4 - Alla Santa Madre Chiesa

Mi par d'essere il vecchio innamorato, sentimentale e nostalgico forse fino al ridicolo, che non ce la fa a togliersi dal cuore il suo Amore. Eppure è un fatto: tutto si è inaridito a poco a poco, la solitudine è dilagata come le ombre al calar del sole dietro l'orizzonte e la nebbia tutto ravvolge ormai che quasi è assurdo sperare in un lembo di azzurro o di cielo luminoso di stelle. Le amarezze sono il pane quotidiano e la vita è un girovagare qua e là, senza progetto, quasi, spesso, senza ideali capaci di rallegrare il cuore
Non c'è un vuoto di dentro ma a volte è peggio che un vuoto: è la non possibilità perfino della speranza e impedisce anche l'ultima gioia, quella dell'attesa.
E il sapere che è illusione l'attesa finisce per spegnere anche il fuoco d'Amore rimasto sotto la cenere.
Cara Santa Madre Chiesa, tu forse non sai (perché sei troppo affaccendata in innumerevoli cose e ti ha come inaridita la sopraffazione dei problemi terreni), non sai cosa vuol dire essere stati innamorati di te, profondamente e appassionatamente, fino ad averti scelto come ragion d'essere della propria vita, averti accolto con totale Amore nel cuore con un consenso assoluto, quasi come un consegnarsi al tuo Ministero, guardandoti come si guarda una strada luminosissima distesa davanti, sulla quale si camminerà, come ai primi passi, all'inizio di un infinito dove si entrerà, ci si abbandonerà con la gioia della paura di perdersi, verso un orizzonte che chiama al di là di tutte le cose.
Tu, almeno così sembra, non sai, Santa Madre Chiesa, che passione di Amore puoi suscitare nell'anima di una vita, quando ti si sente e ti si crede non più o almeno non soltanto realtà di uomini, vicenda terrena, dimensione temporale, ma abitazione di Dio fra gli uomini, una sua volontà di Amore, un segno visibile del suo Mistero, qualcosa che vuol dire unicamente e immediatamente Gesù Cristo. E sapendo di essere qualcosa di te ed appartenendoti, allora il proprio essere e vivere sente di dilatarsi nell'infinito di Dio, diventa comunione di Cristo ed esistenza umana, umanità intera, uno eppure tutti gli uomini.
Ti ho conosciuta ed amata così, santa Madre Chiesa, come l'unica realtà nel mondo dove potevo essere pienamente e totalmente, me stesso, così come mi è parso d'intuire il me stesso nel pensiero di Dio, in Lui dove so bene e dove credo di poter trovare unicamente la mia identità.
Tu mi sei stata il luogo del mio incontro con Dio, dove mi sono riconosciuto in Lui e dove l' ho accolto nella mia vita, anche se con terribile sofferenza ed estrema fatica, perché Dio mi è apparso come Parola da ascoltare e scelta di vita da condividere, al di là di tutto me stesso per un diventare me stesso in Lui, Dio, Gesù Cristo, gli uomini, la umanità...
Mi sei stata, santa Madre Chiesa, l'alternativa concreta, reale, pratica, di progetto totale e di quotidianità spicciola, nelle misure universali e nella sbriciolatura del particolare, l'alternativa a me stesso, nei programmi e nelle prospettive personali, coltivate e cullate con tanta dolcezza, nei sogni di quando la vita è primavera e palpita nel cuore la gioia dell'universo.
Non so spiegarmi quell'Amore, santa Madre Chiesa, tenace e cocciuto, quell'odiarti spesso fino alla disperazione quando avvertivo la tua crudeltà e disumanità e quell'amarti appassionatamente perché, al di là di quell'angoscia, mi appariva, e mi affascinava irresistibilmente, l'intravederti misterioso segno di Dio fino al punto che respingerti significava respingere Lui, tirarmi fuori di te voleva dire riprendere totalmente la mia individualità, la proprietà di me stesso: era abbandonare valori universali, lasciar cadere "gli altri" dalla mia vita, uscire da una comunione a misura d'umanità, tradire una possibilità d'Amore a vastità infinita.
Non sono mai riuscito a capire come tu possa, santa Madre Chiesa, essere realtà di opposti così inconciliabili, avvicinamento e sintesi di irriducibilità così contraddittorie. Come sia possibile vergognarsi di te, della tua storia, dei tuoi uomini, della loro cultura, del tuo presentarti al mondo, di tutto il tuo apparato e nel frattempo amarti così profondamente fino all' esclusività più assoluta, quasi con gelosia, perché sicuramente tutta la sofferenza di cui ho sofferto a causa di te è stata e è a motivo d'Amore, di Amore che idealizza, che sogna, che non si arrende e non si stanca e che quindi non accetta né può accettare che tu non sia quel miracolo che devi essere. E un Amore che non è più capace nemmeno di ragionare, è Amore al di là di ogni misura, è sull'orlo della pazzia, cioè è Amore vero.
Chi leggerà questa lettera che ti scrivo, santa Madre Chiesa, può darsi che non riesca a capire come sia possibile che tu per una vita di uomo, possa significare così tanto, motivazione così essenziale, ragione di vita tanto profonda. E giudicherà tutto risultato aberrante di un'educazione os-sessiva, di una sentimentalità impazzita e chissà cos'altro ancora. Ma io e tu, se tu ritrovi il momento verginale della tua verità, sappiamo bene che tutto è molto semplice: io sono un povero essere umano colpito dall'idea di Dio e ferito in maniera insanabile dall'Amore di Cristo, tu sei la strada dove si cammina la via di Dio: un pellegrino ama perdutamente la strada, la sua strada, dove cammina per il mondo, che lo rende cittadino di tutta la terra, fratello di tutti gli uomini, uno di tutta l'innumerevole folla.
Anche quando la strada è sterrata, sassosa, sale o scende, tortuosa e spesso si smarrisce in fanghiglia acquitrinosa e svanisce spezzata dai venti sabbiosi del deserto.
Allora la strada pare che abbia tradito il vecchio pellegrino, zingaro senza pace, ma lui continua ad amarla con tutto l'Amore la sua strada perché la sentirà sempre tracciata, davanti al suo destino, dal dito di Dio.
Pensavo e con pena terribile a questo mistero di Amore nella sua impossibilità ad arrendersi, qualche settimana fa, una sera a Roma. I n una sala e poi nella chiesa parrocchiale per una concelebrazione del Mistero di Cristo e di questo nostro fratello, un gruppo di amici, cristiani e no, riuniti a raccogliere il messaggio, misterioso e appassionato di fra Tito, il giovane domenicano del Brasile, suicidatosi in un convento francese.
Nel racconto di quella storia piagata di tortura, agonizzata dallo spezzar di dentro la persona umana, affogata nel sangue, era luce chiarissima l'Amore alla propria gente, oppressa e schiacciata da una dittatura feroce, esplodeva la ribellione per una libertà di uomini contro ogni schiavitù, la fierezza di un uomo a lottare contro la violenza come contro l'agonia, ma si sentiva anche e direi soprattutto, un'infinita passione d'Amore per te, santa Madre Chiesa.
Un uomo, un tuo figlio che si è dato, abbandonato alle torture per sottoporre, nella sua carne, anche te alla violenza del dittatore e accumunarti così alla schiavitù di un popolo: una Chiesa che subisce insieme al popolo la schiavitù, l'oppressione, la tortura e s'immola in un sacrificio totale fino al suicidio, pur di gridare fino all'impossibile e continuare a gridare anche oltre la morte la libertà, la grandezza dell'uomo, contro l'incatenamento del potere, della disumanità.
Tu non l'hai amato - e forse non lo puoi amare - questo tuo figlio, santa Madre Chiesa, ma lui ti ha amata fino ad offrirti la sua giovinezza, scegliendoti come suo motivo di vita, ti ha amata prendendo lui il tuo posto, nella solitudine del carcere, nella disperazione della tortura, si è immolato sulla tua croce, quella che il nostro tempo ti rizza davanti ma che tu lasci vuota spesso, morendo di dissanguamento per le ferite della disumanità fino a renderlo "disprezzato, rifiuto dell'umanità, uomo dei dolori, assuefatto alla sofferenza come uno davanti al quale ci si copre il volto, disprezzato, così che non lo abbiamo stimato" (Is. 53, 3)
Ho pensato, santa Madre Chiesa, che pur avendoti amata appassionatamente fino ad offrirti tutta la mia vita, ho pensato davanti all'Amore per te di fra Tito, di non averti amata nel modo giusto. Ho cercato di coinvolgerti e di comprometterti nella mia vita, ma è stato terribilmente poco, qualche povero tentativo e poi tutto si è fermato alla paura, all'incertezza, al non credere assai che l'Amore per chi si ama è costringere fino alle misure estreme, è la necessità di rischiare anche ciò che può essere giudicato assurdità, pazzia e più ancora scandalo.
Non ho provocato abbastanza "scandali" nel tuo vivere sistemato, saggio, pietistico, pacioccone di Chiesa sicura di sé, del suo prestigio, dei suoi privilegi. E non vi sono state rotture di fondo capaci di incrinare tutto un sistema, così perfezionato e raffinato, dove tutto è virtù capace di velare tanta mediocrità, tanta banalità.
Bisognerebbe cercare, a forza d'Amore, di costringerti ad essere pazza, assurda, da respingere da imprigionare, da torturare... portarti al punto da suicidarti per morire dentro l'abisso della disumanità, nel seppellimento dell'incomprensione, del disprezzo, dell'essere vinta...
E tutto questo pagando di persona, offrendoti semplicemente tutto, in rottura chiara ed estrema, al di là di ogni ritorno, di qualsiasi interesse personale, in una verginità illibatissima da ogni ombra di vanità, d'orgoglio, per un Amore, unico e appassionato a te, santa Madre Chiesa, al tuo essere di Dio e dell'umanità secondo tutto Gesù Cristo.
Perché se tu sei, come sei, realtà di Dio, presenza di Cristo fra gli uomini, l'Amore verso di te, santa Madre Chiesa, non può che essere un continuo cercar di costringerti a costo di tutto, anche a costo di provocare "scandali", alla tua verità, alla fedeltà a te stessa e a tutto il tuo Mistero.
Ora mi rendo conto e con profonda amarezza che non ti ho amata sul serio, santa Madre Chiesa, pur avendoti amata perdutamente, più della mia vita e di qualsiasi altra cosa al mondo.
E capisco bene, con terribile amarezza, che ormai non mi è più possibile "l'altro amore", quello di fra Tito, arrivato fino all'estremo di aprirsi le vene perché il suo sangue ti provocasse ad essere Chiesa fra il tuo popolo, nella disperazione della sua gente.
E questa impossibilità di Amore per un non coraggio e anche forse per un'assurda rassegnazione, mi fa sembrare vecchio e stanco, come chi guarda al primo e unico Amore con struggente malinconia per aver mancato ad appuntamenti d'Amore che ormai non ritorneranno mai più.


don Sirio


in Lotta come Amore: LcA novembre-dicembre 1974, Novembre 1974

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