Cantiere navale

Vorrei riuscire - ogni tanto - a raccontare qualcosa della vita di lavoro in cui sono entrato da qualche mese. Ho lasciato il mare, le reti da pesca, il quotidiano contatto con i compagni pescatori (anche se li vedo sempre, perché la nostra casa è in mezzo alle barche) per entrare a far parte di una nuova famiglia. Sono manovale in un cantiere navale del porto, mescolato alla fatica quotidiana di circa 400 operai.
Sono entrato nella condizione operaia, dove avevo sempre desiderato arrivare: ora vi sono approdato con il peso di questi anni di vita sacerdotale mescolata alla condizione della povera gente, di quelli che consumano la vita nella fatica, quotidiana per il pezzo di pane.
I compagni del cantiere mi hanno accolto con schietta amicizia: sanno da molto tempo che «siamo dei loro», che abbiamo fatto la scelta di appartenere per sempre al popolo che serve, che non conta nulla (o pochissimo), che è sfruttato e legato alla catena di un lavoro che spesso è senz'anima perché guidato unicamente dagli interessi del denaro e del potere economico.
Sento che questo nuovo passo sulla via di un inserimento sempre più profondo nella realtà dell'esistenza operaia significa molte cose per me e mi impegna a restarvi fedelmente. Mi sembra di essere arrivato ad un momento molto serio della mia vita; è qualcosa che mi impone di compiere con coraggio - in modo nuovo e per sempre - la scelta della povera gente, di una vita molto spoglia, accettando il condizionamento di un ritmo quotidiano segnato dal grido tagliente della sirena (com'è diverso da quello delle campane delle chiese).
Avverto che il mio sacerdozio è sceso ancora di più dentro la pasta dell'esistenza e deve essere vissuto molto intensamente: soprattutto con una fedeltà a «loro», ai miei compagni, all'umanità povera e sfruttata, che non conosca incrinature o incertezze.
In questa fedeltà alla condizione del lavoro salariato, ai fratelli che portano il giogo di un'esistenza fati-cosa e logorante, all'interno della lotta per il superamento dello sfruttamento del capitale e dell'egoismo politico e padronale, sento di ritrovare più chiaro il senso della scelta cristiana e sacerdotale. Più limpida e significativa la scelta che Gesù Cristo ha fatto della mia singola storia e di tutta la piccola comunità di cui faccio parte.
In questi pochi mesi di lavoro nel cantiere, fra il rumore assordante degli scalpelli pneumatici, delle mazze, nel labirinto polveroso dei doppi fondi, nel bagliore accecante della saldatura sempre in azione, ho accolto molto intensamente la presenza di Gesù, povero carpentiere di Nazareth, pellegrino ancora più povero per le strade della Palestina, senza una pietra per appoggiare il capo, senza denaro, senza potere, mescolato alla folla degli uomini ad indicare la strada del regno di Dio. «Ad annunciare il vangelo ai poveri, la libertà agli oppressi, a spezzare le catene dei prigionieri.».
Gesù me lo sono ritrovato molto vivo dentro il ritmo delle ore che non passano mai, come legati ad una catena che tutti vorrebbero spezzare; nelle piccole storie raccontatemi di sfuggita in qualche pausa del lavoro, nei volti segnati dalla povertà operaia dei miei compagni.
In loro ho sentito anche molto profondamente il dramma di una Chiesa lontana da questo mondo serio, affaticato, oppresso, che avrebbe dovuto trovare in lei un po' d'ombra per riprendere coraggio e forza nel viaggio. Un mondo fatto di uomini che ne1la quasi totalità sono rimasti delusi dal1'incontro con la realtà contraddittoria della vita dei preti, della burocrazia delle parrocchie, dell'assenza del mondo cosiddetto «religioso» nei confronti dei problemi della liberazione dallo sfruttamento e dall'ingiustizia.
Non si fidano più di questa Chiesa che ancora ritrovano nei loro paesi, nei quartieri dove abitano con la fa-miglia, nelle scuole dove vanno i loro figli (salvo qualche rara eccezione): in fondo, forse senza esserne coscienti, si sentono come traditi da una Chiesa che li ha battezzati, sacramentalizzati, devozionalizzati e che poi li ha lasciati completamente soli nei loro problemi d'ogni giorno, nelle lotte per un salario giusto, una casa dignitosa, una vecchiaia meno pesante. Soli nell'opporsi all'egoismo dei ricchi, alla violenza del capitale, alla forza della ragione economica e della furbizia politica: anzi hanno avuto l'amara e ancora attuale esperienza di vedere la Chiesa in buoni rapporti con i ricchi e le loro ricchezze, i politici, i capi, i generali, i furbi. Soprattutto soli nel credere ai valori della povertà, del pane guadagnato, dell'amore fraterno concretamente vissuto, dello sforzo per la costruzione di un mondo nuovo, più libero e umano.
Anch'io, nonostante tutti gli aggiornamenti e i rinnovamenti liturgici e pastorali, mi sento solo come loro, fra di loro. Se appena appena mi volto indietro, a sbirciare dietro le spalle, non vedo davvero la Chiesa sulla stessa pista di ricerca e d'amore. Solo pochi fratelli e sorelle che hanno coraggiosamente intrapreso il cammino, anch'essi da soli, nell'incertezza e nella pesantezza de1la scelta.
Anch'io, come loro, sono tentata di non fidarmi più della mia Chiesa; anche se sento di doverla amare così com'è, con i Suoi tradimenti e i suoi peccati, perché anch'io sono fragile nella fedeltà e peccatore, e quello che sono è solo opera della grazia misericordiosa di Dio.
Perché, in fondo, se io sono là, dentro le mura di questo strano convento che è il cantiere navale (dove non ci sono segni sacri, suoni di campane, dolci melodie di canti liturgici) è perché Qualcuno mi ci ha condotto. La vera ragione che mi ha deciso ad esservi, il motivo più vero che mi impegna a restarvi fedelmente e con grande serietà è questa dipendenza unica e totale da Gesù Cristo. A seguito di Lui, che sta alla radice della mia esistenza, credo sia dovere sacerdotale e fedeltà al suo Vangelo celebrare nel proprio corpo e nel proprio cuore la liturgia quotidiana del lavoro che milioni di uomini celebrano nella propria carne. E camminare, cercare, lottare insieme con loro per abbattere il muro della divisione, spezzare le catene della schiavitù ed entrare sempre più nella dimensione della libertà e della giustizia. Per cercare insieme con loro, sulla stessa strada e condividendo la stessa sorte, il volto paterno di Dio.


don Beppe


in Lotta come Amore: LcA marzo 1974, Marzo 1974

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