Il ritornello del canto finale della rappresentazione-annuncio che attualmente facciamo, qua e là per l'Italia dove un gruppo di cristiani vuole interrogarsi con noi sulla Parola di Gesù; il ritornello, dicevo, chiama la "coscienza cristiana" a gridare "no" al potere che uccide, al capitale che affama, ad un regime di guerra, e a gridare "sì" alla libertà dei popoli, alla giustizia nel mondo, alla fraternità dell'uomo.
Questo richiamarsi alla coscienza (cristiana perché illuminata da Cristo nel credente) è spesso fonte di contestazioni più o meno vivaci. Per troppo tempo la coscienza è stato albero sbattuto dai venti del potere, dell'interesse, della strumentalizzazione politica, economica e religiosa. Anche oggi non si può dire davvero che le cose siano mutate.
Il richiamarsi alla "coscienza" sembra quindi, ancora una volta, manovra sottilissima per lasciare le cose come sono, per lanciare un messaggio destinato a perdersi nell'interiorità, per abbellirsi di una fama da persone "con le mani pulite". Si ha l'impressione, nel migliore dei casi, che il dire: "fai quello che ti dice la coscienza", sia un modo molto elegante di dire "arrangiati", quasi un affidare le proprie sorti ad un guscio di noce nell'incalzare a ondate dei problemi e delle tragedie della vita.
Credo che non sia giusto un generico appello alla coscienza: credo, invece, che sia giusto offrire alla coscienza di ciascuno elementi adatti a chiarire i nodi essenziali della vita.
Un po' tutta la nostra vita vuol essere offerta per una riflessione serena, ma estremamente chiara sui motivi e su valori di un'esistenza cristiana. Crediamo sia molto giusto non imporre alle persone delle cose da fare, di non fare opera di convincimento e di proselitismo. Certo viviamo la nostra scelta con forza perché è scelta viva e vitale; ma non la offriamo come unica e sola possibilità: è aiuto a chi cerca, punto di riferimento per chi vuole affrontare cammini di fede.
Non è sempre facile realizzare questo atteggiamento. Anzi, direi che nella pratica è difficile offrire qualcosa nel rispetto profondo dell'altro. E' misura e questione d'amore e quindi di libertà. Troppo a volte ci vince l'egoismo, non sempre ci accade di superare i nostri problemi personali, ci sono senza dubbio tante catene da cui dovremmo liberarci. Ci aiuta solo la fede che l'amore è dono di Dio, è presenza Sua, è Lui che ama in noi. Una fede che ci mette in questione, che ci aiuta a non mollare, a convertirci, almeno quel poco che ci dà di non disperarsi...
Ma anche ammesso che sia possibile questo rispetto a quest'amore perché ciascuno possa essere se stesso fin nella profondità della propria coscienza, a che serve tutto questo lavoro, che possibilità concreta racchiude? Non sarebbe più vero proporre obiettivi precisi, capaci di scendere nella concretezza di esistenza di ciascuno? A che serve una coscienza, quando mancano idee, agganci immediati con la vita, possibilità d'azione e di rinnovamento?
Una luce accesa, in una stanza, di per sé non la rinnova nel mobilio, non la anima con la presenza di amici. E' però inizio di vita, possibilità che si apre a sensibilità rese evidenti. Una stanza buia è sempre uguale a se stessa, inevitabilmente chiusa per quanta vita possa svolgersi. Possiamo rinunciare alla luce della coscienza, a renderla chiara e luminosa? Può essere fatica superflua? Certo, a volte si crede di far luce e ci inganniamo nell'oscurità delle nostre illusioni, ma sarebbe questo discorso molto lungo e d'altra parte è rischio da correre, inevitabilmente.
E' vero che oggi abbiamo bisogno di fatti concreti, più che di idee di fondo che sostanzialmente si danno per acquisite, ma è altrettanto vero che non si possono improvvisare i fatti e le azioni. Non si possono dare ricette per operare scelte, realizzare comportamenti. Non è giusto imporre modelli quando sappiamo che ciascuno ha un apporto personale irrinunciabile. Per qualcuno la chiarezza nell'agire può venire con la forza di una chiamata, per altri questa chiamata starà rivolta verso traguardi importantissirni, per molti è la serietà quotidiana la misura di un «fare» autentico. Ma che diversità, se questa moltitudine di persone, immerse nel quotidiano, nei segni semplici ed essenziali di una vita vissuta in fedeltà alla famiglia, al lavoro, all'amicizia, all'ospitalità, fosse capace di una coscienza limpida, di un cuore sensibile al più leggero soffio di vento, di una sensibilità avvertita a riconoscere i segni di tempi nuovi, di realtà più vere, di speranze di giustizia e di vita. Il profeta, il partigiano, il militante, colui che è chiamato a rompere la crosta di stratificazione dettata dal comodo, dall'interesse, dal potere, potrebbe affondare il suo seme in una terra preparata, in una coscienza di massa già formata. E sarebbe forse cosa da poco? Proviamo a chiedere a chi va in montagna se si è mai trovato nella condizione di desiderare una sorgente d'acqua fresca: ecco, una coscienza sensibilizzata è come una polla di acqua limpida che scorre giorno e notte nella solitudine di una piega di roccia. Non sarebbe più logico imbrigliarla per dare acqua ai grandi casamenti di periferia? Eppure essa ha la sua ragion d'essere nell'attesa del viandante solitario che batte sentieri appena tracciati alla ricerca di una strada nuova, di un pezzo di terra da rendere fecondo. Ecco, la coscienza sensibile ai segni autentici della vita, è come una fontana d'acqua fresca che butta giorno e notte. Apparentemente uno spreco, in realtà una disponibilità ed una libertà infinita per tutto ciò che è sogno di umanità nuova.
don Luigi
in Lotta come Amore: LcA aprile 1975, Aprile 1975
Luigi Sonnenfeld
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