Credo che l'impressione che ci accompagna in questo momento della nostra storia sia la comune constatazione di vivere in tempi di tragica e assurda violenza.
Chiunque di noi vive il proprio cammino quotidiano lasciando il cuore e la coscienza aperti all'insieme degli avvenimenti vicini e lontani, a dimensione individuale o collettiva, non può non rendersi conto di vivere in una situazione storica satura di spirito di sopraffazione, di distruzione, di disordine stabilito.
Sembra quasi di trovarsi in una stanza - grande quanto il mondo - ormai invasa da un gas invisibile che la più piccola scintilla può far esplodere distruggendo ogni cosa. Viviamo realmente immersi in un'atmosfera inquinata da uno spirito di violenza distruttrice dalla quale non si vede proprio come sia possibile uscire, per quale via trovare uno spiraglio verso la luce.
Siamo prigionieri in questo carcere senza sbarre, ma che qua o là ogni tanto si rivela, manifestando quale capacità di morte racchiude nel suo misterioso e terribile potere.
La violenza di cui tutti più o meno siamo le vittime ha un fronte molto ampio, e noi siamo come un esercito allungato su una frontiera troppo estesa per essere difesa. Violenza sanguinosa sui campi di guerra, nelle prigioni, nei moderni campi di sterminio, nelle celle di tortura. Violenza individuale, di chi cerca la propria libertà facendone pagare il prezzo a persone innocenti. Violenza collettiva, organizzata e legalizzata, a volte quasi invocata e benedetta, di chi giustifica la morte altrui come un mezzo adeguato a custodire il diritto, la giustizia, l'ordine. Violenza quasi impercettibile nei nostri cuori incapaci di vero perdono, di vero amore, che vorrebbero che Dio mandasse il fuoco dal cielo su chi disprezza la verità e la legge; o che per lo meno gli uomini usassero la loro capacità di morte (la «pena di morte») su chi - come Caino - uccide il proprio fratello.
Penso che non è possibile tirarci indietro da questo scandalo del nostro tempo, del nostro mondo considerato ciecamente cristiano (come a dire liberato e benedetto) e che invece si manifesta profondamente malato, sepolcro imbiancato che ogni tanto si scopre e rivela la realtà di morte in esso nascosta. Una civiltà esaltata e propagandata come espressione massima del progresso umano che si infrange e si sbriciola contro questa muraglia fatta di creature spazzate via dalla cieca furia dell'odio e della sopraffazione.
La strage dei fedain a Maalot, in Palestina; la rappresaglia israeliana nei villaggi libanesi dei profughi palestinesi; la tragedia del carcere di Alessandria, le rivelazioni terribili delle esecuzioni in Cile e in Mozambico; gli attentati spaventosi a Dublino, in Irlanda, e l'ultima folle strage terroristica e fascista di Brescia: questo non è altro che un elenco opprimente degli ultimi anelli di una catena fatta di sofferenze indicibili, inspiegabili, che mostrano quale «follia» si nasconda sotto il volto del nostro mondo moderno, della nostra progredita civiltà.
Di fronte a una simile realtà il primo sentimento che esplode nel nostro povero cuore è la disperazione, l'angoscia di chi avverte con estrema chiarezza l'importanza a fronteggiare simile situazione. Viene alla mente il pianto di Gesù - quasi il segno del suo sgomento e della sua desolazione - di fronte alla bellezza di Gerusalemme, simbolo di ogni creatura e di ogni popolo, destinata ad essere distrutta, a non rimanere pietra su pietra, per non aver voluto accogliere l'invito alla vena liberazione, per aver rifiutato l'appello di Dio ad uscire dall'ingiustizia e incamminarsi sulle vie della pace. Cuore duro, come di pietra, che rifiuta di lasciarsi prendere dalla mano di Chi potrebbe impastarlo di nuovo e farne un cuore di carne...
Credo che se vogliamo creare seriamente una via di salvezza, un varco verso la luce, una strada di liberazione, non ci rimanga altra scelta che non sia quella proposta dal Cristo Signore, venuto a restituire chiarezza di visione ai nostri occhi spenti, a indicarci le vie di Dio così diverse dalle nostre. Non mi sembra possibile puntare su nessun'altra forza che non sia quella che nasce dalla sua Croce, da Lui che si è mescolato alla nostra storia, caricandosi del nostro dolore, ed ha accettato di percorrere la strada della vita a mani nude, lottando a forza d'amore, di verità, seminando senza stancarsi la pace e la giustizia; respingendo i forti e i potenti, togliendo loro la maschera di perbenismo e di onestà, e indicando ai poveri il sentimento della vita.
«La nostra speranza più sicura è Cristo, che si è fatto uguale a noi nel dolore, non essendogli stato riconosciuto il diritto a un giudizio giusto e non fu ascoltato nella sua legittima difesa.
Egli non si è servito di raggiri o di raccomandazioni per salvarsi. Soltanto Cristo, fortemente odiato dagli oppressori di tutti i tempi, è l'unica forza per noi che non ci appoggiamo sui carri armati o sulle mitragliatrici, né sulle bombe, né sul terrorismo, né sul denaro per i delatori. ..
Gesù, il cui nome significa «Dio libera», che è venuto per annunziare la buona novella ai poveri, liberare i prigionieri e dare la vista ai ciechi, ci apra gli occhi in questo momento di oscurità e aiuti il nostro popolo a trovare la strada della libertà. La libertà dei figli di Dio», (Documento di 99 cristiani boliviani) .
Credo che questi nostri tempi così carichi di violenza e di spirito omicida, costituiscano un appello molto serio, pieno di responsabilità per quanti di noi vogliamo essere veramente Chiesa di Dio e Corpo di Cristo.
Come cristiani, portatori del Vangelo di pace - la pace del Cristo povero, crocifisso e risorto - non quella offerta dai tiranni e dai dittatori di questo mondo, dobbiamo testimoniare coraggiosamente come la pace vera può nascere solo dalla giustizia. La fame, la divisione in classi e l'oppressione sono i più efficaci predicatori della violenza, quella illegale e quella legalizzata.
E neppure possiamo illuderci che sia possibile sradicare il seme della violenza da un mondo dove una delle industrie più fiorenti, in regimi capitalisti e socialisti, è quella delle armi; dove alla forza delle armi - anziché alla potenza della verità e dell'amore - è affidata la difesa della libertà; dove gli eserciti diventano una minaccia costante e sempre più terribile, pedina facile da manovrare dai gruppi di potere in campo economico e politico.
Così come non si può pensare che fiorisca la giustizia, la fraternità e quindi la pace sociale in una terra divisa dai fili spinati della proprietà privata, delle frontiere nazionali o razziali, dell'oppressione ideologica e delle più elementari libertà della persona umana.
Credo che sempre più l'essere cristiani in tempi come i nostri, accerchiati da una violenza dai mille volti e colma di crudeltà senza misura, diventi scelta seria e impegno decisivo per una vita che si getti in pieno nella mischia della storia, per essere là dentro - perduta e sopraffatta da tutto il pro-blema umano - pugno di lievito e granello di senape del regno di Dio.
Essere cristiani oggi, vuol dire certamente non illuderci di poter avere delle soluzioni o delle ricette prefabbricate su come guarire il male che rispunta ad ogni passo. Comporta senza dubbio il ri-schio di sentirsi come portati via dal dramma della creazione scossa, come dice S. Paolo, dalle doglie del parto, travagliata dal grido d'angoscia che sale dalle viscere dell'umanità chiamata ad una nuova nascita.
Più si penetra nella conoscenza del mistero della vita umana, più il rischio dello sgomento, dello sconforto, della disperazione ci può prendere se non sopravviene il dono dello Spirito di Dio che ci renda capaci di intravvedere il volto dell'uomo nuovo che sta emergendo, come una nuova terra, in mezzo a ribollimenti drammatici.
E' unicamente dallo Spirito che ci può venire il coraggio e la lucidità di un impegno e di una lotta cristiana vissuta senza furbizie e saggezze, senza diplomazie e filosofie, ma nella semplicità e stoltezza evangelica.
Forse ciò di cui abbiamo bisogno più di ogni altra cosa è di credere che la montagna dell'odio, della violenza e dell'oppressione può essere abbattuta solo da una fede grande appena come un granello di sabbia.
Se avessimo questa fede forse scopriremmo che la lotta da combattere per una nuova umanità non è «contro la carne e il sangue», non è l'uccidere, non è la rivoluzione sanguinosa né la rappresaglia (l'occhio per occhio, dente per dente), non è la guerra.
Forse comprenderemo che il vero nostro nemico non è l'uomo - il singolo uomo o gli uomini messi insieme - e non è davvero con l'uccidere qualcuno che si può ottenere la salvezza di tutti. «Sangue chiama sangue»: è una legge antica e spietatamente vera.
Sento che bisogna chiedere con tutta la forza del cuore questa briciola di fede autentica e vera nella resurrezione e nella presenza storica di Gesù, nella sua lotta di vita e d'amore: per offrire il nostro essere come segno concreto di unità, di incontro, di comunione fraterna. Per essere una Chie-sa, appunto la Chiesa di Cristo, che sprigioni dal proprio esistere la potenza liberante e rinnovatrice della Resurrezione del Signore, di Lui vittima della violenza e della morte di croce.
don Beppe
La pace è qualcosa che bisogna non solo mantenere, ma produrre, e produrre a partire dalla verità, dalla giustizia, dall'amore e dalla libertà; a partire dalla coscienza politica dell'uomo.
Non è quindi compatibile con l'"ordine" a spese della verità, della giustizia, dell'amore e della libertà: non è repressione, non è paura, non è silenzio, non è morte.
La pace è l'uomo e l'uomo è il cuore della pace.
Manuel Viera Pinto
Vescovo di Nampula
in Lotta come Amore: LcA giugno 1974, Giugno 1974
Luigi Sonnenfeld
e-mail
tel: 058446455