Sono passati diversi mesi che questa nostra lettera agli amici non è stata inviata. Questa mancanza al nostro appuntamento quasi mensile è dipesa da diverse motivazioni, non ultima ovviamente il problema del recapito postale: il nostro foglio andava troppo sperso e a noi sembrava allora inutile insistere nella spesa. Anche l'andamento della nostra comunità ha avuto alcuni ristagni dovuti ad una certa sopraffazione di lavoro, di problemi.
Non è certamente facile una vita di comunità in questo contesto ecclesiale, evidentemente non favorevole e incoraggiante per ricerche di valori cristiani in un impegno di chiarezze all'interno della nostra vita comunitaria e di rapporto all'esterno, nell'angolo di terra nel quale viviamo, nella nostra città, questo nostro mondo che è quello che è e che ben conosciamo per tutta quella sofferenza e fatica che aggrava il voler respirare a cuore aperto, con fiducia e speranza, un po' d'aria buona.
Quando si riesce a sopravvivere è già miracolo e fino al punto che passa perfino la volontà di tentare una operatività, cioè l'esercizio dell'essere vivi: rimane semplicemente in attesa che passi il periodo di secca, per momenti migliori, per situazioni più favorevoli.
Sappiamo bene che questa passività non è affatto lodevole e ce ne rammarichiamo assai: non è del buon seminatore della parabola aspettare e stare sognare che la strada sia arata, la terra sassosa dissodata e i rovi e le spine divelte e strappate via, per gettare il suo seme, nella pretesa di farlo soltanto su terra buona, ma può succedere e questo è il peggio, che il sacco di grano sia vuoto o quasi, sia per ave gettato tutto il buon seme o, Dio non voglia, perché, data la carestia piuttosto preoccupante dei nostri tempi, sia stato mangiato, sempre per quel problema del sopravvivere.
Comunque sia (e certo le responsabilità sono sempre pesanti fin quasi a non saper come chiedere perdono) l'inesauribilità dell'Amore di Dio è veramente infinita. Non ne siamo coscienti mai abbastanza e dovremmo averne invece un'adorazione glorificante profondissima fino a riflettere nell'anima una gioia immensa e dilatare nel cuore un coraggio senza limiti.
Perché nel buio Lui riesce sempre ad accende illuminazioni improvvise, meravigliose. Viene la sua mano onnipotente e tira su dalla passività, dalla stanchezza a spingere violentemente sulla strada per prendere il cammino. Allora ritorna la fiducia, la speranza e specialmente - dono di Dio meraviglioso per chi sa riconoscerne la miracolosità - si riaffaccia timidamente ma irresistibile, la voglia di rischiare ancora, di chiudere gli occhi e di buttarsi là, senza sapere, specialmente all'inizio, né dove né come, basta soltanto vincere la paura, scuotere da dosso il torpore, convinti ancora che lottare bisogna, perché questo vivere, è credere, è fedeltà. Fedeltà a chi ci ha chiama non a dormire, o a starsene sulla piazza senza far nulla, ma a lavorare anche se fossimo già all'undicesima ora.
La vocazione del cristiano è tutta in quella del profeta: «Non dire: sono un buono a nulla! Perché verso tutti quelli che ti manderò, andrai e tutto quanto ti ordinerò, lo dirai. Non avere paura, perché io sono con te... io metto le mie parole sulla tua bocca; ecco, questo giorno, ti stabilisco sopra le nazioni e sopra i regni, per sradicare e distruggere, per disperdere e rovinare, per edificare e per piantare» (Geremia 1, 7-10).
Non si può e non si deve tirarsi da parte e lasciare che il fiume dilaghi dove vuole, sarebbe responsabilità di connivenza con chi ha tutto l'interesse a narcotizzare le coscienze in un cristianesimo pacioccone, coperto di carità, velato di devozione e vuoto di verità inquietante, di Parola Viva, di potenza rinnovatrice.
Sta invecchiando paurosamente questa nostra cristianità e non soltanto perché è sempre più un popolo di vecchi, il popolo dei credenti, ma specialmente perché sempre di più vince la paura del nuovo, del nuovo che sia veramente novità.
Del nuovo, cioè della manifestazione incessante di Dio che non si ripete mai, che non è mai la stessa, perché è prorompere dall'inesauribilità del suo infinito. La dolce, adorabile novità della sua Parola, continua, esplosiva creazione, violenza rinnovatrice dello Spirito che rinnova incessantemente la faccia della terra, presenza vivente di Cristo risorto a vincere continuamente la morte e a fare nuove tutte le cose.
A volte la nostra Fede - ma è difficile giudicarla Fede - è senza entusiasmo, il che vuoi dire senza convincimento: è senza violenza interiore, non provoca intensità incontenibili perché non nasce da Dio, ma da ragionamento d'uomo. E quindi è sopraffatta da tutta una stupidità e inconsistenza di complicazioni interiori e di frenaggi esterni, fino ad una vanificazione sospirosa e languida.
In questo tempo di riconciliazione, la prima riconciliazione da compiere è con la Fede, ritrovandone il valore preciso e forte, da poterci dare di riscoprire Dio, quello della rivelazione, dalla prima pagina della Scrittura fino all'ultima, Gesù Cristo, quello del Vangelo, Gesù Cristo vero Dio e vero Uomo.
Per una riconciliazione con i valori fondamentali, essenziali della vita, dell'esistenza: la fraternità, l'uguaglianza; la libertà, la giustizia, l'Amore... e cioè la terra e il cielo, il tempo e l'eternità, l'uomo e Dio. E giocarci serenamente tutto, cioè la vita, se stessi, tutto quello che si ha e che si è, con estrema passione, con dedizione assoluta, con semplicità, come la cosa più normale del mondo.
Non sappiamo bene se noi siamo capaci di tanto.
Può darsi di no. E i tradimenti saranno innumerevoli e cioè le stanchezze, il disanimarsi, lo sconfortarsi: il lasciare che gli altri vincano tranquillamente, che le cose rimangano quelle che sono, che noi continuiamo ad occuparci delle nostre fesserie, a perdere tempo ed energie a quadrare il cerchio. Pensando ancora che siamo cristiani, gente di Fede, quelli che decidono del Regno di Dio nel mondo...
Vorremmo che tutto questo (e cioè le terribili cose appena accennate da queste parole che ovviamente nascondono problemi e responsabilità misurabili unicamente da valori infiniti come sono quelli di Dio e degli uomini) vorremmo che tutto questo ci provocasse ad una ricerca nuova e vivace di sincerità cristiana, di testimonianza più pagata, di evangelizzazione appassionata. E saremmo felici se questa provocazione riuscissimo ad essere, in qualche modo, anche nel cuore dei nostri amici, perché amicizia è costringerci al di più. E se qualcosa di questa provocazione ci fosse dato di accenderla nella Chiesa, per noi sarebbe il segno più grande della nostra fedeltà e del nostro Amore.
E avverrebbe allora che qualcosa di questa provocazione suscitata dalla Parola di Dio, diventata rivoluzione cristiana per la potenza dello Spirito, potrebbe esplodere novità meravigliose nella storia dell'umanità, quelle novità che si chiamano Regno di Dio.
La Redazione
in Lotta come Amore: LcA settembre-ottobre 1974, Settembre 1974
Luigi Sonnenfeld
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