Chiesa come Comunione

Ho sempre pensato la Chiesa come realtà di comunione, grandissima possibilità di accoglienza, terra di libertà ed insieme dono miracoloso .per l'uomo che vuole ritrovare se stesso. La Chiesa, continuità storica del Cristo che 'incontra Zaccheo, Matteo, la Maddalena, uomini e donne che ama fino a provocare in loro guarigioni di vita nuova. La Chiesa che non si scandalizza di nulla e di nessuno, che non ha spazio da difendere perché il suo spazio è il mondo, che non ha modelli o regole da difendere perché si sente chiamata nella storia ad indicare con poveri segni il mistero di una vita che non agonizza in preda alla malvagità, ma sovrabbonda in mille originalità personali per una ricchezza che ci è data unicamente a provocare la gioia, la gloria e il rendimento di grazie.
Ho sempre creduto la Chiesa locale, la parrocchia. come un momento di incontro tra le diverse realtà che la popolano e che accettano di lasciarsi giudicare dal Vangelo. Ad una pastorale quindi che si fa premura di toglier via ogni ostacolo che possa impedire questo reciproco ed inesauribile scambio di doni dello Spirito. Ad una pastorale che aiuta e pungola ciascuno ed ogni situazione a dare il meglio di sé con grande semplicità ed in spirito di comunione. Ad una pastorale che affonda i segni sacramentali nella terra del vivere quotidiano, nella storia degli uomini visitata perennemente dalla presenza salvatrice del Cristo.
Cerco di vivere la vita comunitaria come spazio concreto dove è possibile non solo la convivenza, ma l'incontro e la reciproca offerta a costruzioni vicendevole di persone diverse, con sensibilità spesso contrastanti anche per il contatto quotidiano con urgenze e problematiche molto distanti. Credo ancora, nonostante tutto, alla possibilità di vivere in comunione senza sacrificare, anzi provocando al massimo l'originale personalità di ciascuno.
Questa fede è legata ad un'espressione concreta estremamente povera, per non dire misera, in una condizione di fragilità che riscontro in me e intorno a me fino a renderci - io, noi, la Chiesa - particolarmente vulnerabili a tentazioni di efficacia o di potere che conducono a posizioni autoritarie contrarie al principio di comunione.
Nel vivere insieme quotidiano qualcosa ci impedisce di realizzare in pieno una vera comunione. E' per me, il non essere me stesso fino in fondo, il rifiutarmi agli altri per motivi più o meno confessabili. Forse alla radice sta il fatto di non accogliere gli altri come veramente sono e quindi "recitare" in qualche modo un copione dove ciascuno più che esprimere se stesso, ha un ruolo da svolgere e viene riconosciuto solo in quello. C'è il buffone, l'intellettuale, il profeta. il pessimista, quello che dice sempre cose profonde e quello che non dice nulla perché agisce comunque sia, quello che sta sempre all'ultimo posto e quello che si sente in dovere di stare sempre in testa... Anche tra noi, che viviamo insieme da anni, è difficile scrollarsi di dosso questa mentalità che in fondo garantisce un. certo «ordine» ed una certa "pace", ma contrasta con la presenza di Gesù che è venuto a portare la spada anche in queste sistemazioni di vita comunitaria che non è comunione.
Così nella vita della Chiesa locale, almeno nella nostra, queste organizzazioni pastorali a settore (famiglia, catechesi, liturgia, mondo della scuola, mondo del lavoro..., ripropongono una Chiesa piramidale, accentratrice, incapace di accoglienza vera e preoccupata, al di là delle belle parole, di ricostituire un'unità ad ogni costo, Si allargano le responsabilità ed i ministeri laicali, non per accogliere una presenza di popolo, ma per distribuire nuovi gradi a garantire una traballante gerarchia.
Non è rapporto di comunione quello che la Chiesa cerca di stabilire, per esempio, con il mondo operaio, proponendo un Primo Maggio in Piazza S. Pietro. E' strumentalizzazione di cattivo gusto, è pessimo servizio alle organizzazioni sindacali e politiche di cui sollecita l'adesione ed insieme stimola uno spirito deteriore che calpesta la sensibilità della base. Un invito ai cristiani a scendere per le strade per aiutare le masse operaie a vivere in pienezza il profondo significato di questa festa autenticamente popolare: a questo davvero mai si pensa! Si ha paura delle bandiere rosse perché si ha paura ad operare una vera conversione e quindi a confessare il peccato di aver abbandonato la classe dei poveri, la classe operaia. Essa, abbandonata a se stessa, ha trovato come poteva la sua strada, ed è la strada umile ed insieme gloriosa che porta al Primo Maggio come celebrazione unitaria. Che cosa vogliamo rimproverarle? A cosa vorremmo arrivare con questo Primo Maggio con le bandiere bianche? La riconciliazione è parola che riempie la bocca ed è di facile digestione a quanto risulta dai modi disinvolti di risolvere i problemi con l'Anno Santo. No, non c'è davvero spirito di comunione e, per quanto i liturgisti si sforzino di appiccicare formule "impegnate" alle preghiere di oggi, il segno eucaristico radicato in questo equivoco di fondo risulterà tale e quale la messa in latino, rito astratto, lontano, gestito dai soli preti, con un linguaggio e dei gesti per iniziati che il povero popolo subirà come sempre, perché almeno a questo è ben catechizzato.
Chi sente queste cose, non per puro spirito di polemica, ma radicate in una fede pagata di persona, viene emarginato, infatti. Gli si dà il ruolo di "profeta" e con questo si paga, perché si sa che i profeti devono essere avversati (se no sono falsi profeti) e quindi cosa può fare il vescovo o il prete se non studiare il modo di metter bastoni tra le ruote del "profeta", per aiutarlo a vivere in fondo la sua vocazione? Si dice "tu hai un carisma particolare" e con questo si chiude tutto perché vuol dire in parole povere che tu sei un individuo strano, non cattivo, ma scomodo e allora è meglio che tu stia alla larga: penserà poi Dio a giudicarti. Nel frattempo và per la tua strada «profeta», «carismatico» che noi abbiamo da pensare a costruire la Chiesa. Se ci sarai utile ti celebreremo «esempio di obbedienza» beninteso quando sarai morto. Intanto impara da Mazzolari e da don Milani che hanno sempre obbedito!
No, decisamente no. Chi ha nel cuore il sogno di una vera comunione nella piena e perfetta libertà, non può impantanarsi nelle tortuosità della comunione ecclesiastica, che poi stranamente assomiglia alla solidarietà ideologica del partito o della classe sociale. E' realtà, la comunione, da vivere prima di tutto nella propria vita, allargandola ed incontrandola 'attraverso i segni quotidiani raccolti tra la gente. C'è bisogno di uomini e donne che vivano in spirito di comunione per raccogliere ciò che altrimenti è disprezzato, per liberare ciò che altrimenti rimarrebbe intrappolato dalle strutture geometriche della regione e del buon senso. Io non so ben precisare il concetto di comunione, ma sento che esalta la dignità dell'uomo, di ogni uomo. Sento che arricchisce infinitamente l'orizzonte di qualsiasi vita individuale, anche la più brillante. Mi sembra che sia novità di rapporto perché comporta necessariamente il superamento di qualsiasi mascheratura per incontrare l'altro così com'è e noi così come siamo. Gesù Cristo ha abbattuto ogni recinto per creare un unico spazio di Dio e degli uomini. E" la sua comunione che ci dona, questo abbattimento di recinti tra ciò che è mio e ciò che è tuo, ma ancora più profondamente tra quello che io sono e quello che tu sei, fino al punto che se accolgo me stesso, non posso farlo fino in fondo senza raccogliere anche tu, gli altri, il mondo, i'l vivere umano.
Nella fatica di ogni giorno tutto questo diviene prima di tutto consapevolezza dei propri limiti per poter realizzare in noi una vera liberazione. Diviene poi coscienza chiara delle urgenze che ci provocano per non perdere il contatto con la realtà, ma vivere in modo autentico quei semplici segni di comunione che possiamo celebrare nella vita. E può darsi che voglia dire ancora calarsi fino a fonderci con la realtà che viviamo, accettando il rischio di perdere se stessi per lievitare e nutrire nel cuore della massa una creatura nuova.


don Luigi


in Lotta come Amore: LcA febbraio 1975, Febbraio 1975

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