Notte d'ospedale

Ecco, si approda a quest'isola misteriosa, in penombra, qualche luce, accesa in qua e in là. E' un mondo nuovo quello che appare, diverso dal giorno, composto di implacabili dissomiglianze. Le stesse stanze, i medesimi corridoi, i letti e le persone uguali, eppure chi inizia il turno della notte, venendo dal di fuori, dalla vita, la casa, la famiglia, le cose di sempre, evidenti, sicure, - entrando in ospedale - ha la sensazione di approdare in porto straniero.
Frettolosi escono quelli del turno precedente, le parole scambiate sono poche, il grande corridoio centrale simile al ponte di una nave in navigazione (l'ospedale è un mondo a sé nella vita cittadina) è quasi deserto.
Si entra nel reparto e si approda nel mistero; nella penombra i contorni sono diversi, così gli oggetti anche i più usuali, tanto più le persone. La notte è liberante, si vive in essa una vita diversa. Faccio il giro delle stanze, un'abitudine che compio in silenzio, che pauso lentamente, possibilmente sola, un appuntamento che aspetto da una settimana all'altra, che nutrirà l'attesa di tutta una notte a volte immota, a volte agitata, rivestendola di consapevolezza profonda. Tornata dal giro, in piedi nella medicheria a preparare la terapia del giorno seguente, e poi seduta, in attesa, leggendo, o affannati dietro a ricoverati urgenti, la mente e il cuore si popolano di quei volti, di quei corpi appena visti.
Una per volta percorro le camere, quasi risalissi a una sorgente; le persone non sono più quelle: nell'abbandono del sonno, indifese riprendono le abitudini di sempre, le pose familiari, i modi di giacere di prima, la notte per loro il letto ridiventa amico: sagome appena distinguibili la cui vita si può percepire densa di fatti e di persone, in un abbandono pesante, sciatto, composto, eppure vivo più che nel giorno.
Percorro le stanze e qua e là vi è una donna seduta sul letto, tranquilla e quieta, chiusa in se stessa, aspetta qualcuno a cui consegnarsi - una presenza per la quale bastano poche parole simboliche «non dormo...» e .la solitudine è infranta. Si riannoda il legame con la vita.
C'è chi è sveglia con gli occhi sbarrati: chiuse nel loro male, un male che le devasta e che non sanno capire, la notte è la loro nemica, quasi un peso opprimente, un appuntamento temuto, uno spessore compatto da superare. Scarmigliate e ribelli o silenziose, mute testimoni della progressiva distruzione del loro corpo, sole della solitudine inaccessibile di chi si avvicina alla morte, abitanti uniche della loro vita ormai alla deriva, hanno bisogno di una coscienza che le tragga a riva, di un rapporto anche se breve: la presenza tessuta durante il giorno in parole, terapia, assistenza si rivela e trova significato durante la notte.
Bastano poche parole dense di un dramma che non osa svelarsi e l'incontro con chi non teme le notte e dissipa la sua densità per svelare un mistero nascosto, buono, profondo, che rivela l'uomo a se stesso.
La nave solca la notte; le tranquille, le insonni, le agitate, le pacifiche, le vite alla deriva, sono trattenute misteriosamente in vita da chi allaccia con loro fili invisibili.


Maria Grazia


in Lotta come Amore: LcA febbraio 1975, Febbraio 1975

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