La notte in ospedale è sempre un'avventura nuova. Ogni volta diversa, i malati, piccoli universi che soffrono e che convivono; i ricoveri nuovi, tranquilli o drammatici, in lotta affannosa col male; oppure silenzio totale, a pause lunghe, profonde, che si percorrono lentamente alla scoperta di mondi nuovi, pianure, specchi d'acqua, orizzonti di idee si aprono all'improvviso e svaniscono come miraggi lontani. Ma lasciano una traccia.
Questa notte è stata calma e abbiamo potuto parlare fra noi infermiere. Discorsi semplici, non difficili, ma immediati; l'andamento, il sistema, i medici, i malati, l'aggiornamento che manca, la non volontà di informazione qui da noi, alla scuola, sui giornali, in generale.
Hanno timore di fare di noi teste che possono pensare. Ma peggio ancora. hanno timore che la gente malata capisca perché si ammala.
L'ospedale diagnostica, dà terapia, non indaga, non si pone problemi, non si interessa delle cause, delle motivazioni della malattia. Passano gli infarti, le arteriosclerosi, le ulcere i tumori sfilano questa malattie, i flagelli di ora - non più epidemie meno infezioni, - ma fatti degenerativi.
C'è chi sappia perché ci si ammala, perché sono cosi in aumento? C'è chi abbia il coraggio di denunciare di spiegare di indagare e chiarire? E poi offrire al malato lo strumento perché si possa di-fendere da ciò che in lui ha provocato la degenerazioni di un organo lo squilibrio del suo corpo?
Non c'è nessuno che lo faccia. Perché? A chi compete tutto questo se non alla classe medica, più ancora al luogo preposto a livello cittadino alla guarigione del malato. Luogo organizzato e mantenuto per questo, il suo nome richiama la salvezza, il cittadino non sa cosa si nasconde dentro. I giochi di interesse, di potere, le lotte politiche, il peso di impostazioni, di mentalità reazionarie, di chi ama lo status quo, di chi non intende cambiare, la lampante ingiustizia di un sistema che ancora come una volta si regge sulla legge del più forte, qui più che mai: il più debole è oppresso - guarda caso - è colui che non sa e non può difendersi, che ha strumenti per capire, per imporsi, per tentare di avere considerazione (che può derivargli solo dalla gravità del suo male, non lui allora, ma l'organo colpito sarà preso in grande considerazione!); l'uomo normale, di tutti i giorni, per di più malato, chiaramente il più debole rispetto ai sani, nell'ospedale è l'ultima ruota di un ingranaggio che non ha la volontà dì salvarlo.
Come si fa a "guarire"(?!) un malato dopo l'altro se non si interviene all'origine, se non si tenta di arginare questa fiumana che continuamente invade l'ospedale: fiumana, alta a bassa marea, susseguirsi di onde. Un va e vieni incessante di dolore, di guai, di disperazione, di equilibri infranti nel corpo, nel cuore, nella famiglia. Disagio sul lavoro, a casa, nel quartiere.
Chi si deve preoccupare di cercare i motivi di questo dolore che si dice di volere combattere? Chi dovrebbe lottare a fianco di altre forze per salvaguardare la nostra salute, di noi gente qualunque che non sa capire, che è capace di analisi?
L'ospedale tace. Entra una macchina da aggiustare. Entra un organo, una malattia. Esce più o meno rabberciato, Ma non conosce le cause della sua disfunzione. Ci ricascherà, a circolo chiuso: perché continua a lavorare in quel modo, in quell'ambiente a contatto con quelle materie, abitando in quella casa, sottoposto agli stress di orari assurdi, di vita impossibile. La società non aiuta a guarire, il suo interesse è limitato a un frettoloso rabberciarti perché tu possa continuare a lavorare. La classe di tecnici mantenuta a studi lunghi e costosi perché possa guarirti, i luoghi dove vai a cercare sal-vezza non ti aiutano.
In questo ingranaggio assurdo laddove difficilmente la classe medica (quando mai un potere ha negato se stesso?) sarà portatrice di salvezza o per lo meno spinta alla ribellione, denuncia di questo stato di cose, bisogna avere il coraggio di opporsi e chi può farlo se non noi infermieri, noi che apparteniamo a una certa classe, che non abbiamo interessi particolari da difendere, e smantellare, che dall'interno possiamo avere una fedele immagine del sistema? Il prezzo è trovare il coraggio di staccarci dal medico, da questo "tranquillante sociale", fedele rivenditore di medicine, e calmiere del sistema, sul quale finora ci siamo modellati.
Bisogna puntare a questo, a ritrovare un'unità perduta, una identità venduta al prestigio e al sapere del medico, un nostro ruolo nell'enorme problema sanitario che investe l'uomo e lo opprime.
E' l'alba, ci muoviamo, cominciamo il lavoro, laviamo gli ammalati, prepariamo gli esami, poi le altre colleghe inizieranno la giornata (che problemi diversi di giorno, che dimensione differente) accanto all'uomo malato.
Capiremo, avremo il coraggio di lottare per ritrovare noi stessi e con noi un rapporto vero, che ci impegni a lottare per il malato e al suo fianco?
Maria Grazia
in Lotta come Amore: LcA aprile 1975, Aprile 1975
Luigi Sonnenfeld
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