Mi è capitato di riflettere molto seriamente al significato della mia vita di sacerdote, al senso autentico da poter dare a questa parola che secoli di tradizione religiosa ci hanno tramandato e di cui sembra sia stato smarrito il suo reale valore. E' stato come un tentativo di cercare la sorgente misteriosa da cui siamo nati, allargare la terra fino a mettere a nudo le radici della propria storia, della ricerca e della speranza che alimentano una vita intera.
Mi sono trovato cosi costretto da tutto l'insieme dei problemi che sono maturati con l'esperienza di questi anni a raccogliere con più profondità la risposta nel pensiero di Dio e nella parola di Cristo: è soltanto lì che penso sia possibile trovare il senso genuino dell'essere sacerdote secondo il mistero cristiano. Unicamente nella storia dell'Amore di Dio per l'umanità che Gesù Cristo ha manifestato con pienezza deve essere cercata la chiave per comprendere a nuovo cosa possa voler dire essere «sacerdote».
E anche dalla storia dell'umanità, dal tessuto misterioso della vita degli uomini, dai drammi e dalle speranze dei propri fratelli sale certamente la richiesta ad essere un'esistenza particolarmente capace ad accogliere, a donare, ad amare, a condividere per testimoniare che Dio ama il mondo, ogni creatura, ogni persona come tutta la storia, la vicenda piccolissima dell'individuo come l'enorme intreccio degli avvenimenti universali.
Se è giusto - e ormai decisivo - chiedersi cosa vuol dire essere cristiani, mi sembra altrettanto urgente (almeno per me) chiedermi cosa vuol dire essere sacerdote secondo il cuore di Dio in questo tempo che è il tempo della mia vita.
Penso che la risposta non sia mai definitiva, assoluta: quasi come un vestito buono per tutte le stagioni. E' chiaro che ci debba essere una crescita, un approfondimento, uno scoprire dimensioni nuove: come quando si sale in montagna e l'orizzonte si allarga e la terra acquista un volto diverso. E' la stessa terra, gli stessi campi, paesi, strade: ma tutto si. colora di toni particolari, di dimensioni mai intraviste. Così la realtà e il senso della propria vita cresce e si matura col passare degli anni; perché il tempo scava dentro l'anima capacità di comprensione che prima non esistevano e si riesce ad allargare il significato di ciò che si vive, a capire meglio il segreto che ognuno di noi, in un modo o in un altro, portiamo nascosto nel nostro destino.
Oggi, in una condizione di vita quasi totalmente emarginata dal tessuto ufficiale della Chiesa, messa da parte dal contesto della struttura parrocchiale e diocesana (senza quasi rapporti col vescovo e con gli altri preti) mi sento in dovere di chiarire a me stesso - e nella Chiesa di cui mi considero parte viva - il senso della missione sacerdotale che credo fortemente di aver ricevuto per la consacrazione dello Spirito Santo. Questa realtà sacerdotale è nel tessuto della Chiesa che mi è stata comunicata: oggi credo che è lo stesso Spirito che ha preso le mie mani (nelle mani del vescovo) e le ha consacrate con l'olio della gioia nel giorno dell'ordinazione sacerdotale e che poi le ha nuovamente benedette con l'olio amaro (ma non meno santo) del lavoro fra la povera gente, fra i contadini, i pescatori, gli operai fra i quali la mia vita è stata mescolata quasi fino a scomparire.
Dopo questi anni assai travagliati e pieni di fatica per una ricerca incessante di fedeltà alla strada che Dio andava tracciando davanti ai miei passi, non mi sento meno sacerdote di quando ero disteso nel bellissimo coro del duomo di Firenze a ricevere il mandato di evangelizzare, di predicare la parola di radunare gli uomini intorno alla tavola del Cristo Signore: ho trovato altre cattedrali dove l'impegno sacerdotale ha molto più diritto e dovere di crescere e di vivere, in mezzo ai compagni di viaggio defraudati della parola di Verità ai quali la Chiesa storica appesantita da enormi compromessi con ciò che il Vangelo chiama «il mondo» non è riuscita ad annunciare Gesù Cristo.
Ho capito - e ne ringrazio di cuore lo Spirito Santo - che il mio sacerdozio è segnato ormai dalla realtà che il Vangelo di Luca chiama per bocca del vecchio Simeone «segno di contraddizione»: sento di essere nella Chiesa e nella vita per questo dovere scomodo e fondamentale di contraddire tutto un insieme di falsi valori, di inutili e vuote mentalità, di modi di vivere contrabbandati per buoni, mentre invece se guardati alla luce limpida del Vangelo non sono altro che i frutti più malefici dell'egoismo e quindi della chiusura del nostro cuore.
Accetto perciò con profonda pace - anche se la pace non vuol dire insensibilità e mancanza di sofferenza - l'emarginazione che è venuta crescendo e che probabilmente crescerà ancora all'interno della Chiesa dalla quale nessuna volontà umana potrà mettermi fuori: sento che l'amore per la Chiesa è dono di Dio, appartiene all'opera dello Spirito Santo ed è amore profondamente radicato nella certezza che la mia vita appartiene a Cristo. Perciò «indurisco la mia faccia di fronte a coloro che mi strappano la barba», come dice molto appassionatamente un profeta dell'Antico Testamento. E se di qualcosa sento di dover chiedere perdono alla Chiesa è per non averla provocata abbastanza a liberarsi dai compromessi che la legano alla catena della ricchezza, dei privilegi e della potenza terrena. Per non aver osato abbastanza perché il Vangelo, l'Annuncio di liberazione e d'amore, la Verità di giustizia e di pace che Gesù è venuto ad accendere sulla terra divampasse di più nei cuori degli uomini.
Sento di peccare per omissione: non sono davvero scandalo e pietra d'inciampo, dentro e fuori la Chiesa, perché gli uomini e le donne che incontro sul mio cammino si sentano (e non solo emotivamente) provocati ad un amore più grande, ad una generosità più profonda, ad una apertura di cuore senza limiti e misure. Se una cosa mi spaventa è di lasciarmi mettere in crisi dalla solitudine in cui la mia Chiesa ha cercato sistematicamente di affogarmi, dallo spirito borghese e conciliatorio che incontro. a tutti i livelli della vita quotidiana: avverto con chiarezza che qui sta il pericolo, la vera «tentazione», la trappola. E prego lo Spirito di Dio di non lasciarmi addormentare o stancare da questa continua guerra dei nervi; che Lui mantenga acceso il fuoco della ribellione ("ribelli per amore"), della disobbedienza profonda e tenace a tutto ciò che in me, nella Chiesa, nella società, sappia di compromesso storico con ciò che è potere, arrivismo, denaro, schiacciamento e oppressione, emarginazione dei piccoli e dei poveri, falsa cultura e falsa scienza, religione vuota e senza vita, asservimento dell'uomo e annullamento della sua vera libertà.
Sacerdote per contraddire, mettere in crisi, rovesciare le false sicurezze di chi vorrebbe che niente cambi perché accetta che tutto resti com'è: i poveri alle dipendenze dei ricchi, i pacifici sopraffatti dai potenti, le classi umili asservite a quelle più forti. Sacerdote per annunciare che il Dio di Gesù non è un Dio qualunquista: un Dio che va d'accordo con qualunque progetto umano, che consente e benedice allo stesso modo, che uccide e chi si fa uccidere, chi sfrutta e chi è sfruttato, chi tortura e chi è torturato, chi vive sulla strada o nella baracca e chi sperpera nel lusso e nella ricchezza più sfacciata.
Mi sembra di capire con estrema chiarezza che esiste un Vangelo emarginato e quasi messo in soffitta (fra le robe vecchie): il Vangelo che ha portato Gesù inesorabilmente verso la sua croce, che ha rovesciato sulla sua mitezza e sincerità di cuore l'odio cieco e assurdo dei farisei, dei sacerdoti, dei capi spirituali del suo popolo. Perché era parola che segnava a caratteri di fuoco la falsità di tutto un modo di vivere e di pensare che non era secondo :il pensiero di Dio: è di questo Vangelo di contraddizione che mi sento umilissimo portatore ed è di questa responsabilità che provo serio timore nel profondo della mia coscienza. Ed è per questo Vangelo che chiedo allo Spirito di Dio di impegnare totalmente la mia vita.
don Beppe
in Lotta come Amore: LcA maggio 1975, Maggio 1975
Luigi Sonnenfeld
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