bombe (compreso quelle atomiche), nei campi di sterminio. E invece di bruciare immediatamente tutta la ferraglia di morte, di considerare primo nemico pubblico l'industriale costruttore di armi, l'uomo in divisa militare (specie se con medaglie), abbiamo ricominciato subito a tessere la stessa trappola mortale. Così oggi, non avendo affatto considerato la storia maestra di vita, ci troviamo a vivere in un mondo che è come un enorme campo minato, con milioni di uomini asserviti alla schiavitù dell'esercito, sempre pronti qua e là a spargere sangue fraterno.
E' chiaro che tutto questo andava sostenuto con giustificazioni e ideali, e non sono mancati quelli che li hanno prontamente trovati.
Così per tantissimi altri problemi mi sembra di capire con sempre maggiore chiarezza che è solo nel profondo della propria vita, nel cuore della propria coscienza che è possibile radicare delle scelte diverse da quelle che invece - come a branco di pecore - ci vengono imposte dai padroni del momento.
Dico questo pensando soprattutto alla realtà e alla storia del popolo cristiano, della Chiesa nella sua dimensione comunitaria e nel modo concreto di compiere le sue scelte storiche: gli sbagli di ieri, i falsi obbiettivi del passato (il vecchio lievito, dice il vangelo) ritornano nuovamente alla ribalta e alimentano nuove crociate. Siamo davvero «un popolo della testa dura», un popolo che prega il suo Dio con le labbra ma «il cuore è lontano da lui»: non comprendiamo i segni del tempo, sciupando delle meravigliose occasioni per immettere nella pasta spesso informe della storia umana la forza del lievito del Regno di Dio.
L'esperienza di ciò che sta avvenendo da qualche mese nella Chiesa portoghese conferma questa tragica incapacità a vedere, ad intuire I'appello che nasce dagli avvenimenti e che sarebbe carico di esigenze di novità di impegni con la vita. Di nuovo e con profonda amarezza assistiamo ad un succedersi di prese di posizione dei cristiani portoghesi, con parecchi vescovi in testa, che richiamano esattamente l'epoca delle crociate, soprattutto di quelle crociate politiche che da noi sono state vissute dal '46 al '60. Quando il nemico da abbattere a qualunque costo non era lo sfruttamento del popolo da parte di chi s'era ingrassato con la guerra, lo schiavismo di tutta la realtà militaresca che aveva spinto gli uomini al macello il potere degli industriali e degli agrari: il nemico erano «i rossi», il diavolo ormai era ben individuabile perché portava tanto di falce e martello e la lotta quindi non poteva essere che senza quartiere. Perché un cristiano che sia veramente tale non può rifiutarsi di lottare contro il diavolo: sono venute le scomuniche abilmente manipolate sul piano pratico della pastorale parrocchiale e tanta gente si è vista sbattere la porta in faccia e s'è trovata fuori di casa. Divisioni, incomprensioni, odio e su tutto questo l'interesse economico e politico delle classi dominanti che hanno subito capito che lo «scudo crociato» era davvero garanzia di tranquillità e sicurezza per il loro capitale.
Così la Chiesa - ed è stato detto, scritto, ripetuto migliaia di volte - ha perduto la classe operaia emarginando per questioni assolutamente non evangeliche coloro per i quali il Vangelo doveva essere primariamente annunciato.
L'impressione è che in Portogallo la Chiesa stia nuovamente ricadendo in questo errore assurdo di legare il fatto religioso alle scelte di tipo economico e politico indicando nuovamente nel comunismo e nei comunisti il diavolo da combattere con tutte le forze. Questo è stato detto sulla pubblica piazza dall'arcivescovo di Braga, in un momento di tensione durissima che ha provocato morti e riferiti fra la gente. Questo vescovo è lo stesso che ha fatto l'elogio funebre al presidente Salazar: non ha dunque il merito d'essere al di sopra d'ogni sospetto.
Comunque il grosso problema non è tanto la posizione di un vescovo o di un altro, quanto piuttosto l'urgenza di renderci conto del lavoro enorme che resta da fare ogni giorno per liberare all'interno delle comunità cristiane tutto il bagaglio di valori evangelici rimasti sepolti sotto una mentalità e un modo pratico d'affrontare la vita che non ha nulla a che fare col progetto cristiano. E' impressionante a questo proposito constatare come intorno ai vescovi portoghesi per la crociata anticomunista (benedetta da tutta la ricca borghesia che di nuovo vede nella croce la «sua» salvezza) si sono radunate folle enormi: segno, questo, purtroppo. non di una lucidità storica ed evangelica, ma di una realtà di popolo ridotto a massa anonima senza possibilità di scelte proprie chiare e precise, incapace quindi di capire, qual'è il posto del cristiano all'interno del cammino storico.
L'esperienza del Portogallo è un'indicazione eloquente - per chi ha occhi per vedere e orecchi per intendere - del fallimento di tutto un metodo religioso ridotto a devozione, a legalismi, a osservanza di tradizioni umane, a privilegi della classe sacerdotale: rivelando un popolo cristiano che on ha capacità reale di seguire, la sola Parola a cui deve totale obbedienza e fedeltà, quella del suo unico Maestro e Signore. Così la Chiesa portoghese anziché accogliere con gioia il momento della sua liberazione da ogni legame con il potere, con il capitale , con il fascismo di un regime che ha oppresso il proprio popolo e le colonie con durissima repressione, facendosi così punto d'incontro, di comunione fra le diverse componenti sociali e soprattutto spinta. Per un superamento non qualunquistico delle divisioni di classe, ridiventa chiesa di parte e naturalmente di quella parte che le può assicurare una tranquìllità e una scurezza umana. lnvece di «paasere ai barbari», come dice in modo molto preciso Helder Camara, scegliendo di mettersi dentro, la storia dei poveri, degli i sfruttati e dei rifiutati senza potere né privilegi, preferisce restare dentro le vecchie mura che rischiano di crollare addosso. Sarà tutto questo a seguito di Gesù Cristo, per amore del popolo?
La nostra responsabilità di cristiani ci coinvolge direttamente in questa situazione così penosa cui sì muove, la comunità cristiana del Portogallo. E' autentico amore fraterno almeno portare dentro di noi il travaglio di una ricerca di fede che ci spinga a vivere nel nostro pezzo di terra quotidiana un impegno cristiano che abbia il sapore autentico del Vangelo. Perché bisogna combattere dalla nostra trincea la battaglia della liberazione da tutto ciò che ci fa complici della ricchezza dei ricchi (il sangue del povero, come lo chiamava Léon 8100i1s) e della violenza dei potenti. E 'quindi il giocare tutto di noi perché nasca un popolo che non sia branco di pecore che cammina a testa bassa dovunque ,lo conducono, ma insieme di persone libere e coscienti di dover obbedire, a rischio personale, alla voce dell'unico Pastore che è il Cristo.
Nelle vicende portoghesi mi sembra di cogliere un invito molto forte a renderci conto di quanto esigente sia la proposta che viene dal Vangelo; di 'come si può diventare causa e motivo di ateismo per tanti fratelli, contraddicendo storicamente la parola e la vita del Signore. E quindi come il voler essere "Chiesa di Cristo" -. comporti 'un impegno radicale per i valori e le scelte che Lui ha proposto è vissuto pagandoli a caro prezzo.
don Beppe
in Lotta come Amore: LcA agosto-settembre 1975, Agosto 1975
Luigi Sonnenfeld
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