Fede e memoria

Sono sicuramente passati i tempi e modi d'esistenza di una Chiesa e il suo essere si è andato a poco a poco modificando in una liberazione lenta ma incessante. Il Concilio Vaticano II era stato infatti tutto impostato nella tematica fondamentale indicata da papa Giovanni, tesa tutta e convergente a riscoprire l'identità della Chiesa.
Ricordo lo stupore che provammo a quei tempi.
Stupore di gioia perché erano ormai anni che già sia pure in modo staccato e a livelli tanto diversi questa ricerca era sofferta, nascostamente ma appassionatamente vissuta, da tanta profezia di uomini e gruppi, sempre più ad accumulare urgenze e richieste irrimandabili. Perché a quei tempi la contestazione era diversa e somigliava stranamente alla rivolta liberatrice per scontentezze profonde, ma contenute in una misteriosa necessità di Fede e per una clandestinità inevitabile, assai vicina ai movimenti d'idee, di valori concettuali, di evidenze impossibili a non manifestarsi, di circolazione di progetti diversi, di visioni nuove, ecc. proprie della condizione di lotta dove la dittatura è assoluta fino all'impossibilità, all'assurdità perfino del respirare;.
A quei tempi - e non sono poi tanto lontani perché vanno dal '45 al '60 - le comunità di base, la Chiesa del dissenso erano realtà più singole che comunitarie, senza ombra di organizzazione, senza pubblicazioni, all'infuori di entità minime di periodici e di libri. Era realtà di pochi uomini e dissemi-nati qua e là, schiacciati normalmente dall'autoritarismo, ai margini della globalità ecclesiale, allora gloriosamente trionfalistica fino alle misure - verrebbe da dire - imperialistiche.
Allora anche la Speranza era difficile, e dura a sostenersi la Fede. Era violento e sicuro soltanto l'Amore, quell'Amore tenace e implacabile, strano e pazzesco, ritrovabile, per esempio, tanto così per indicazione e chiedendo scusa del raffronto nelle pagine del profeta Osea. La Chiesa a quei tempi questi uomini l'amavano così.
Probabilmente ha molto influito, e forse addirittura determinato quest'atteggiamento, questa caratterizzazione di lotta, il fatto che questi uomini portavano tutti, in un modo o in un altro e in misure più o meno intense, l'esperienza dolorosa, disperante della dittatura fascista. L'avere sofferto, e fino all'impossibilità del respirare, la denominazione autoritaristica tipica del fascismo, il suo trionfalismo imposto e artificioso a masse popolari, il suo imperialismo tranquillizzante per una passività assoluta e per vuoti totali di speranze storiche e di possibilità di umanità diversa, questa dura esperienza (e la resistenza e la liberazione dal fascismo non hanno quasi per niente sfiorato la Chiesa passata immediatamente e a bandiere spiegate nei facili trionfalismi del dopoguerra) questa esperienza ha però segnato profondamente nei rapporti di lotta all'interno della Chiesa lo stesso spirito di liberazione e di rinnovamento, la stessa metodica e capacità e forza di resistenza, perché questa è la vera resistenza, la strategia di lotta consistente nel gettare a piene mani il buon grano ad ogni mattina che il sole fa sorgere sulla storia.
Nessuno saprà mai che ispirazione di Fede, ma specialmente che forza di speranza sia stata, specialmente allora, la parabola del buon seminatore. Tanta strada e asfaltata e lunga e spaziosa sempre più e pietraie aride e sterpeti prunosi capaci di soffocazione immediata, era allora questa benedettissima e amatissima Chiesa, ma lo Spirito di Dio scavava sterramenti prodigiosi e scassava in profondo terreni sassosi, estirpava rovi e ravvivava terre abbandonate, in metri quadrati e sempre di più a distese immense,in terra buona per il 30, il 60, il 100 per uno.
Fare nomi sarebbe facile e semplice, specialmente quando si tratta degli uomini di quei tempi che Dio, nella sua infinita potenza e gloria, ha liberato dalla croce della lotta, risuscitandoli, dopo il terzo giorno - anche se sono occorsi alcuni anni - rendendoli vivi e presenti. E così tanto che se ne strappano di mano la memoria, se ne coprono le vergogne con la loro gloria, ma specialmente della loro sofferenza e lotta e crocifissione e resurrezione se ne riempiono le tasche di quattrini, tanto per conservare antiche tradizioni di fede merce di guadagno, vendendone l'amara solitudine, il coraggio pazzesco la fedeltà a Dio, a Gesù Cristo, alla Chiesa, al popolo, ai valori essenziali e determinanti della dignità umana.
Gli altri che sono vivi, stranamente, continuano a non piacere pressoché a nessuno. L'autorità li guarda ancora con astio e li giudica severamente responsabili di molte cose e questo per la semplice disgrazia che sono ancora vivi, anche se invecchiati. Invecchiati sì, ma forse ancora più tenaci e ancora più pericolosi perché non si arrendono a non voler guardare più lontano. Hanno in mano i dati incontrovertibili, perché sono sangue e ossa della loro vita, per giudicare l'irrisione delle riforme così clamorosamente decantate, l'indurimento, anche se in forme e modi più raffinati di furbesca attualizzazione, di vecchie e incallite posizioni, giuridicismi, pastoralismi e specialmente gerarchismi, agli occhi di questi «vecchi» scopertamente trucchi inaccettabili. Hanno il fiuto d'indovinare intenzioni più o meno camuffate di popolarismo, ma decise al ripristino di nostalgie e mai sopite e tanto meno abbandonate. E hanno specialmente le capacità dei vecchi soldati consumati dalla guerra di trincea, nervi duri, pazienza senza fine e disponibilità di uscire allo scoperto, senza paura, perché sanno combattere e sono sicuri di non cadere, spazzati via dalla prima raffica sparata dal nemico.

Stranamente, ma forse è molto comprensibile a pensarci bene, questi uomini della vecchia guerriglia non piacciono nemmeno alla nuova contestazione, alle Chiese di base, alle nuove organizzazioni, ai sistemi attuali di lotta all'interno o dall'esterno della Chiesa. Forse perché questa gente degli anni della clandestinità porta nel cuore fedeltà misteriose, ideali un po' sentimentalizzati e sogni, all' analisi storica, irrealizzabili.
Può essere vero e la nuova rivoluzione può avere ragione. Non sarebbe male e inutile però qualche raffronto storico dove potrebbe essere riscontrabile quanto sia assennato, strategicamente parlando, quello che diceva Gesù di quel tale che vuole costruire la torre: deve tener presente le sue possibilità effettive e quel re che va in guerra contro un altro re a un certo punto deve fare i suoi calcoli sulle sue forze e su quelle dell'avversario. La vecchia scuola di lotta degli anni che pure hanno fatto sussultare la Chiesa - e se poi il terremoto è stato placato e tutto o quasi è stato ricostruito sugli stessi fondamenti non è esattamente responsabilità loro - quella vecchia scuola, quella dei morti e quella dei superstiti - non ha mai voluto parlare e nemmeno sentir parlare di guerra, e tanto più di guerra in campo aperto e per diversi motivi, diciamo così, tattici, ma specialmente per motivi seriamente profondi di Fede e di fedeltà alle scelte di Gesù Cristo. Ma ha sempre preferito e lottato le sue lotte con una strategia di guerriglia e, se si vuole tradurre in termini evangelici, uscendo da questa terminologia militaresca, ha preferito lo scontro del lievito dentro la massa, della luce accesa a vincere il buio, del sale che ha potenza di salare, ecc. ecc., fino alle misure estreme di lotta significate in evidenze terribilmente concrete di croce e di morte e di Fede assoluta nella risurrezione. La Fede nel granello di senape e in quello di grano che muore è la stessa Fede che affronta la montagna e la sposta a inabissarsi nel mare. E nessuno, almeno di quelli della contestazione, dello scontro, della lotta organizzata, ecc., potrà pensare che questa non sia lotta e della più acerrima e implacabile, capace di rovesciare il mondo, ma specialmente la Chiesa, da quell'insieme di istituzionalismi, autoritarismi, assolutismi, ecc. come si ritrova e s'indurisce sempre più da secoli e secoli, in una Chiesa liberata e libera della libertà dei Figli di Dio e dei credenti in Cristo, in ricerca, cuore dell'umanità, di lievitarne la storia per diventare la storia della grande famiglia di cui Dio è il Padre.
Forse sono reminiscenze inutili e considerazioni a vuoto. E mi par d'essere come quelli che raccontano della guerra che hanno combattuto e delle sconfitte brucianti che hanno ferito profondamente la carne e l'anima, logorati a volte dall'amarezza di infinita speranza svanita. Mi sento a volte come gli amici della resistenza che da ogni anno che passa sentono risucchiarsi da certa storia, evanescendola, distorcendola, sfruttandola, la terribile lotta di quei tempi.
E a leggere certe pubblicazioni degli uomini della vecchia lotta nella Chiesa (ormai sono nelle mani di tutti anche i loro più segreti sospiri) mi viene un groppo alla gola e uno stringimento al cuore, come quando apro quel libro, che sa misteriosamente di vangelo, che è la raccolta delle lettere dei condannati a morte della resistenza europea.
E' triste sentirmi rimproverare quella mia lettera alla santa Madre Chiesa dove mi sono lasciato andare all'angoscioso risentimento per il vuoto di una sensibilità antifascista che la mia Chiesa mi ha dato negli anni della mia formazione al sacerdozio. E certo i pretonzoli della pastoralità attuale non possono sapere di quel vuoto pauroso e tanto meno quanto di quello spirito trionfalistico, autoritario e imperialista, è continuato ad imperversare, e forse imperversa anche attualmente, nell'apparato gerarchico, pastorale di questa mia adoratissima Chiesa, E meno ancora sanno, perché pare che non ne abbiano bisogno, della mia immensa fatica e del rischio di andar di là, di scavalcare (è tutta qui la disobbedienza per chi ha serenità di voler capire) tutta una complessa e soffocante struttura per incontrare Gesù Cristo sulla strada dove cammina l'umanità povera, oppressa, disorientata e smarrita, in particolare quella senza pastore dove si perdono le novantanove pecore a brucare sui dirupi, portandosi dietro per questo incontro con Lui possibilmente quella non smarrita. La fatica di trovare ogni giorno motivi di Fede viva, attuale pagandola a qualsiasi prezzo, compreso quello dell'anima propria.
Si fa presto a conclamare fedeltà e a condannare chi ha forse il solo torto di non potersene stare tranquillo e non riesce a non inquietare, manifestando il proprio compromettersi insieme al desiderio e anche al tentativo di coinvolgere più Chiesa che sia possibile nel grande, adorabile progetto del Regno di Dio e di Cristo nel mondo.
Penso tutte queste cose e sono appena un accenno perché ogni tanto mi par d'essere (e chiedo ancora perdono di questi raffronti, ma vi sono immagini che rendono chiaramente) mi par d'essere all'ombra del ginepro, in pieno deserto e viene la voglia di buttarsi lì e di chiedersi se forse non sarebbe preferibile lasciarsi morire, cioè arrendersi e mettersi il cuore in pace.
Non so se un angelo verrà a darmi pane e una bocca d'acqua.
Me ne sto andando, e spero per un bel po' di tempo, in Terra Santa e cioè nella terra dove Dio si è manifestato e dove è venuto a vivere, a morire, a risorgere.
Lo so che è possibile incontrarlo dovunque, perché ogni zolla di terra e ogni cuore di uomo e di donna è la sua terra. Ma ho profondo, ardentissimo bisogno di vedere le pietre che l'hanno visto le montagne che l'hanno ascoltato, il lago che l'ha sicuramente innamorato, le strade dove ha camminato. So d"incontrarlo perché quella terra è la sua è nonostante tutto porta chiaramente le indicazioni delle sue scelte e le immagini delle sue parole.
Anche per una voglia terribile di andare di là, di scavalcare tutto quello che si frappone, e a volte è ostacolo di una opacità invincibile, fra la sua visibilità attuale che è la Chiesa e Lui.
E' quindi ancora una volta una disobbedienza per un desiderio incontenibile di obbedienza. Una ricerca di Fede e di Amore a Gesù, libero, solo.
E' anche per la speranza del pezzo di pane e della brocca d'acqua per riprendere la strada, se a Dio piacerà. Ma specialmente, ora che si fa sera nella mia vita, la fiducia di riconoscerlo allo spez-zar del pane e la gioia di tornare indietro ed annunciare ai miei fratelli che è veramente risorto e che abbiamo camminato insieme sulla strada e che mentre parlava e spiegava le Scritture, l'anima trasaliva e traboccava di gioia.


don Sirio


in Lotta come Amore: LcA agosto-settembre 1975, Agosto 1975

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