Sarebbe giusto e certamente non senza utilità permettere una certa analisi dell'istituto parrocchia nella linea giuridica tradizionale e nella realtà pastorale del nostro tempo. Ma anche un'analisi ridotta semplicemente ai livelli di constatazione pura e semplice sulla base dell'esperienza ormai visibile a tutti, non può non manifestare una urgente necessita di ricerca di rinnovamento e d'inventiva di parrocchialità diversa.
Se la Chiesa anche da noi è « missionaria» è inevitabile la scoperta di modi e di rapporti capaci di ottenere la sua presenza fra la nostra gente e nel nostro momento nelle condizioni più chiare e libere di testimonianza e di annuncio.
Pensiamo che il rapporto tra Fede e popolo, raccolto e realizzato dalla Chiesa, debba assolutamente essere liberato da intenzionalismi, da programmazioni, da organizzazioni, ecc., rapporti pastorali buoni soltanto a creare separazioni, differenze, lontananze, divisioni.
La pastorale si apre soltanto e si chiude immediatamente al momento dell'analisi-constatazione della realtà di Fede e di non Fede, propria di ogni particolare situazione o di quella generale.
Subito dopo entra in gioco e si coinvolge nella situazione, l'Amore, cioè il Mistero cristiano del dono di sé offerto all'accoglienza o alla respinta, fino alle misure più totali.
Non è pensabile una pastorale (cioè l'organizzazione a schemi stabiliti da prospettive e programmi generalmente studiati dagli specialisti e dai professionisti), una pastorale intesa come articolazione catechetica, programmatica e sistematica amministrazione sacramentaria, illuminata e raffinata celebrazione liturgica.
Dove (e non è dovunque?) la percentuale dei credenti (participio presente, attivo, se non altro per una ricerca di sincerità e autenticità cristiana) è minima e ormai disorientata e depressa, comprensibilmente, data l'attuale problematica religiosa, non è pensabile una pastorale di utilizzazione, d'apostolato ma piuttosto un riconoscersi, un ritrovarsi fraterno, un cercare di realizzare lunghi tempi di maturazione e di crescita nella costruzione comunitaria del progetto cristiano, realizzabile nelle concretezze del nostro tempo.
Dove (e non è dovunque?) ancora si sostiene (pur essendo sempre più in via di restringimento) una percentuale di tradizione cattolica, con la tipica religiosità puramente devozionalistica, precettistica, propria del praticante confinato nel sé stesso o, nel migliore dei casi, nei limiti della propria famiglia e dentro, al massimo, la sensibilità dell'opera buona, qui la pastorale non può essere che una ricerca di provocazione per rompere il ghetto, inquietare le coscienze, rimettere in discussione la scelta di Fede, il comportamento creduto cristiano.
E' chiaro che questo rapporto con questa realtà di Fede non può essere pastorale perché la pastorale comunque possa essere condotta, sarà sempre accomodante e si risolve inevitabilmente in un rimanere determinata da questa percentuale di frequentatori della chiesa, di praticanti sacramentari, di devoti impenitenti, preoccupati soltanto di sé stessi e degli altri unicamente per quanto ritorna per il loro compiacimento e la loro sicurezza, i loro vantaggi e privilegi.
Questa percentuale ha diritto di essere rispettata ma non ha diritto di determinare e condizionare l'impegno cristiano, cioè il rapporto di Fede con tutta la comunità popolare. E per evitare questo pericolo sempre incombente, l'unica maniera è scavalcare la pastorale come modo di rapporto cristiano, sacerdotale, e realizzare prima di tutto un'abitazione, un tipo di vita, preferenze chiare e inequivocabili, un annuncio della parola «si, si, no, no».., cioè una fedeltà di Fede e una scelta di vita che sia evangelizzazione, cioè Gesù Cristo a vivere il nostro tempo e ad annunciarvi la Parola del Regno di Dio.
Dove (e non è così dovunque, specialmente nel mondo dei giovani, operaio, emarginato, ecc.?) la percentuale - fin quasi alla totalità - è scristianizzazione che va dalla respinta più o meno cosciente, all'indifferenza fatta di menefreghismo o di superamento consapevole del problema e tanto più del fatto religioso, l'impostazione della ricerca d'instaurazione di un qualsiasi rapporto di Fede non può evidentemente, fino al rischio del ridicolo, essere una ricerca di tipo pastorale. Di pastorale qui c'è soltanto il ricordo e il dovere di tenere presente la parabola del buon Pastore. E insieme il trattato di pastorale splendidamente realizzato e indicato come unico rapporto, che è la parabola del seminatore e tutto Gesù nel suo vivere dentro la gente del suo tempo.
In ambienti scristianizzati come sono i nostri in questa impressionante percentuale, non è possibile non partire da una precisa e concreta realtà d'incarnazione. Il vivere dentro, l'assumere tutta la realtà, il coinvolgervisi e il lasciarsi travolgere, fino alle misure più estreme - perché totale dev'essere l'Amore cristiano altrimenti cristiano non è - è la vera e unica pastorale possibile perché oltre a essere la pastorale del Buon Pastore; è il rapporto tipico, caratterizzante in modo inequivocabile del cristiano, del sacerdote, di una comunità cristiana.
Rapporto di Fede dunque che non può non essere determinato e costruito che da una motivazione raccolta in Gesù Cristo e ritrovata chiara e inconfondibile nel Vangelo.
Se questo rapporto di Fede e di Amore cristiano viene chiamato scelta di classe non è per equivocare in confusionismi ideologici e tanto meno per mutuare un frasario marxista: è semplicemente per essere capiti dalla mentalità del nostro tempo e proprio per una chiarezza di linguaggio ormai inconfondibile.
Se le affermazioni cosi chiare e nette del Vangelo, se le scelte indicate con estrema evidenza dalla vita e dalla Parola di Gesù hanno perduto la loro crudezza esistenziale, la loro adorabile univocità il loro «si, sì, no, no» per sfumarsi in spiritualismi sospirosi, slavati devozionismi, religiosità alienanti, non è permesso e non è fedeltà continuare la separazione del Vangelo dalla vita, di Gesù Cristo dalla storia, per paura di incontri nuovi, di recuperi impensati, di annunci e incarnazioni più coerenti.
Scelta di classe dunque per poter significare e realizzare ciò che nel Vangelo vuoi dire mettersi dalla parte dei poveri (Le. 4, 18; Mt. 11,4) dei puri di cuore, di chi opera la pace, di chi ha fame e sete di giustizia, di chi è perseguitato per amore di giustizia... La scelta di classe - se liberiamo la parola dalla paura marxista - è il concreto rapporto del cristiano e della cristianità con l'esistenza secondo il discorso della montagna e tutto il Vangelo.
Se tutta questa ricerca di fedeltà evangelica viene considerata impegno politico, politicizzazione e via dicendo, vuol dire che finalmente si sta, sia pure faticosamente arrivando a prospettive d'impegno rigidamente cristiano realizzabile anche attraverso mediazioni politiche. E dopo tanti secoli di collusioni aberranti fra religione e politica, che all'orizzonte si affacci e s'illumini qualcosa di nuovo e di diverso non può che rallegrare il cuore.
Scelta di classe - sempre secondo lo Spirito e la lettera del Vangelo - non per antagonismi, scontri, capovolgimento di oppressioni, violenze, ecc., ma solo per stabilire antecedenze e preferenze di dove deve partire e qualificarsi il rapporto del cristiano, sacerdotale e pastorale (se si vuole usare la parola) nei confronti di tutta l'esistenza. E cioè una evangelizzazione, una sacramentalizzazione, una catechesi, una presenza cristiana, sacerdotale, individuale e comunitaria, di chiesa locale e di Chiesa universale... qualificata dai poveri, dagli oppressi, dagli emarginati, da chi ha fame e sete di giustizia, dalla fraternità umana, dalla uguaglianza di tutti gli uomini...
Nella sicurezza che questa scelta di classe, che questa qualificazione evangelica dell'annuncio e del sacramento e quindi della salvezza, non è contro la prima percentuale ma anzi chiarimento e prospettiva di serio impegno cristiano a tutti i livelli, interiore ed esterno, individuale e comunitario. Non è contro la seconda percentuale, ma anzi l'unica maniera per rompere contro un devozionalismo alienante, confusionismi di coscienza, sistemazioni religiose, interessate spiritualmente e materialmente, intrallazzi e mediocrità religiose, ecc. e quindi l'unica possibilità di conversione, di riconciliazione con Dio e con gli uomini sulla Parola di Gesù Cristo, nella realizzazione di chiesa locale e universale capace autenticamente di essere alternativa di progetto e di concretezza storica per la costruzione di umanità nuova, secondo il sogno di Dio che l'ha creata e l'Amore di Cristo che l'ha redenta nella sua morte di Croce e nella sua Resurrezione.
Pensiamo che sia possibile realizzare una parrocchia la cui pastorale e cioè il rapporto cristiano e sacerdotale vissuto in una realtà umana attraverso l'abitarvi ad ogni livello nella partecipazione più totale di tutti i problemi, attraverso l'evangelizzazione e la sacramentalizzazione, l'amicizia, la stima umana e religiosa, una parrocchia la cui pastorale sia raccolta e determinata non più dalla esigua e sempre più ridotta percentuale dei praticanti, gente di chiesa e di sacrestia, ma dalla massa popolare, anonima, povera di sicurezze, svuotata di potere, sfruttata da tutti e mal sopportata, ormai ai margini perfino di una considerazione religiosa e cristiana.
Non vi sarà evangelizzazione se la parrocchia e quindi la Chiesa non ritroverà questo saper parlare al popolo e cioè alla radice dell' esistenza, la Parola capace di scuoterlo, ridonandogli la Speranza di liberazione, di giustizia, di Amore, di pace, cioè di fraternità e uguaglianza, raccolta dalla Fede in Gesù Cristo e resa attuale, provocante e realizzatrice, esplosiva e costruente, dalla sincerità dei cristiani, dei preti, delle comunità cristiane, della Chiesa.
E' chiaro che queste sono semplici riflessioni e può darsi che risultino per niente indicazioni cosiddette pratiche (i preti sono sempre in ricerca angosciosa di iniziative, di attività pastorali capaci di riaccendere la Fede e di ripopolare le chiese). Nel nostro tempo però è ormai evidente anche a chi non vuol vedere né ascoltare, che non è più il rattoppo di una pezza nuova che può risolvere, bisogna semplicemente rovesciare, capovolgere le situazioni, i comportamenti, i rapporti: è venuto e viene sempre di più il tempo in cui i primi è giocoforza che diventino gli ultimi perché gli ultimi sono sempre più avviati ad essere i primi e chi è importante è inevitabile che sia un poveraccio di servitore, ecc.
E anche queste sono splendide iniziative, si tratta di tutta una pastorale ovviamente assai diversa, ma trattandosi di quella dell'unico Pastore e Maestro e Padre, volere o no, bisogna farci i conti anche se non vogliamo sentir parlare di scelta di classe.
d. s.
don Sirio
in Lotta come Amore: LcA novembre-dicembre 1974, Novembre 1974
Luigi Sonnenfeld
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