Uno dei problemi che si presentano all'inizio è quello di tirare fuori una discussione. Non perché ci sia difficoltà a parlare o a centrare argomenti interessanti. Tutt'altro. Solo che dopo un inizio ricco di motivi che ciascuno attinge dalla propria esperienza, il discorso si disperde in un chiacchierare a ruota libera come al bar o dal parrucchiere con tutta una serie di confidenze sulle preoccupazioni immediate di ciascuno. D'accordo che si è stanchi la sera e forse l'ambiente sereno e diverso da quello abituale, favorisce lo sfogo di tensioni accumulate durante la giornata, ma c'è anche una incapacità profonda al dialogo, un meccanismo di autodifesa che filtra tutto ciò che può intaccare quel piccolo orizzonte di sicurezza personale che è il quotidiano, i figlioli, gli amici, il tempo libero.
Il lavoro che ognuno fa, per esempio, non entra quasi mai nel discorso, se non per i riflessi che può avere nel piccolo mondo sopra citato. Fa già parte di una realtà esterna che risponde a meccanismi difficili da comprendere e da spiegare perché non si vedono e non si toccano anche se pesano tremendamente sulle spalle di ciascuno. E poi perché cercare di capire, perché sforzarsi di parlare e di prestare attenzione quando non cambia niente con i discorsi?
Coscientizzazione, politicizzazione, evangelizzazione, sono espressioni giustissime di un'enorme fatica da compiere attraverso dei gesti molto semplici ed autentici, tali cioè da costituire una prima esperienza su cui fondare una possibilità di cammino.
Ma quali possono essere questi gesti, queste esperienze fondamentali?
L'esperienza della gratuità, per esempio. "Hanno aiutato me, anch'io aiuto gli altri". Non però così semplice come si crede; non basta dare senza nulla chiedere per realizzare un atto di gratuità. E' necessario, per primo, che chi dà esprima a chiari segni che la sua non è una elemosina o semplicemente una generosità, ma la diretta conseguenza di una coscienza precisa di non dare del suo, ma di dare ciò che a sua volta è stato ricevuto. Non solo quindi nessuna forma di imposizione, ma anche e soprattutto una condivisione di fatica, di esistenza. Non si dà gratuitamente dal piedistallo di una ben consolidata situazione economica, dalla torre di avorio di una fede acquisita, da una posizione di forza che provoca sudditanza psicologica.
La sera torniamo dal lavoro ed insieme facciamo scuola. Una cosa molto semplice, che dà senso ad ogni parola, apre il cuore alla fiducia, «siamo sulla barca».
Ma la divisione - anche se essenziale - è solo il mezzo-ambiente in cui si vive una provocazione vicendevole, là dove la gratuità acquista il suo senso definitivo e qualcosa si comunica in dialogo autentico.
Cosa si può intendere per provocazione vicendevole in una situazione come la nostra, priva di spunti interessanti dove si dormicchia al riparo di un lavoro extra sul mare d'estate e del campicello d'inverno? Non certo provocazioni a base di slogan, di ardite mete rivoluzionarie O di profondi fondamenti spirituali e morali. Qualcosa di molto meno ridondante, ma forse - speriamo - più vero. Una provocazione che nasce dalla scoperta di motivi diversi per tirare avanti la vita, di punti di vista diversi nel giudicare i fatti, di una possibilità reale di esser, nello stesso tempo, capaci di render conto di una tale diversità. La geografia e la storia per un mondo e per un'epoca diversa, l'inglese per un esprimersi diverso, la matematica e le osservazioni per strutture diverse, l'italiano per modi diversi di affrontare un identico problema.
Ma di fronte, l'essere di ciascuno, mai dimenticato o sottovalutato, provocato da queste realtà diverse a dar conto - e quindi a prender coscienza - di un proprio mondo, di una storia, di un lavoro, di una lingua, di un metro di giudizio che sono ed hanno valore in quanto sono i suoi.
Non più, quindi, il problema personale a difesa di una intimità serena, ma come dono da immettere nel libero mercato della vita, con profonda gratuità perché nessuno si è fatto da sé.
Come facciamo concretamente? E' bene dire che ci muoviamo a fatica su questa strada e certo dobbiamo cercare di realizzare una migliore preparazione in ogni senso. Ne parleremo comunque, in modo più preciso, la prossima volta.
Mi preme far notare ora quanto questo discorso della gratuità, realizzata attraverso una condivisione di vita ed una provocazione attraverso l'accoglienza della diversità, sia discorso molto vero per l'annuncio di Fede. Trasferiamoci da una scuola di persone che si preparano all'esame di terza media ad un gruppo di "lettura" del Vangelo, ad una comunità di riflessione evangelica o come la si voglia chiamare. Il problema della condivisione tocca, per esempio, immediatamente il sacerdote che, nella quasi sempre totalità, può avere un'eguale sofferenza nella ricerca di fede, ma ha quasi sempre un'esperienza diversa nel viverla e nell'esprimerla (seminario, buon livello nella scala sociale, indipendenza nella vita privata e stretta dipendenza economica e psicologica nella vita ecclesiastica, ecc.) per cui sorgono spesso difficoltà di comunicazione e di autentica fiducia. «Il prete, in qualche modo, deve fare il prete». Così l'inserimento di persone intellettualmente ben preparate che dominano la situazione imponendo i loro modi e le loro scelte. «Ha studiato, quindi deve discorrere».
Il problema della provocazione alla diversità, tocca molto i partecipanti perché tendono a far gruppo, a difendersi insieme, contando sul numero, da esperienze troppo diverse e troppo inquietanti. Finisce per essere l'eterno gruppo di centro, fisso, immutabile, innocuo, rinchiuso, difeso e benedetto.
Prima di una pastorale diversa, non è forse necessaria una vita e dei segni quotidiani diversi, già aperti a queste dimensioni di presa di coscienza e di libertà?
Così per una scuola diversa.
Come al solito è problema di uomini nuovi e non di uomini che amino le novità.
don Luigi
in Lotta come Amore: LcA novembre-dicembre 1974, Novembre 1974
Luigi Sonnenfeld
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