Parabola d'agosto

Voglio raccontare una specie di parabola, una cosa molto semplice che mi ha colpito nel mio camminare su per una bellissima valle di montagna. Per una settimana me ne sono andato da solo, sacco e tenda in spalla, respirando a pieni polmoni l'aria limpidissima, il sole, il verde splendente dei prati, raccogliendo a pieno cuore la bellezza e la bontà di una creazione che qui ha conservato ancora i segni quasi intatti della mano del Creatore. La montagna mi ha sempre lasciato questa impressione di verginità, di chiarezza di profonda meraviglia per la bellezza di una terra che sembra appena uscita dal pensiero di Dio. Soprattutto lo scorrere violento dei fiumi che scendono dai ghiacciai e dalle solitudini delle vette immerse nel cielo ha in sé qualcosa dell'eterno mistero della vita racchiusa nel destino dell'universo.
Non'è poesia facile questa, e nemmeno un'evasione dalla durezza dell'esistenza (la montagna porta chiari questi segni di fatica, d'asprezza, di pane sudato duramente): con me ho portato tutti i problemi che travagliano il mondo, le sfiducie e la disperazione di tanta parte dell'umanità, la grave situazione di chi è dovuto restare a fare le ferie nella fabbrica occupata o presidiata per tentare di difendere il posto di lavoro dall'eterna ingordigia di chi mette avanti all'uomo l'interesse del proprio capitale.
D'altra parte il mio camminare tanto semplice mi ha veramente aiutato a raccogliere le forze dello spirito per un impegno di vita molto seria che sento di dover portare avanti nella strada che ogni giorno si dipana per i propri passi. Impegno forte per rendere concreto l'amore per i fratelli, per giocare la vita nei valori autentici della esistenza per un mondo più umano, più vero, per dei rapporti di giustizia, di comunione, di amicizia e di condivisione a tutti i livelli della realtà povera, emar-ginata, ignorata di ohi non. conta nulla e non ha potere.
Il fatto di essere sacerdote cristiano mi mette sempre più nell'anima questo bisogno di essenzialità, di scelte radicali, semplici e nette come sono quelle indicate cosi chiaramente da Gesù Cristo: mi sono molto lasciato andare a questa riscoperta di Lui, della sua vita così fortemente segnata da una pienezza di umanità, di amore per l'uomo, di attenzione profondissima per ogni creatura piccola e povera, stanca o perduta, abbattuta e sopraffatta dal peso del vivere. Un amore e una premura cosi intensa da non lasciare mai delusa un'attesa, una speranza o una ricerca (anche inconsapevole): un impegno di lotta molto limpido per il regno di Dio, per il compimento della volontà del Padre dentro la storia umana, un essere sempre partecipe della vita del popolo, mescolato come lievito nella pasta umana, come sale a dare sapore ad ogni realtà, come luce ad illuminare ogni incertezza e smarrimento, come fuoco a bruciare l'ipocrisia, il rinchiudersi tranquillo in se stessi, nella propria sufficienza, ricchezza, egoismo.
La vita di Gesù del Gesù storico, parola di Dio fatta carne e venuta ad abitare fra noi, uno di noi, veramente figlio dell'uomo, legato al nostro destino fino all'ultima radice: mi sono lasciato andare più che ho potuto a questa ricerca e i passi più che sulla strada che saliva verso la montagna erano diretti su questa pista segreta, interiore, e sostenuti da una sete che più si va avanti più si fa violenta e pressante.
Cosi ho. camminato senza un programma di viaggio preciso e dettagliato. Ho piantato la tenda dove mi capitava, quando mi sentivo stanco per il cammino.
Mi è successo così un fatto molto semplice quello appunto che ha dato vita alla piccola parabola che volevo raccontare e che è stata per me una scoperta molto sìgnificatìva.
Sono arrivato vicino ad una specie di montagnola quasi tutta rocciosa e sì vedeva sulla cima una piccola chiesa, mangiata dalla neve e dal vento, molto semplice e dominante tutta la valle. Ho deciso di salire lassù e di mettervi la tenda. Sono arrivato in cima e dopo aver piantato la tenda sono andato a vedere la chiesa. Naturalmente era chiusa: una cosa logica per una chiesa in un luogo solitario e fuori mano. Ma svoltando l'angolo ho visto, con mia grande gioia, una bellissima fontana d'acqua: un'acqua chiara, freschissima. E' stata un sorpresa, una cosa che non ci si aspetta e invece la trovi li, quasi in attesa della tua sete. Una fontana sempre aperta, che canta senza stancarsi la sua canzone di vita e di gioia.
Cosi sono rimasto sorpreso dell'accostamento quasi istintivo che mi è venuto di fare: la chiesa ben visibile dalla valle, ma chiusa, la fontana imprevista e che si scopre solo quando si è là, ma aperta e pronta a dissetare e a dare ristoro. La Chiesa e la fontana..
Queste due immagini molto semplici riunite insieme sullo stesso piccolo pezzo di terra mi hanno fatto pensare. Mi è venuto subito in mente un pensiero molto bello di papa Giovanni, uno di quei suoi pensieri cosi ricchi di verità nella loro semplicità: «Vorrei essere come la fontana del villaggio sempre pronta a cui tutti possono venire ad attingere a qualunque ora». Un'immagine davvero formidabile della vita cristiana e della realtà della Chiesa. La fontana del villaggio.
Su quel piccolo colle solo la fontana sempre aperta era davvero segno e richiamo a Dio sorgente d'acqua viva, quella che sgorga per la vita eterna, riposo e gioia per chi è stanco e assetato, bruciato dal sole e dal vento della vita. Quella fontana era la sua perfetta immagine, parabola che chiaramente indicava il senso della sua presenza. Era lei la «chiesa» vera, quella pensata e sognata da Dio perché incessantemente offrisse la speranza e la fiducia, la verità, la giustizia e l'amore. La vecchia chiesa di pietra era li, a testimoniare una fede di gente passata, un ricordo di una volontà di manifestare visibilmente il proprio amore a Dio, ma ormai le pietre sono cose morte, senza più vita e quella porta chiusa era davvero il segno di una realtà religiosa chiusa in sé stessa, a proprietà privata per una salvezza esclusivamente personale, senza apertura sul mondo degli altri. Se fosse venuta la grandine, il vento, la tempesta non avrei potuto in alcun modo (solo sfondando la porta) entrare per ripararmi. Mentre la fontana era li, sempre pronta alla mia sete, sempre disponibile, accogliente, aperta.
Per me è stata un'indicazione molto concreta di esistenza cristiana, immagine precisa di che cosa debba essere la chiesa di Dio fra gli uomini. Quella fontana accanto a quella chiesa chiusa è stata una lezione di teologia molto viva: invito a comprendere ciò che bisogna lasciar perdere a qualunque costo, il vecchio lievito che perdura dentro di noi, le pietre ormai consumate dal tempo, dalla storia, dal cammino dell'umanità; e decisione molto netta per un impegno in opere di vita, in progetti di esistenza fraterna, di lotta per la giustizia, in una vita «sprecata» continuamente nell'offerta, nel dono, nell'accoglienza di ogni ricerca, nella passione per l'uomo.
La fontana era li a ricordarmi col suo scorrere senza riposo e senza incertezze quella parola di Gesù che rimane sempre cosi misteriosa e cosi dura da credere e da vivere: «chi perderà la sua vita per amore mio la salverà»..


don Beppe


in Lotta come Amore: LcA agosto-settembre 1975, Agosto 1975

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