Non mi voglio voltare indietro a guardare dove è passato l'aratro della mia vita né a considerare i risultati di un lavoro che certamente porta i segni di una grande povertà. Il passato è sepolto per sempre nel cuore di Dio, affidato alla sua misericordia e al suo amore e rimane anche nascosto dentro la storia di tutti coloro con i quali ho avuto la possibilità (speriamo anche la grazia) di dividere un pezzo di pane, un po' di ricerca cristiana, una briciola di Fede, un sogno di vita nuova, la speranza di una luce nel buio del cammino. Solo il Padre che ha fatto nascere in me il mistero di una vita sacerdotale, mescolandola a quella dell'umanità, può sapere se da tutto questo cammino un po' di grano buono è spuntato, una goccia d'acqua è salita ad addolcire la fatica di chi era oppresso dalla durezza della strada.
Lui conosce anche tutto il peso di egoismo, di grettezza, di durezza di cuore di cui sono stato capace: ora sento profondamente l'urgenza di spingere lo sguardo in avanti, di cercare nuovi orizzonti, di abbandonare ogni spirito di conservazione allargando il cuore a capacità realmente nuove di dono, di offerta di sé, di partecipazione fraterna al cammino di coloro per i quali sono stato consacrato dalla grazia dello Spirito di Dio.
Guardare in avanti: per indovinare il sentiero, perché niente si vede di definito, di preciso di sicuro. Tutto è affidato alla certezza che qualcuno ti ha preso per mano e continua a condurti, magari là dove tu non vorresti andare, se ti fosse chiesto in anticipo.
Avverto con sufficiente chiarezza che occorre essere docili, obbedienti, senza recalcitrare al pungolo di un Amore che è talmente incontenibile da richiedere soltanto di lasciarsi travolgere completamente. Per essere davvero creature nuove, dilatate nello spirito, nel profondo del proprio cuore per un'accoglienza della vita, della sofferenza, della povertà, dello smarrimento e della solitudine umana pari a quella di cui Gesù è stato capace. Accettazione della sua misura di partecipazione al destino umano, al dramma dell'esistenza, al complesso processo della storia quella di ogni creatura così come quella di tutto il popolo degli uomini.
Sento fortemente che è urgente riuscire a camminare unicamente nella Fede: in forza cioè della fiducia e dell' energia che nasce dal saper che Dio c'è, che è vivo dentro la vita, profondamente mescolato come sangue che alimenta l'esistere di tutto quest'immenso corpo dell'umanità. Capace - Lui solo - di comprenderne le tragedie, le assurdità, la malvagità, la stoltezza, le tenebre. Come di dare senso pieno alle sue gioie, alla bontà, alla saggezza, alla fame e sete di giustizia, all' amicizia e all' amore.
Camminare nella Fede: è sicurezza che la propria vita è stata raccolta e portata via dal vento di un Amore che non sai più da dove venga né dove vada, che ti impone di camminare senza pre-tendere di conoscere in anticipo a che cosa ti conduce la strada, quali saranno i risultati di tutta una
ricerca, di tutto un sognare mondi nuovi, una terra liberata dall'ingiustizia e dalla violenza, tutto un credere che l'aurora spunterà anche se la notte sembra farsi sempre più profonda man mano che ci si spinge più avanti.
Camminare nella Fede: e cioè credere che perdere tutto, non contare nulla, finisce piano piano all'ultimo posto (non quello che immaginavi ma quello che la vita, le vicende, gli altri ti obbligano a prendere), non trovare il tesoro nel campo dove ti era sembrato di scoprirlo, credere che tutto questo è il modo giusto - il modo cristiano - di vivere, di amare, di servire la vita. Credere che i poveri, gli ignoranti, gli scartati, gli sfruttati, gli oppressi, i rifiuti della società e della civiltà sono loro quelli che bisogna saper ascoltare perché sono loro che hanno il messaggio della verità, della giustizia, della guarigione da ogni chiusura di cuore.
Credere che Dio lo si trova solo scendendo sempre più da qualunque piedistallo (esteriore ed interiore) accettando in modo molto concreto di essere nella categoria di coloro che servono (e non fra quelli che si sforzano in tutti i modi di essere serviti). .
Questa strada da farsi nella Fede ha certamente radici molto lontane, fino a collocarsi all'origine stessa del proprio esistere, fino a credere che c'è un destino di amore da cui ognuno è stato segnato fin dal seno materno e che chiede di essere portato a compimento con fedeltà e autenticità di partecipazione.
Sento che bisogna obbedire a Chi ha posato il suo guardo sulla nostra povertà, come l'argilla si lascia docilmente modellare dalla mano del vasaio, come la terra accetta di essere spaccata dal vomere dell'aratro: è giusto e buono lascarsi strappare alla tranquillità di una vita normale per essere spinti fuori delle mura di casa, per le piazze e le vie, nella folla degli uomini senza altra ragione ad esistere se non quella di testimoniare che l'Amore di Dio è fedele.
Bisogna consentire a non possedere niente per sé, a ritrovarsi con le mani vuote, come il contadino che ha finito di seminare il campo e stringe fra le mani il suo sacco vuoto; accettare di toccare il fondo di una solitudine personale molto concreta, per poter essere punto di comunione fra gli uomini e Dio, segno di riconciliazione, pietra d'inciampo sul cammino dei potenti e dei furbi, spazio benedetto per l'incontro, l'amicizia, la fraternità tra gli uomini.
Consentire di camminare in questa Fede che chiede di essere continuamente chicco di grano che si lascia macinare per un pane che non sai nemmeno quale fame è destinato a saziare.
don Beppe
in Lotta come Amore: LcA marzo 1974, Marzo 1974
Luigi Sonnenfeld
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