Costruttori di riconciliazione

1 - Il tema della «riconciliazione» è contemporaneo nella riflessione della Chiesa. E' proposto e sviluppato in angolature e prospettive diverse e differenziate e veicola molti importanti interrogativi. In un testo celebre (2 Cor. 5 e 6) Paolo ne ricollega tutto l'iter all'iniziativa di Dio che in Gesù Cristo ha riunito gli uomini a Sé e ha affidato ad essi il compito di esserne ministri, diaconi. La portata di quest'annunzio, tanto grande ed importante, è facilmente falsata. Lo è, per es., quando viene letto nell'ottica delle situazioni in cui vivono coloro che tranquillamente servono due padroni, che non hanno scoperto e deciso la solidarietà con le quali vivere la loro esistenza riconciliata. In questo caso, la rottura radicale e senza equivoci che la riconciliazione esige, è confusa con quell'amalgama indifferenziata che si nutre di paure, di concordismi ad ogni costo, di pacifismi ad oltranza e che si manifesta in strane forme, non di coesistenza, come nel caso del grano e della zizzania che devono crescere insieme fino alla mietitura, (Mat. 13, 24 s.) ma di coincidenza degli opposti, di accordi strutturati di ingiustizia, falsità, inganno. Per essere davvero al servizio di tutti non si può andare d'accordo con tutti; occorre armonizzare l'unicità della propria vocazione nella realizzazione del progetto di costruire umanità, in crescita e tensione di verità e amore. La crescita è superamento, è coraggio di esistere, è capacità di sofferenza. Riconciliare è perciò recuperare il coraggio di soffrire con altri perché tutti si sia fedeli, di vivere e proporre la sofferenza della verità, di costruire Comunione mettendo insieme libertà liberate, non solo da velleità isolazioniste e da massificazioni alienanti, ma anche dal rifiuto della solitudine, dalla abdicazione alla libertà nell'attesa che altri ci costruiscano liberi.
2 . Il momento più alto e più arduo della riconciliazione si vive in relazione a Dio che, in nostro favore, "ha reso peccato Colui che non conosceva peccato, perché diventassimo giustizia di Dio in Lui" (2 Cor. 5, 21). E' solidarietà con Dio e con tutti coloro che sono disponibili ad essere e a vivere come giustizia di Dio in Gesù Cristo. Farsi accogliere da Dio è distaccarsi da, rinunciare a tutto ciò che non è Dio, entrare in un cammino che non ha termine, farsi mettere in discussione totale. Dio non si riduce agli schematismi con cui gli uomini lo pensano, non va confuso con gli idoli. E' Colui che si dà in dono a coloro che per Lui perdono tutto, che lo scelgono a preferenza di qualunque altra cosa; è tesoro che si compra vendendo tutto (cf. Mt. 13, 44 s.), che non si baratta con nulla. Dio ha un suo particolare segno di riconoscimento. Quando si rivela si nasconde: le sue rivelazioni non eliminano, fondano, il rischio di doverlo riconoscere. E il riconoscimento è decisione, è puntare sul tutto con la sola garanzia della parola. Solo coloro che gli «ubbidiscono» fino alla morte (cf. Fil. 2, 8) sono da Lui ridonati alla vita. Solo chi perde salva, chi dona trova, chi rinunzia a garantirsi è garantito. Abbandonarsi a Lui è rischiare e le stesse garanzie che dà, hanno lo scopo di garantire che solo chi si perde nella famiglia che va costruendo nel tempo, si salva. La vocazione alla comunione è vocazione di solitudine, di struttura di scelte, responsabilità, realizzazioni,libere, rischiose, generatrici di fratture; nel segreto delle coscienze matura e si esprime in adesione e risposta libera di amore, di fede. Dio non ha competitori e rivali nel dono di Sé, si dona solo a persone che non vengono a patti con gli idoli, che non riconoscono principi vitalizzanti diversi da Lui. Salvezza risurrezione, libertà solitudine, verginità sono le componenti sinonimo di questo misterioso dialogo che, quando è vissuto in pienezza, rende le creature liberate per la comunione più generosa con l'eterno, e ridonate salde, inventive, alla costruzione della storia.
Il messaggio della riconciliazione è perciò sconvolgente, promette tutto a chi rinunzia a tutto, promette il tutto di Dio e chiede il tutto di noi. Per l'uomo, prima di sperimentare Dio, il proprio nulla è tutto: nessuno manda a picco la nave su cui naviga, nessuno lascia facilmente tutto per seguire uno che si svela solo dopo che è stato accolto. L'uomo vuole avere tutto, anche come presupposto, non solo come risultato. Poiché una sola è la riconciliazione, quella nuova ed eterna che Dio ha fatto con l'umanità in Gesù Cristo (2 Cor. 5), essa è fonte, stile, condizione unica, insormontabile, insostituibile, di ogni riconciliazione e perciò come la prima, anche le altre, se sono autentiche, sono iniziativa preveniente, che si sviluppa in ubbidienza a Dio e impegna per eliminare nella propria vita gli ostacoli che impediscono agli uomini di riconoscere ed accogliere Dio e di volersi uomini tra gli uomini. Nella sua risurrezione è garantita la resurrezione per coloro che credono in Lui, per coloro che, nati alla vita che non muore, muoiono alle loro autonomie ed autosufficienze, vincono la tentazione di volere una vita tutta, solo loro. Il cristiano lotta per restare nella vita, non per garantirsi dalla morte, parte dal punto di arrivo di Cristo, dalla sua resurrezione, per vivere la vita a cui Egli è risorto, lotta non per meritare di risorgere ma per non cavarsi fuori, per non prescindere dalla Resurrezione.
3 - Rigenerazione in Gesù Cristo Uomo-Dio, la riconciliazione è inserimento nella vita, non è emarginazione dalla storia o meglio è emarginazione da quella storia che non costruisce vita. Dio ci trapianta nella vite che è Cristo per potarci e farci essere tralci che portano frutto (Gv. 15, 1 s.), non ci fa talento da sotterrare (Mt. 25, 15 ss.), pianta sterile (Mc. 11, 12 ss.); è venuto a suonare e ballare sulle nostre piazze per coinvolgerci, non per dare spettacolo (cf. Mt. 11,16 ss.). Paolo ci qualifica "collaboratori", e ci chiede di non ricevere "a vuoto la grazia di Dio" (2 Cor. 6, 1). Tentazione e peccato del cristiano è paralizzare la Resurrezione, far abortire il «germe di Dio» (cfr. Gv. 3, 9) che rimane in lui, rifiutare la responsabilità di ciò a cui si è dato vita. I riconciliati non sono parassiti, sono riconciliatori, sono costruiti per essere anch'essi operatori di riconciliazione. Non sono inseriti in un processo di produzione di cose; frutto della vita è la pienezza della vita e della gioia (cf. Gv. 1, 5) e non cose che costituiscono oggetto di scambio e di consumo. Il frutto supremo della resurrezione è la vita nuova in Dio, ma poiché essa inizia nel Battesimo di fede in Gesù Cristo e trasforma tutta la nostra condizione umana, esige una visibilizzazione anche temporale. Paolo schizza lo stile della collaborazione-diakonia dei redenti (2 Cor. 6,4-10). Tutti siamo sottoposti alla tentazione di devitalizzare codesto messaggio e ridurre ad un processo intimista, anche se doloroso e sofferto, uno stile di esistenza che si esprime nei termini inequivocabili della «nuova creazione» delle realtà vecchie che svaniscono, della realtà che è fatta tutta nuova (2 Cor. 5, 17). C'è il pericolo costante di equivocare parola e vita, di pensare che la realtà diventi nuova a parole e non per una trasformazione in radice. A questi livelli le riduzioni della riconciliazione sono non meno gravi di quelle che essa subisce in rapporto alla resurrezione in Gesù Cristo. Si pensi alle posizioni opposte di coloro che perseguono una riconciliazione senza visibilizzazione storica, intramondana e di coloro che ritengono che Dio è un intralcio alla liberazione umana. Su altro piano, coloro che s'impegnano in una "fruttificazione" storica spesso pensano che la riconciliazione non abbia, non esiga delle coerenze proprie, quasi che non sia strutturata di selettività e di potere distintivo e così presumono di operare con qualsiasi tipo di alleato. L'impegno storico costituisce, in un certo senso, l'aspetto più sofferto della riconciliazione, quello che permette di verificarne senza alibi la qualità e l'autenticità. La riconciliazione con Dio passa per la riconciliazione con gli uomini e costoro non sono realtà astratte, ma persone storiche, concrete, strutturate di esigenze e attese, plurime e diversificate. L'umanità trascende gli schematismi con i quali è pensata e i bisogni degli uomini sono realtà che non si risolvono col desiderio, ma con opere. E queste esigono individuazione delle mediazioni storiche, scelte di strategia, discernimento, rischio, incertezza, pazienza. Tutto ciò è aleatorio ed incerto quando le comunità e i singoli non sono rinnovati nell'intimo. La conoscenza è espressione di vita; alcune esitazioni, preclusioni, incomprensioni sono sintomo di mancanza di chiarezza di fondo, scaturiscono da non decisa conversione e da oscillante orientamento di vita. Conoscere è funzione dell'esistere; modi di esistere tiepidi, né caldi né freddi, ispirano analisi e prassi ibride e falsificanti. L'impegno per l'uomo non si può portare avanti da soli e non si sviluppa con gesti isolati, esige assunzione di responsabilità politiche anche per impedire l'espandersi dei sistemi di emarginazione, di manipolazione e di strumentalizzazione. I mondi e le solidarietà vitali in cui l'uomo gravita ispirano le sintonie profonde e queste, per non essere tradite sul piano della coerenza, impongono scelte non equivoche. La carità più grande che dobbiamo agli altri è la verità non tradita e non nascosta, seguita nelle sue richieste e nelle sue fasi di crescita, anche nel sacrificio. Un oppositore leale può essere amico, un vicino insincero no, quando ci si trova tra uomini che cercano luce e verità e non coperture reciproche. Carità e verità si sviluppano in dialettica distinta e rispondono a dimensioni diverse, complementari, della realtà. Spesso sembra impossibile salvaguardarne le esigen-ze nel campo operativo e particolarmente in quello politico che resta il settore fonte di maggiori divisioni tra i cristiani. Il processo di conversione, culminato nel Concilio, aveva portato al rifiuto delle compromissioni col potere politico e alla rivalutazione della primarietà ed autonomia della fede... L'approfondimento della fede ha fatto riscoprire nuove esigenze d'impegno politico, diverso per sorgente, ispirazione e struttura. Nonostante ciò, la visione spiritualista della fede, gli equivoci che concernono la politica e tutto ciò che ad essa si riferisce, la struttura partitica della partecipazione politica nella società contemporanea, la rigida impostazione borghese dei rapporti economici e il conseguente condizionamento che essi esercitano su tutti gli altri rapporti umani, rendono estremamente arduo il discernimento e la scelta del tipo d'impegno da attuare per la partecipazione di tutti a condizioni umane di esistenza e alla costruzione della storia e del Regno. Solo gli uomini liberi sono veri liberatori e cioè solo gli uomini capaci di farsi coinvolgere in amore incondizionato dell'umanità, in ricerca mai stanca del bene in impegno illimitato per realizzazioni che costituiscono uomini non chiusi al rapporto con Dio.
Perciò, se l'impegno storico prescinde del tutto da questo dato e non libera l'uomo per l'incontro con Dio, non è vero impegno per l'uomo. Non si può costruire un mondo senza Dio perché Dio non è senza gli uomini. E' ingiustizia il fatto che gli uomini in gran parte, percepiscono ciò solo a livello di sofferenza e di privazione e perciò vivono nella disperazione e nella dispersione senza riuscire a vivere le attese polarizzate sulle loro persone, le richieste loro rivolte. Perché ci sia riconciliazione, questa condizione non deve essere tollerata, non la si può giustificare si deve diventare impazienti di fare emergere il modo come eliminarla per cooperare ad una più vera comunione di uomini in Dio.


P. Dalmazio Mongillo


in Lotta come Amore: LcA settembre-ottobre 1974, Settembre 1974

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