I vescovi della paura

Sono tornato a casa del cantiere portando sulle spalle una giornata di caldo soffocante e quindi di fatica ancora più dura. Certe giornate svuotano di dentro e fanno sentire in modo più chiaro di sempre cosa significa la condizione operaia. Specialmente da noi dove in questi mesi estivi esplode il turismo, anche quello di gran lusso, e i mondi opposti e diversi si mescolano e più evidente appare la falsità di un modo di vivere che crea differenze così sfacciate.
Sono tornato a casa e ho dato come al solito una rapida occhiata al giornale quotidiano «Avvenire»: lo leggiamo non perché è il giornale «cattolico», come a dire quello buono, quello che dice le cose giuste, cristiane. Lo leggiamo per restare il contatto con ciò che avviene nel mondo interno della gerarchia ecclesiastica, per conoscere ciò che si muove in questo «mondo cattolico» spesso cosi poco fedele al nome che porta. Poiché dovrebbe essere universale, a cuore aperto, senza misure ed è invece troppo spesso così ristretto, chiuso come una vecchia sacrestia fuori uso.
Ho cercato sul giornale qualcosa che desse fiato, aiutasse a vivere meno pesantemente l'impegno che cerchiamo di reggere e di portare avanti; una voce di Chiesa che facesse intravedere orizzonti più aperti e respirabili. Vi ho trovato invece cose che affaticano e rendono pesante il camminare, specialmente vivendo nella classe operaia, sbriciolati dentro la vita dei propri compagni, cercando di leggere in loro le speranze e le attese che nemmeno riescono a esprimere.
Mi ha molto intristito un articolo in prima pagina, del 13 luglio (a noi arriva il lunedì) sull'intervento dei vescovi lombardi in merito al voto del 15 giugno, intitolato «Fermo richiamo all'originalità cristiana». Di originale non vi ho trovato purtroppo niente: qualcosa che realmente avesse il sapore genuino dello spirito del Vangelo, dell'acqua chiara di sorgente, dell'aria limpida del primo mattino. Tutto sa cosi di vecchio, cose sentite mille volte, lamenti e deplorazioni, parole che dicono e non dicono. Di nuovo semmai (sempre secondo il commento di «Avvenire» che penso sia al di sopra d'ogni sospetto) c'è il modo molto velato, ma anche più cattivo, di dichiarare fuori della comunione della Chiesa e dei loro pastori «tutti quei sacerdoti e religiosi che hanno indotto i fedeli a porre la loro speranza per una società migliore nella ideologia marxista».
Preciso subito di non aver «indotto» nessuno a scelte del genere: la mia speranza si pone indiscutibilmente in Dio per mezzo di Gesù Cristo. Né tanto meno mi sento in dovere di sollecitare qualunque scelta di tipo politico approfittando di un richiamo alla fede cristiana. Questo non vuol dire però che mi sia ritenuto obbligato a votare Democrazia Cristiana, come invece i vescovi lombardi fanno intendere senza mai arrischiarsi a pronunciare il sacro nome. E' strano come questi fratelli vescovi non si siano ancora accorti che le scelte politiche non si possono dedurre dalla Fede: è un vecchio trucco che ormai non fa più presa. La Fede è una cosa chiara, netta, assoluta: è dono che viene dall'alto e illumina il cammino. Dio è l'Unico ed è Lui solo che il credente sente di dover servire con tutto l'amore. Come con lo stesso amore si sente di dover vivere in comunione con tutti gli uomini.
La politica è un'opinione, un modo discutibile da verificare in pratica: c'è una politica fatta apposta per imbrogliare la povera gente e per mantenere i privilegi di chi domina con i quattrini, la forza, la legge. L'obbedienza a Dio nella Fede non può essere portata come motivo diretto per la scelta di un partito a salvaguardia di una presunta civiltà cristiana: quanti 15 giugno ci vorranno perché i vescovi lombardi imparino queste cose?
Nel loro intervento ci si sente la paura di fronte ad un mondo che cambia, a persone che si sono finalmente liberate da vecchi timori e che non per questo è detto abbiano fatto la scelta giusta. Ma ciò non vuol dire che facendo una scelta secondo coscienza e votando liberamente «a sinistra» abbiamo tradito la comunione nella Chiesa e la fedeltà al Cristo Signore. Su questa paura non è più possibile campare; questo falso potere che la Chiesa da noi ha usato per mantenere in soggezione innumerevoli coscienze non ha niente a che fare con il servizio per la Fede che il vescovo e il sacerdote hanno per la comunità loro affidata.
La Parola di Dio ci libera dalla paura e dalle false sicurezze: questo mi sarei aspettato da chi ha ricevuto il dono di conservare I'autenticità del messaggio di Salvezza nella Chiesa e nel mondo. Non ci sono più coperture per nessuno; la Fede non può essere uno «scudo crociato» dietro al quale si può giustificare tutto il sottobosco politico e sociale fatto di privilegi, carrierismo, sfruttamento economico, dominio militare e poliziesco. I vescovi - leggendo i segni dei tempi - avrebbero potuto dire se mai che nemmeno «a sinistra» ci possono essere certezze assolute (ciò che tanti cristiani di sinistra hanno capito): ma che bisogna sempre andare oltre l'orizzonte dove cresce la giustizia del regno di Dio. C'è una sinistra ancora nascosta, quella dove il Cristo Gesù ha camminato tutta la sua vita, povero con la povera gente, perseguitato e respinto, torturato e crocifisso, risorto e vivo. E' là che i vescovi lombardi avrebbero potuto spingere i nostri sguardi stanchi e forse annebbiati dalla fatica e dalla ricerca d'ogni giorno. Ma senza prendere di nuovo in mano la vecchia frusta delle lamentele e delle minacce ammantate di vuota preoccupazione: non è di qui che può nascere un mondo nuovo.
Perché poi avere così tanta paura di dover vivere la Fede in un mondo che domani fosse segnato dal marxismo, dal comunismo, dal socialismo: perché aver paura? Viene il dubbio che questa paura nasca dal timore degli uomini e non da quello di Dio: paura di perdere un potere, dei privilegi, lo stato vaticano (Dio lo volesse), dei vantaggi particolari. E' assurdo e strano temere di camminare nella storia, cercare di cambiarne il corso strumentalizzando il nome di Dio: la paura non è cristiana e non serve a nulla. Nemmeno quella dei vescovi portoghesi che si sono tenacemente opposti alla nazionalizzazione della sezione radio «Renascenza», facendone motivo di opposizione politica. Non dice forse il Signore di dare la tunica a chi vuole il mantello, di fare il doppio di strada di quella che si può essere richiesti? Cosa vale di più una stazione radio, un partito cosiddetto cattolico, oppure la libertà di chi sa di dover andare per il mondo senza bastone, né due tuniche, né borsa per il denaro? E di essere debitore a tutti - specialmente ai pagani - del dono gratuito che Dio ci ha fatto.
Quando ci saranno (e grazie a Dio ci sono) vescovi capaci di spingerci a questo coraggio cristiano, sarà meno faticoso per tutti - specialmente per tanti «atei» credere nel Dio che ci ama e ci salva.


don Beppe


in Lotta come Amore: LcA luglio 1975, Luglio 1975

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