Abbiamo appena celebrato la Pasqua rinnovando la nostra fede in una tomba vuota, quella di Cristo risorto. Di Lui, il Vivente, il Primogenito dai morti: la sua tomba vuota è il segno massimo della potenza dell'amore di Dio e la ragione della nostra gioia.
La pietra del sepolcro di Gesù, ribaltata dalla forza della Resurrezione, è indicazione precisa dell'appello che in Lui ci è rivolto a spezzare tutte le pietre che sigillano gli innumerevoli sepolcri dove la vita, la libertà, la giustizia vengono continuamente rinchiuse e lasciate marcire.
La nostra Pasqua è Cristo: è Lui che ci prende per mano - se noi lo vogliamo - e ci conduce sulle vie dove può avvenire il «passaggio» dalla schiavitù alla libertà, dalla morte alla vita.
Ma il Cristo che risorge, spaccando la pietra del suo sepolcro e quella dei nostri cuori, è il Cri-sto piagato e ferito a morte, lacerato e appeso alla croce. I segni della sua resurrezione, i segni che testimoniano della sua tomba vuota .sono le sue mani e i suoi piedi, il suo petto trapassati dai chiodi e dal colpo di lancia. Il prezzo della sua vittoria sulla morte - e su tutto ciò che porta alla morte è la frantumazione del suo essere (come pane spezzato e diviso), l'annientamento della croce. La tomba vuota, nel primo mattino della settimana come nel primo giorno del nuovo universo - emerge dalla notte tremenda e sanguinosa della sua passione. Come a dire che senza passione non vi può essere vera resurrezione ...
Penso a quella enorme tomba che è l'oppressione, lo strangolamento dei popoli da parte dei potenti: catene ribattute dai chiodi dello sfruttamento economico, politico, militare... Croci di fame, razzismo, sottomissione, tortura. Voglio raccogliere alla luce della Pasqua appena vissuta tutto questo grande dramma della passione universale del corpo del Signore beffeggiato e crocifisso. Dramma che si rifrange a misure più piccole in estensione ma non certamente in intensità - in ogni angolo di terra, nei quartieri e nelle periferie sovrappopolate delle città, negli ospedali e nelle carceri dove l'uomo è ridotto a numero, ingranaggio, oggetto di mercato, di profitto. Sono davvero tanto numerosi i cimiteri umani nei quali la vita, l'amore, la misericordia, l'amicizia, la dignità dell'uomo e della donna soffocano in attesa di chi li chiami alla luce, alla libertà.
E' dovere cristiano spezzare le pietre dei sepolcri dove l'uomo è prigioniero della morte per aprire il cammino verso la resurrezione: è fedeltà a quel primo giorno della settimana di cui parla il Vangelo in cui gli amici di Gesù furono invitati a non cercare fra i morti Coluri che era vivo. La lotta cristiana trova qui la sua più vera ragion di essere, la sua autentica radice,
Penso a una delle ultime tombe che si sono scoperchiate per il coraggio di alcuni discepoli di Gesù che hanno affrontato con coraggio «il duello fra la morte e la vita» (come dice un antico inno della liturgia pasquale).
Una tomba che si chiama MOZAMBICO, ultimo scandalo del colonialismo portoghese, storia di stragi, di distruzioni in massa, di massacri di uomini che lottano semplicemente per il diritto di essere se stessi, un popolo libero nella propria terra e con la propria cultura.
Per il coraggio di alcuni cristiani la pietra che serrava quella tomba è stata rotolata via ed ora lascia vedere chiaramente i segni della vita che dentro vi pulsa. Un potere politico che si era finora dichiarato cattolico, difensore della «civiltà cristiana» (come in Spagna, in Vietnam del Sud, in Brasile, in Cile) è stato così messo a nudo da uomini di chiesa che finalmente hanno trovato nel proprio cuore, nella propria scelta di fede, nel messaggio stesso di cui erano stati consacrati portatori l'energia capace di rompere il cerchio di morte ed aprire una strada di liberazione.
E' la luce della Pasqua, il chiarore forse ancora tenue, ma deciso e sicuro del mattino della Resurrezione. «Un imperativo di coscienza» è il titolo del documento che ha provocato l'espulsione dei missionari e del vescovo della diocesi di Napula Manuel Vieira Pinto, Ma questa dolorosa vicenda, carica di sofferenza e d'ingiustizia, è diventata una forza necessaria a spezzare la facciata di pietra della dominazione portoghese all'insegna dì una presunta civiltà cristiana: il cristianesimo ridotto a maschera di un sistema oppressivo non può reggere quando all'orizzonte della storia comincia a manifestarsi lo splendore della Pasqua.
La stessa Chiesa del Monzambico si è trovata come colta di sorpresa da questo improvviso bagliore della resurrezione del suo Signore che non è riuscita a riconoscere. Eppure essa è costretta ad uscire dal sepolcro del compromesso, dell'appoggio, del silenzio intorno ad un potere politico che schiavizza tutto un popolo chiamato a libertà. «La vocazione degli evangelizzatori ha, come assenza, l'annuncio della giustizia... Abbiamo fatto un esame di coscienza e abbiamo detto: da oggi in avanti non possiamo più tacere su questi problemi». E' uno dei missionari espulsi a dire così: il documento da essi inviato a tutta la Chiesa del Monzambico è un appello pressante a prendere tutti insieme coscienza del dovere profetico che incombe sulla Chiesa di Cristo che deve annunciare nella situazione reale, presente, la verità liberatrice di Gesù.
La sua Pasqua di vittoria sulla morte sull'egoismo, sulla sopraffazione, attende di essere im-messa come sangue nuovo nel corpo malato dell'umanità per comunicare la nuova vita. La sua è la Pasqua della distruzione del muro di divisione che impedisce agli uomini di riconoscersi fratelli figli di Dio.
«Rinunciando alla sua missione profetica, la Chiesa annuncia di essere opprimente, legata con lo Stato... essa diventa come una contro testimonianza davanti al popolo del Monzambico»., Questi sacerdoti, questo vescovo costretti con la forza all'esilio perché fedeli più alla legge di Dio che a quella degli uomini, preoccupati dell'uomo assalito dai banditi più che delle solenni liturgie del tempio, hanno manifestato a prezzo personale che il Cristo è forza vivente nella storia umana. Hanno aperto la pietra in cui la Chiesa era rinchiusa - oggi come allora «per paura dei giudei» - e l'hanno forzata ad uscire dalla tomba dove marciva insieme al popolo oppresso.
Possiamo essere sicuri che da questa ferita, ancora aperta e sanguinante (e chissà quanto do-vrà durare ancora questa via crucis), la fame violenta di giustizia che agita da anni il popolo del Monzambico troverà nuovo vigore per una resurrezione nella libertà. Le ferite di questi nostri fratelli, insieme a quelle dì tutto il popolo per cui essi lottano, sono - in questo tempo pasquale - una delle grazie più serie a cui siamo chiamati a partecipare.
don Beppe
in Lotta come Amore: LcA aprile 1974, Aprile 1974
Luigi Sonnenfeld
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