La conferma
Cipro 8 luglio
E' stato bello questo viaggio, quasi un anticipo di cose nuove. Sgombrato il terreno da tutto siamo ora diversi, disposti, distesi, in un mondo nel quale ci muoviamo come stranieri, senza punti di riferimento, fra mare e cielo.
Occupati dalla routine precisa della giornata organizzata dalla Compagnia di Navigazione, ci sembra di muoverci in un pianeta diverso, oppure in un immenso acquario dove i contatti sono silenziosi, e fluido il muoversi.
Le sensazioni del viaggiare ci hanno aiutato a scoprire con evidenza, dopo tanti anni, di essere - io e Sirio - abitanti di un mondo che non abbiamo ancora messo bene a fuoco, del quale però non abusiamo, piuttosto osserviamo silenziosamente per mutuarne regole e comportamento. Abbiamo saputo di esserci addentrati in uno spazio al di là dell'orizzonte per un cammino compiuto per anni: la conferma. Forse questa è la conferma. Confermazione. Approvazione. Acconsentimento al passato che permette modi nuovi di esistenza.
Come nella Chiesa ortodossa dove il matrimonio, ad esempio, viene celebrato dopo dieci anni di convivenza. E' veramente un'altra cosa. Noi cattolici abbiamo perduto la ricchezza di certe intuizioni.
Dicendo di sì ora, ci dispone ad altre avventure.
Sempre meno abbiamo bisogno di riferirci. L'uno riposa nell'altro. Un altro ci aspetta,
Il passaggio non è difficile. Erano anni che avevamo conquistato libertà interiore. Durante il viaggio non abbiamo avuto quasi bisogno di parlare. Le parole veicolano poco la visione di un mondo che si vede sorgere.
Inventare altre vie?
Gerusalemme , 10 luglio
Ieri sera aspettavo Sirio che tardava ad arrivare, davanti alla Porta di Damasco. Guardavo insieme con Dalmazio le mura dorate, la luce di quel cielo: «Gerusalemme quanto sono belle le tue mura...».
La mattina dopo siamo andati nella vecchia città. Il mercato me lo ricordavo perfettamente. Perfino i mendicanti mi parevano gli stessi. Come capire qualcosa di questo popolo, di cosa accade, non rimanere turisti...
Siamo arrivati alla basilica del Calvario. Bella, diversa da come la ricordavo, e ancora le pietre di qui, fatte di luce, non chiudono, non separano, pare non costruiscano.
Più tardi Sirio e Padre Mongillo sono andati a mangiare e io sono rimasta nel bazar a camminare e guardare mangiando pane e uva. Guardavo gli arabi e rivedevo i loro problemi e quelli, in fondo, di tutti noi. Quale sbocco può avere la lotta se i mezzi permessi dal sistema, i "canali democratici" di protesta non sono validi, se il margine di azione è sempre minore?
Inventare altre vie? Si, ma su quali linee direttive e quale la matrice dalla quale far sorgere la forza di non disperare, e di progettare progetti a dimensioni umane. Da quale matrice persone con impegni diversi possono trarre nutrimento tanto da formare la comunità in cammino? Da soli non si può.
La libertà, la coscienza, la lotta, il ribellarsi, vanno intrecciate in un movimento più ampio che abbia dimensioni tali da affondare le radici fuori dal sistema.
Non esiste lo polizia
12 luglio Gerusalemme
Siamo andati a conoscere i Domenicani del Sion, una piccola comunità dedicata al problema giudeo cristiano. Ci siamo fermati a cena e abbiamo potuto conoscere molta gente. Ho parlato a lungo con una donna che vive nel kibbutz dal '48: sei figli, la più grande 23 anni, la più piccola 12.
E' una comunità solidamente economica, fortemente produttiva; la gente ci sta perché sta bene, lo ha ripetuto più volte; gli ideali iniziali sono scomparsi, ma l'esperienza è ugualmente positiva. I figli specialmente sono felici: il senso morale sociale è forte, non esiste la polizia, in tanti anni nessuno ha mai trasgredito alle regole della collettività. Che cos'è? «E' il socialismo realizzato, mi diceva, una vera società, fondata sulla giustizia, l'abolizione della proprietà privata, del denaro, dell'autorità.
L'autorità è un servizio e sussiste se chi l'esercita si merita la fiducia della gente, in caso contrario decade. Ogni due anni un membro della comunità viene eletto al servizio di sindaco».
Ci sono ovviamente anche problemi negativi, accennati in questa intensa e veloce conversazione su questo mondo che mi piacerebbe tanto conoscere da vicino. Qui come altrove è vivo il problema femminile: i rapporti uomo-donna nell'ambito della famiglia sono tradizionali, ugualmente nella vita pubblica: generalmente alla donna come lavoro viene richiesto quello nel campo educativo per rimanere accanto ai figli, lavoro che l'uomo non svolge quasi mai.
Mi piacerebbe un giorno o l'altro domandare l'aspettativa e passare un lungo periodo in un kibbutz, visto che sembra un luogo dove persone normali sono riuscite a costruire un importantissimo fatto umano lungo un arco di tempo abbastanza lungo. Purtroppo non mi viene in mente una esperienza altrettanto positiva fra i cristiani.
Amore nato dall' amore
15 luglio Gerusalemme
Il fondo del problema umano e cristiano: la conversione. Il riconoscere Dio. Che posto ha Dio nella nostra vita? Perché questa opposizione fra l'uomo e Dio? L'uomo è come un fiume d'acqua, alla sua origine ha la sorgente anch'essa umana. E' perfetto in sé. Non ha bisogno di Dio. L'uomo è uomo e deve lottare per un mondo più umano. Dio lo ha creato, è l'origine, ma lo ha fatto sufficiente. L'uomo non ha propriamente bisogno di Dio, ma può desiderarlo. E' allora amore nato dall'amore, gratuito.
Così fra esseri umani. Non più quando ho bisogno di vederti e nostalgia profonda in te, ti amo. Ma quando mi riconosco in me stessa e so di non avere bisogno di te, solo allora posso dire: ecco, vengo a trovarti perché ti amo.
In questo rapporto diverso, liberato, che richiede un'ascesi continua, e una disposizione, essendo perfettamente se stessi, ad uscire da sé, che senso ha la comunità dei credenti? Forse il confermarti nella fede? Forse l'invitarti ad aiutarti a credere. A fare della tua fede, fede autentica. Gesù Cristo è stato uomo perfettamente auto sufficiente. Libero. In libertà ha scelto di amare Dio e gli uomini.
«Habla latino»?
19 luglio
Siamo andati, io e Sirio sulla vespina '50 fin sul Tabor, e poi un breve giro: Nazareth, lago, un po' di Galilea, il ritorno lungo la valle del Giordano.
Un viaggio importante, sperduti in quel mondo, immersi nel paesaggio, senza potere parlare per il continuo andare senza quasi soste, ma senza bisogno, al solito, di parole, perché tutto veniva detto intorno a noi.
L'ultima parte, chilometri di paesaggio surreale, la strada deserta, calda, percorsa da un vento impalpabile: a sinistra al di là del fiume la frontiera giordana: chilometri di filo spinato e di fortificazioni che non avevano fine.
A destra montagne abbandonate, brulle alcune, altre coltivate ad avena: estensioni bionde, un salire e uno scendere che non aveva nulla di dolce perché non vi era un volto umano in esse. «Zona militare. Il passaggio è a vostro rischio».
Il vento ci stancava, la strada scendeva sotto il livello del mare; si passava su una terra conquistata che non sembrava appartenere più a nessuno,
A tratti estensioni di cotone, piante piccole, piante più grandi. Lavoro umano, perciò, terra coltivata, resa più ricca, irrigata. Ma con che cuore.
Ho visto due villaggi abbandonati. Uno fin da lontano sembrava fatto di case impastate di terra. Erano infatti di argilla. Piccole, uguali, ai piedi di una collina, parevano mimetizzarsi, volere scomparire. Porte e finestre aperte , non più segni di vita, non un oggetto, un suono, un colore. Le case erano tornate terra. «tu sei polvere... ». Poco lontano i conquistatori avevano piantato il cotone.
Più avanti un villaggio più ampio, la piazza, le strade, probabilmente era più ricco. Alcune case imbiancate, altre azzurre, macchie di colore finalmente per occhi stanchi di polvere e di grigio, ma in esse gli occhi ciechi di finestre rimaste aperte per sempre. Le case salivano su una collina. In alto errava qualche abitante. Arabi. Poveri. Impolverati. Scuri. Diffidenti. Come mai non erano scappati? Più tenaci degli altri? più vili, più poveri? parevano fantasmi. Fuori dal villaggio pascolavano alcune capre dove prima vi era stato un campo da gioco: due porte bianche, il perimetro segnato: vestigia di tempi passati. Oggi tutto era abbandono.
Poi niente altro. Solitudine totale, qualche camion militare, tre carri armati, per una strada che sembrava non dover più smettere.
Un'altra cosa ricordo di quel camminare libero e felice trasportati dalla motoretta, io seduta sulla ruota di scorta, Scendendo dal Tabor cercavamo Seforis. Un amico era là, motivo per raggiungerlo. Un posto che diventava una meta.
Intanto il sole caldo, pianura e collina coltivate, la strada che si snodava sembravano lentamente modellarci. Dopo ore di cammino eravamo giunti vicini al villaggio, ma non lo trovavamo, nemmeno sulla carta.
Verso le 2, stanchi e impolverati, facciamo più volte la spola fra Nazareth e Cana, ma nessuno riconosce questo luogo, le strade, per di più, sono quasi deserte, solo un cane ci insegue, e la povera vespina '50 non ce la fa a scappare velocemente. Giriamo di nuovo su noi stessi, andiamo verso la pianura coltivata, che sembrava presidiata da alcune fattorie ricche di animali. Su una collina verdeggiano giovani abeti. Nessuna casa in giro, nessun convento...
Ci fermiamo accanto a una stalla, troppo stanchi per proseguire. Vedo urna bimba di pochi anni, la seguo, mi conduce in casa: una stanza piccola, una giovane donna che impasta un dolce, due vecchi nella penombra.
Mi rivolgo alla giovane sposa parlando inglese, francese, nulla. Risponde in ebraico.
Siamo sconfitti, non sappiamo più cosa fare. Quando dalla penombra si leva un vecchio, eret-to e forte sempre, bianchi i baffi e i capelli, mi guarda e dice: «Habla latino?». Sembra un'apparizione.
Esce di casa, gli domandiamo di un convento di suore. Ci guarda calmo, e lentamente spiega, indica, dal nulla di quel paesaggio desolato, popolato di stalle e campi immensi, spunta una strada. La strada. Cortesemente ci accompagna quel tanto che basta per indicare, e rimane accanto alla casa a salutare finché siamo scomparsi.
Abbiamo, poi saputo arrivando al convento, povero, quasi deserto, arroccato in alto, che nessuno poteva spiegarci dov'era il villaggio perché non esiste più. L'unico segno di 4000 abitanti che avevano le loro case sulla collina lì accanto sono i giovani abeti piantati dai conquistatori al posto delle case.
Maria Grazia
in Lotta come Amore: LcA agosto-settembre 1975, Agosto 1975
Luigi Sonnenfeld
e-mail
tel: 058446455