Sopraggiunta l'estate, siamo arrivati quasi al termine del nostro andare qua e là, ogni tanto, a proporre la nostra rappresentazione teatrale che da «il cristiano dice no» ha continuato con il titolo di «la croce vuota»: dopo che il vescovo si è opposto a che la rappresentazione fosse fatta nelle chiese, abbiamo modificato la prima parte e tutto il discorso è venuto a far centro su un tema partico-larmente interessante.
Il Cristo, morto sulla croce oppresso dalla malvagità e dall'egoismo del cuore umano, ha sognato di essere l'ultimo crocifisso della storia. Dopo di Lui, dalla sua croce piantata sul mondo intero, la libertà doveva nascere, la giustizia, la fratellanza e l'amore fra tutti gli uomini. Ma questo sogno di Cristo si è spezzato contro il muro di pietra di tutti coloro che in nome del potere, della scienza, della legge, della religione hanno continuato a rizzare croci, a piantare chiodi nelle mani di chi ha continuato a cercare un mondo più libero e giusto.
E' sul filo di questo tema, così serio e così capace di riassumere molti aspetti del dramma della nostra vita, che abbiamo presentato la vicenda molto provocatoria e ricca di inquietudine del contadino austriaco Franz Jagerstatter ghigliottinato a Berlino il 9 Agosto 1944 dal regime nazista. Motivo .di tale spietata condanna è il suo netto rifiuto di partecipare in qualsiasi modo (né nei reparti di sanità né con i cappellani militari) alla guerra facendo appello alla sua coscienza cristiana.
Abbiamo camminato a grandi passi da Aosta a Livorno, da Varese a La Spezia, Sarzana, Arezzo e in tanti altri luoghi anche piccoli; abbiamo raccontato questa nostro storia mettendovi dentro tutta la passione e l'amore per Gesù Cristo, per la sua lotta e il suo coraggio nell'affrontare la vita secondo la volontà del Padre. Vi abbiamo messo anche la nostra passione per l'uomo, per l'umanità così sopraffatta dalla fatica del cammino, dallo sfruttamento e dalla paura e insieme così carica di speranze e di ricerca: ci siamo sottomessi a delle robuste fatiche - consolati spesso dalla fraterna accoglienza di tanti amici vecchi e nuovi - pienamente convinti della possibilità di contribuire alla crescita di «coscienza» di tante persone.
Specialmente di chi conserva in fondo all'anima il sogno di Gesti Cristo, del Vangelo, di una vita diversa, liberata dalla schiavitù della ricchezza, del capitale, della guerra e del potere d'ogni tipo.
Il nostro vescovo non ha voluto che questo messaggio - certamente parziale e discutibile (come parziali e discutibili sono tutte le prediche del preti e anche dei vescovi in tutte le chiese) - fosse gridato nelle chiese alla gente che va alla messa la domenica, ai buoni cattolici che troppo spesso sono stati costretti e forzati a pensare con la testa degli altri. Ci è stato impedito con autorità di portare nelle chiese parrocchiali la storia di questo sconosciuto contadino austriaco che ha pagato la sua Fede nel Cristo con la propria vita, incarnando cosi la Parola di Dio nella storia.
Rimane cosa strana e assurda questo rifiuto e non è la polemica che me lo fa ricordare quanto piuttosto il confronto con ciò che è venuto fuori dai nostri incontri con la gente, nei posti più diversi: abbiamo chiaramente raccolto inquietudini, desiderio di ricerca, attenzioni molto serie, a volte scontri molto violenti con ciò che veniva detto nel racconto e poi ampiamente dibattuto. Abbiamo sperimentato - anche se in misure molto umili e semplici - cosa significherebbe portare fra la gente, nel cuore stesso della vita familiare e popolare il seme dell'inquietudine evangelica.
Per noi, piccolo gruppo di nomadi da fine settimana, senza pretese artistiche ma con seria partecipazione personale, credo sia stata un'esperienza molto valida questo constatare la capacità del nostro testo di agitare l'acqua spesso così stagnante della coscienza per cercare insieme a tutti dei sentieri di verità e di comunione umana.
Questa croce, queste croci che continuano ad essere rizzate su tutte le strade del mondo; questi chiodi che lacerano il corpo di Cristo grande quanto l'intera umanità: come non possono non metterci a disagio, scavare dentro l'anima la voglia profonda che questa storia pazza finisca e ne possa nascere una nuova, limpida e buona come la luce del mattino?
Questo sogno così impossibile dovrebbe essere la realtà concreta della Chiesa di Gesù, il suo offrirsi autenticamente come il campo di terra buona dove gli uomini si riconoscono fratelli e si impegnano a vivere nella pace e qualunque costo.
.Abbiamo scoperto qua e là (e chissà quanto è ancora più grande) una Chiesa che ha paura del sogno del suo Signore, che si rifiuta di riconoscere i suoi tradimenti storici, che non vuol prendere coscienza della conversione che urge con violenza alle sue porte. Una Chiesa che non vuol guardare alla croce come ad un segno di lotta e non di rassegnazione, di contrasto e di rifiuto di ogni compromesso con il potere che avvilisce l'uomo.
Abbiamo incontrato (e quanto forse la portiamo ancora ben radicata dentro di noi) una Chie-sa che crede alla bontà della guerra «giusta», delle fabbriche di armi «per la difesa», dei quattrini, dell'ordine pubblico a base di polizia, dell'obbedienza alla patria e alla legge fatta dai potenti. Personalmente sono stato molto contento di aver tentato di offrire qualcosa di diverso alla riflessione della gente: che il cristiano è l'uomo libero della libertà che nasce da Cristo. E che la Chiesa cresce ogni qualvolta un uomo o una donna sanno dire di «no» e di «si» a partire unicamente da Lui, poiché bisogna obbedire prima a Dio che agli uomini.
La Chiesa è il popolo degli uomini salvati da tutti i poteri, le patrie, gli eserciti le polizie, le paure e l'odio d'ogni specie; è popolo che prende sempre più coscienza che una croce sola - quella di Cristo - deve bastare a salvezza e liberazione dell'uomo.
Per questo, il «povero cristiano» austriaco ucciso a Berlino perché deciso a non aumentare il numero dei crocifissori rimane certamente per tutti noi che lo abbiamo incontrato sul nostro cammino uno dei personaggi più inquietanti nella nostra coscienza.
don Beppe
in Lotta come Amore: LcA luglio 1975, Luglio 1975
Luigi Sonnenfeld
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