Lunghi anni di scelta cristiana e non esclusivamente per la propria vita, ma anche e specialmente per il rapporto con gli altri, con l'ambiente nel quale si vive, con l'esistenza umana.
La decisione e la programmazione del proprio vivere rifacendosi unicamente a Gesù Cristo e non soltanto come motivazione di fondo fino alla propria ragion d'essere, ma anche al modo di esistere, allo stile di vita, alla qualificazione dell'impegno quotidiano e al progetto di tutta una vita.
Non è poco quando si tratta di tutta una vita anche se ancora non consumata fino all'ultima goccia, con tutta una vigilanza a scartare anche il provenirne perfino l'ombra di un privilegio, per una verginità d'interesse, di ritorno personale, illibatissima.
A seguito dell'essere cristiani e tanto più preti (per una destinazione che di per se stessa comporta l'assoluto, pena l'assurdità di una esistenza) dopo un certo numero di anni (pochi o tanti che siano non ha poi grande importanza) non può non porsi il problema della giustezza di quella scelta, dell'aver imboccato quella strada e dell'avervi camminato e a volte con immensa fatica, senza voltarsi indietro e senza mai mettere in discussione nemmeno l'arrendersi alla stanchezza.
E' problematica interiore che non può non capitare, a seguito di un ribollire di dentro di ipotesi esistenziali molteplici e complesse, capaci di situarsi con buone ragioni, come alternative suadenti, alle scelte fatte. Tanto più che la Fede iniziale colorata, fiammante, splendente si è andata piano piano distendendosi, quasi calmandosi, come l'impeto d'Amore, nella quotidianità appiattita, nei tempi lunghi, nei deserti aridi di una più profonda coscienza del vivere proprio e degli altri, nella esperienza amara e deludente, della terra bruciata dalla storia.
E' quando troppo spesso ci si accorge al mattino che il giorno nuovo è terribilmente uguale a quello precedente. è quando annebbia la constatazione impietosa e disperante che il tempo nuovo, qualcosa di diverso intravisto e poi sognato e poi perfino toccato con mano, è invece delusione, fiducia pazza, fede senza senso. Gli uomini si è costretti a constatare che sono gli stessi e che il costruire la storia dipende da banalità assurde, da alcune persone stupide o pazze, dall'umanità a follia strana per vuoti paurosi, per rinunce imperdonabili.
E Dio e Gesù Cristo?
La Fede allora rischia di chiudersi e corazzarsi nell'escatologico che potrebbe anche voler dire nel devozionale, nella fedeltà alle preghiere, nel sentimento religioso di cui non si può più fare a meno. E' la disincarnazione, l'angelismo della Fede, il non rapporto alla vita, all'esistenza. E ne viene fuori la problematica religiosa che si presenta, con ogni sorta di evidenza, di essere l'unica che travaglia la cristianità e la chiesa: l'evangelizzazione, la pastorale, cioè una Fede che vive del proprio agitarsi, composto e incomposto che sia, rispondente o meno alle essenzialità costitutive del Cristianesimo, fedele o no alle inconfondibilità di Gesù Cristo.
Non è più possibile allora accettare una pastorale organizzata: un rapporto cioè fra la propria Fede e la ricerca di una sincerità cristiana che inevitabilmente comporti e costringa ad una esteriorità massimalizzata della presenza cristiana nel mondo in cui si vive.
Non ci si può incasellare in sistemazioni, inquadrare in metodi sia pure ottimamente escogitati: ne risulterebbe una organizzazione e una formalizzazione di scelte e di valori come sono quelli cristiani, impossibile a sopportarsi da chi la propria Fede ha bisogno di viverla respirandola nel meraviglioso e adorabile rapporto d'Amore di Dio nei confronti dell'umanità, rapporto perfettamente indicato da tutto Gesù Cristo.
A un certo punto (forse sono gli anni che giocano il trovarsi a questi incroci terribili della vita) l'entrare e l'essere nell'esistenza, l'accoglierne tutta la realtà di Cristo, pone davanti e scava nell'anima l'esigenza di essere veri, coerenti, fedeli, onesti.
Cadono giù allora, come foglie d'autunno, le apparenze, le coperture, tutto un attrezzaggio più o meno faticosamente accumulato: le istituzioni, le pedagogie, le apologetiche, le culture, le organizzazioni di qualunque genere, le pastorali di qualsiasi tipo... Ma non nasce e tanto meno è motivata questa spogliazione, da polemica, da risentimento, da disprezzo, ecc. E' semplicemente determinata da un bisogno di essenzialità interiormente intuita, da una voglia assoluta di sincerità, umile e schietta, forse anche soltanto costituita dalla semplicità o ingenuità del si, si, e no, no.
E' il tempo forse dell'assoluto di Dio e dell'unicità di Cristo e della vitalità dello Spirito.
E' il se stessi lasciato andare in balìa del dominio totale del Mistero del Cristianesimo e cioè di tutto Gesù Cristo per una sua più personale e scoperta evidenza nella concretezza dell'umanità in questo momento della sua storia.
E' sempre meno possibile mettere o anche trattenere infrastrutture, valori intermedi, supplenze ecc. fra il se stessi e Gesù Cristo. Non vale più «qualcosa» che richiami l'idea di Dio, occorre Dio stesso, direttamente, immediatamente. Non basta più nemmeno «qualcosa» di cristiano o di cristianeggiante o di cristianizzato: è Gesù Cristo che vuole essere manifestato, è Lui - in tutto il suo essere Lui - che viene richiesto dal se stessi e dagli altri.
Cristiano ormai bisogna che sia il vivere di Cristo nel nostro tempo: diversamente è un'ombra, una parvenza, una inutilità.
E' giusto e onesto avvertire l'angoscia - che potrebbe anche essere gioia di verità - di essere arrivati al bivio dell'autenticità o dell'assurdità. In fondo, a ben pensarci anche questa è una liberazione di cui dobbiamo essere riconoscenti a questo nostro tempo e alla sua impietosità.
Non rimane che cercare, con umile e coraggiosa fatica, come riprendere (ricominciare) questo vivere, questo essere la scelta cristiana di vita, disponibili e pronti a richieste che potrebbero essere significate anche dal concludersi del tempo della evangelizzazione (specialmente intesa come struttura portante di tutto l'impegno cristiano) e inizio invece del tempo della "passione", con tutto quello che passione cristianamente significa e comporta.
Non c'è da sorprendersi se ci ritroviamo come i discepoli che di «passione» non accettavano nemmeno di sentirne parlare.
don Sirio
in Lotta come Amore: LcA marzo 1974, Marzo 1974
Luigi Sonnenfeld
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